La storia (tornata d’attualità) dell’astronauta Sally Ride che ha bucato il soffitto di cristallo volando nello Spazio
È stata la terza donna a raggiungere lo Spazio il 18 giugno 1983 a bordo della STS-7. Ora la sua storia viene raccontata dal documentario Sally su National Geographic, in un momento in cui gli sforzi per abbracciare l'inclusione sono attaccati dall'amministrazione Trump. Il racconto dell'astrofisica Patrizia Caraveo per la rubrica "Spazio al futuro"

Diventare astronauta non è mai stato un compito facile. Questo vale sia per tutti, uomini e donne, con una differenza significativa: per molto tempo questa carriera è stata semplicemente preclusa alle donne.
E pensare che l’inizio era stato promettente: in Unione Sovietica, nel 1963, venne deciso di fare volare Valentina Tereskowa, un’operaia di salda fede comunista con la passione per il paracadutismo ma senza nessuna preparazione specifica. La missione aveva un chiaro scopo propagandistico per aggiungere un altro tassello alla supremazia spaziale sovietica, ma lo spazio non fu gentile con la cosmonauta.
A bordo della Vostok 6, Valentina descrisse 69 orbite durante le quali soffrì terribilmente di mal di spazio, stette così male che non riuscì a portare a termine i compiti che le erano stati affidati. Ritornò a terra in condizioni pietose. La foto ricordo venne fatta dopo un passaggio in ospedale ed una pulizia generale. Tanto bastò per fare archiviare la questione donne sovietiche nello spazio.
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Alla NASA non si ponevano nemmeno il problema: negli anni ‘60 l’idea di scegliere gli astronauti tra i piloti collaudatori delle varie armi dell’esercito americano era un modo semplice ed efficace per eliminare le candidature femminili. La situazione cambiò nel 1976 con il bando per selezionare l’ottavo gruppo di astronauti, che introdusse la possibilità di candidarsi per le posizioni di Mission Specialist.
In questo modo, per la prima volta, la NASA aprì il corpo degli astronauti alle donne e alle minoranze. Infatti, a differenza di tutti i bandi precedenti, in cui era obbligatoria un’esperienza da pilota collaudatore, uno Specialista di Missione doveva avere una formazione scientifica, un requisito che anche le donne potevano soddisfare. Finalmente anche loro potevano avere un’opportunità.
Chi era Sally Ride
Tra gli 8370 candidati al bando del 1976 – 1000 erano donne – e Sally Ride era una di loro. Era una dottoranda a Stanford quando aveva letto sullo Stanford Daily che la NASA stava selezionando scienziati come specialisti di missione e pensò di fare domanda. Una decisione che avrebbe cambiato la sua vita. Venne selezionata ed entrò a fare parte del corpo degli astronauti. Come membri della classe di astronauti del 1978, Ride e altre cinque donne si sono sottoposte allo stesso estenuante addestramento dei loro colleghi maschi. Tuttavia, le donne sono state trattate come una novità dalla NASA, affrontando l’ignoranza e gli stereotipi fomentati dalla politica di esclusione.
Sally Ride stava abbattendo barriere e si doveva confrontare con l’essere donna in un mondo di uomini molti dei quali erano convinti che le donne fossero semplicemente inadeguate per questo compito. Lei lavorava sodo per essere pronta a manovrare il braccio robotico dello Shuttle che doveva essere usato per sollevare e mettere in orbita i satelliti alloggiati nella baia di carico oppure per acchiappare i satelliti che dovevano essere riparati oppure riportati a terra.
Oltre all’accoglienza non sempre calorosa nell’ambiente di lavoro si trovava a rispondere alle domande più banali (e spesso un tantino stupide) che le venivano fatte dai giornalisti. Le venne chiesto se piangesse quando qualcosa andava storto durante l’addestramento. Non voleva essere chiamata Miss Ride, diceva con pazienza che la potevano chiamare Dr. Ride oppure solo Sally. Perfettamente conscia di essere un modello per milioni di ragazze, sapeva che doveva pesare le parole.
Volò sulla missione STS-7 dello Shuttle Challenger nel giugno 1983, giusto 20 anni dopo Valentina, e la copertura mediatica la trasformò in una moderna eroina spaziale. Per l’occasione, gli ingegneri della NASA, quasi tutti uomini, si interrogavano sulla quantità di assorbenti da prevedere per il kit da toilette per Sally. Sarebbero stati sufficienti 100 assorbenti per una missione di 7 giorni?
Sally Ride avrebbe volato una seconda volta nell’ottobre 1984 con la missione STS-41 ed era stata assegnata all’equipaggio della missione STS-61M, ma l’esplosione del Challenger il 28 gennaio 1986 cambiò la sua carriera. Fece parte della commissione d’inchiesta sul disastro e poi divenne consigliera speciale dell’Amministratore della NASA prima di lasciare l’agenzia nel 1987.
Mentre si preparava alla missione nello spazio nel 1982 aveva sposato il collega Steve Hawley formando una famiglia spaziale che si è dissolta 5 anni dopo quando Sally ha lasciato la NASA per tornare all’Università di Stanford per iniziare una nuova vita, profondamente diversa dalla precedente. Aveva deciso di condividere la sua vita con Tam O’Shaughnessy che sarebbe stata la sua compagna segreta per 27 anni. Nessuno al di fuori del ristretta cerchia dei famigliari era al corrente della cosa che Sally non ha mai voluto divulgare per l’ottimo motivo che sapeva che all’eroina spaziale non sarebbe stato perdonato il fatto di essere diversa.
Il documentario da non perdere
La cosa divenne di dominio pubblico solo dopo la morte di Sally nel 2012 ed ora Tam O’Shaughnessy, la compagna ombra per 27 anni, racconta la loro difficile storia in un documentario di National Geographic intitolato semplicemente SALLY, vincitore del 2025 Alfred P. Sloan Feature Film Prize. Tam O’Shaughnessy ricorda che Sally scelse di tenere nascosta la loro unione per paura che renderla pubblica potesse vanificare i suoi successi e far deragliare i suoi sogni professionali
Per quanto fosse difficile essere una donna nel programma spaziale, Ride sentiva che fare outing come lesbica sarebbe stato impossibile. Quando amici al di fuori della NASA avevano fatto coming out o erano stati scoperti, le loro carriere e la loro reputazione erano state distrutte. Allo stesso modo Sally temeva che rivelare il suo segreto potesse trasformarla da eroina a paria.
All’epoca dell’inizio della loro storia d’amore Sally Ride era sposata con il compagno astronauta Steven Hawley, che compare tra gli intervistati. Come molte altre cose che orbitavano intorno a quella classe di astronauti, il loro matrimonio era stato oggetto di molta attenzione e la collega astronauta Kathy Sullivan ricorda di aver pensato all’epoca: “Che grande mossa di pubbliche relazioni”. Tuttavia non si direbbe che fosse stato un matrimonio di facciata.
La regista Cristina Costantini utilizza filmati d’archivio per documentare un’epoca di trasformazione del programma spaziale americano, ma le sue interviste con la famiglia e gli ex colleghi di Sally Ride sono il punto forte del film. I ricordi di O’Shaughnessy, in particolare, conferiscono un contesto e un’umanità unici alla storia di Sally e rivelano il dolore che ha provato nel tenere nascosta la loro unione per così tanto tempo.
Il documentario SALLY esce in un momento in cui gli sforzi per abbracciare l’inclusione sono duramente attaccati dall’amministrazione Trump che vuole accentuare le differenze mettendo in discussione le capacità di chi, pur avendo dato importanti contributi a missioni ad alto rischio, è diverso. SALLY fa riflettere sulla profondità e sulle conseguenza della discriminazione delle persone in base al loro genere e alle loro scelte sessuali.