Investimenti: ecco come affrontare le incertezze legate ai dazi

A poco più di 100 giorni dall’inizio del secondo mandato del presidente statunitense Donald Trump, l’incertezza sulle politiche commerciali degli Stati Uniti sta spingendo gli investitori globali a riconsiderare molte delle assunzioni su cui si sono basate le allocazioni di portafoglio negli ultimi anni. Secondo Martin Harvey, Fixed Income Portfolio Manager di Wellington Management, “tutti... Leggi tutto

Mag 16, 2025 - 22:40
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Investimenti: ecco come affrontare le incertezze legate ai dazi

A poco più di 100 giorni dall’inizio del secondo mandato del presidente statunitense Donald Trump, l’incertezza sulle politiche commerciali degli Stati Uniti sta spingendo gli investitori globali a riconsiderare molte delle assunzioni su cui si sono basate le allocazioni di portafoglio negli ultimi anni. Secondo Martin Harvey, Fixed Income Portfolio Manager di Wellington Management, “tutti i mercati stanno affrontando, in sostanza, una ridefinizione delle relazioni del passato”.

Harvey osserva che le recenti turbolenze legate ai dazi hanno offerto spunti significativi per comprendere il nuovo approccio della Casa Bianca. “L’amministrazione statunitense è stata audace nei suoi annunci iniziali di politica economica, forse più di quanto ci aspettassimo”, spiega l’esperto, aggiungendo che i mercati azionari hanno subito reagito con preoccupazione alle possibili conseguenze di queste misure. Secondo le analisi condotte internamente a Wellington, l’ipotesi di dazi fino al 145% contro la Cina è stata ampiamente percepita come insostenibile, sia dagli investitori sia dalla stessa amministrazione, che avrebbe compreso come “nel giro di poche settimane gli scaffali sarebbero stati vuoti”.

Attualmente, i dazi medi sulle importazioni negli Stati Uniti si attestano tra il 10% e il 15%, e l’effetto più tangibile si registra sull’inflazione più che sulla crescita economica. Tuttavia, Harvey mette in guardia: “Permane un elevato livello di incertezza su come questi fattori si trasmetteranno all’economia e i mercati dovranno fare i conti con questa realtà”.

Il declino dell’eccezionalismo statunitense?

Il recente indebolimento del dollaro statunitense è un altro elemento che ha messo in discussione una delle narrazioni dominanti dell’ultimo decennio: l’eccezionalismo economico degli Stati Uniti. “Negli ultimi cinque-dieci anni, l’economia USA ha guidato la crescita globale e il suo mercato azionario ha sovraperformato, attirando ingenti flussi di capitale”, spiega Harvey. Questo fenomeno ha alimentato un ciclo virtuoso di apprezzamento del dollaro, con gli investitori internazionali che hanno progressivamente aumentato la loro esposizione alla valuta americana. In Europa, ad esempio, le partecipazioni in asset statunitensi sono raddoppiate, passando dal 15% al 30%.

Ma questo paradigma sembra ora vacillare. “Una delle colonne portanti della politica dell’attuale amministrazione americana è la riduzione del disavanzo commerciale”, osserva Harvey. In questo contesto, la tendenza all’accumulazione di asset statunitensi da parte di investitori stranieri risulta in contraddizione con gli obiettivi di riduzione degli squilibri esterni, rendendo plausibile un progressivo disimpegno dai titoli in dollari.

A testimoniarlo è anche la recente perdita dello status di bene rifugio del dollaro, che ha ceduto il passo ad altre valute come lo yen giapponese e l’euro. “Quando i paesi hanno registrato simultaneamente ampi deficit delle partite correnti e fiscali, ciò è stato generalmente seguito da una svalutazione della valuta”, ricorda Harvey. In tale scenario, anche una modesta riallocazione valutaria appare oggi una mossa prudente per molti investitori.

Inflazione e ritorni nel reddito fisso

Un altro tema cruciale riguarda l’inflazione, che secondo Harvey “rimarrà più elevata rispetto agli ultimi 25 anni, complice la deglobalizzazione”. L’esperienza del 2022, con un forte e inatteso balzo dell’inflazione, ha lasciato il segno tra gli investitori obbligazionari. Tuttavia, oggi i rendimenti offerti dal reddito fisso sono decisamente più interessanti, con tassi intorno al 4%-5% per le obbligazioni sovrane e ancora superiori per quelle societarie. “La probabilità di assistere a una ripetizione di quella stessa esperienza negativa è oggi molto più bassa”, afferma Harvey, sottolineando come le prospettive per il reddito fisso siano migliorate rispetto al biennio 2021-2022.

Riallocazioni in vista? L’Europa guadagna appeal

Anche sul fronte azionario, le valutazioni richiedono una riflessione. “Le valutazioni delle azioni statunitensi sono diventate significativamente più elevate rispetto a quelle di altri mercati”, sottolinea Harvey, prospettando una potenziale riallocazione verso mercati con multipli più contenuti. L’Europa, e in particolare la Germania, si distingue in questo scenario. “Uno degli esiti concreti delle politiche dell’amministrazione statunitense, se vogliamo riconoscerle questo merito, è stato l’impulso alla spesa fiscale in Germania”, afferma Harvey. Dopo anni di vincoli stringenti imposti dal freno al debito, Berlino ha iniziato a mostrare maggiore flessibilità, alimentando speranze su una ripresa più solida e duratura per il continente.

In conclusione, gli investitori si trovano oggi davanti a un panorama radicalmente mutato rispetto agli anni precedenti. Le incertezze legate ai dazi, la revisione del ruolo dominante del dollaro e il ritorno dell’inflazione sono solo alcune delle sfide da affrontare. Ma come ricorda Martin Harvey, “anche in un contesto di volatilità e trasformazione, ci sono opportunità per chi è pronto a riconsiderare le proprie strategie”.