La Cina scopre sotto il deserto un gigantesco giacimento di uranio da 30 milioni di tonnellate: verso una nuova era nucleare?
Nel cuore arido del deserto di Ordos, in una regione già ricca di carbone, petrolio e gas, la Cina ha scoperto qualcosa di ancora più strategico: oltre 30 milioni di tonnellate di uranio. Una riserva imponente che potrebbe garantire al Paese l’indipendenza energetica a lungo termine e cambiare drasticamente gli equilibri nel mercato globale del...

Nel cuore arido del deserto di Ordos, in una regione già ricca di carbone, petrolio e gas, la Cina ha scoperto qualcosa di ancora più strategico: oltre 30 milioni di tonnellate di uranio. Una riserva imponente che potrebbe garantire al Paese l’indipendenza energetica a lungo termine e cambiare drasticamente gli equilibri nel mercato globale del nucleare.
La Cina vuole meno carbone e più atomi, ma a che prezzo?
Negli ultimi anni, Pechino ha dichiarato guerra alle fonti fossili per puntare tutto sull’energia nucleare. Ma per far funzionare i suoi reattori, l’uranio è indispensabile. E nonostante l’impegno sul fronte interno, finora la Cina era costretta a importarne enormi quantità, principalmente da Paesi come il Kazakhstan, che nel 2021 ha fornito quasi la metà della produzione globale, lasciando alla Cina solo un misero 4%.
Ora, però, qualcosa sta per cambiare. Grazie a tecnologie di esplorazione avanzate, come la modellazione 3D e l’analisi geospaziale, i ricercatori cinesi hanno localizzato uno dei giacimenti di uranio più grandi mai individuati finora. Un tesoro radioattivo nel sottosuolo dell’Ordos, che potrebbe azzerare la dipendenza dall’estero e blindare la sicurezza energetica nazionale.
Dal punto di vista geopolitico, questa scoperta rappresenta un vero colpo di scena. Con scorte proprie di uranio, la Cina sarà meno esposta a sanzioni, embarghi o instabilità del mercato internazionale, rendendosi più autonoma, ma anche più influente sullo scacchiere energetico globale.
Il prezzo dell’autonomia: mercato in crisi e sfide ambientali
Ma se per la Cina si prospettano vantaggi evidenti, per altri Paesi produttori la notizia è tutt’altro che positiva. La nuova offerta potrebbe far crollare i prezzi dell’uranio sul mercato globale, colpendo in particolare quei governi che da anni esportano grandi quantità verso Pechino. Si parla, secondo gli osservatori, di perdite economiche significative per molte economie emergenti che vivono anche di queste esportazioni.
La concorrenza internazionale potrebbe inoltre ridursi, alterando l’equilibrio tra domanda e offerta. Ma la corsa all’uranio potrebbe non fermarsi qui: la scoperta cinese rischia infatti di innescare una nuova ondata di ricerche globali, spingendo altri governi a scavare nei propri deserti (o nei propri fondali) alla ricerca di riserve simili.
A fronte di tutto questo, c’è un interrogativo ambientale che non può essere ignorato: quanto costa davvero, in termini ecologici, una scoperta simile? L’estrazione dell’uranio non è affatto neutrale. Richiede processi ad alta intensità energetica e può avere gravi ripercussioni su ecosistemi fragili, contaminando acqua, suolo e aria.
Una scoperta che può cambiare il futuro (ma anche deviarlo)
Quella nel deserto di Ordos è, senza dubbio, una delle scoperte minerarie più rilevanti degli ultimi anni. Ma non è solo una questione economica o energetica. È anche un segnale. Un segnale che ci dice come la corsa al nucleare non si fermerà facilmente, e che la sicurezza energetica resta oggi, per molti governi, una priorità più forte della transizione ecologica.
In un momento in cui l’Europa e altri Paesi stanno spingendo su rinnovabili e fonti pulite, la Cina rilancia il nucleare con forza, scommettendo su un futuro meno dipendente dal carbone, ma ancora fortemente legato a risorse come l’uranio. Un futuro più stabile? Forse. Ma anche più complesso, e certamente più radioattivo.
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Fonte: Unionrayo
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