Ex Ilva, 4mila lavoratori in cassa integrazione dopo lo stop all’altoforno 1: scontro Governo-magistrati
La società commissariata Acciaierie d’Italia in Amministrazione Straordinaria, titolare degli impianti dell’ex Ilva, ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione per 3.926 lavoratori, di cui 3.538 nello stabilimento di Taranto, 178 in quello di Genova, 165 a Novi Ligure e 45 a Racconigi. L’annuncio è arrivato ieri, martedì 13 maggio, dopo che la […]

La società commissariata Acciaierie d’Italia in Amministrazione Straordinaria, titolare degli impianti dell’ex Ilva, ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione per 3.926 lavoratori, di cui 3.538 nello stabilimento di Taranto, 178 in quello di Genova, 165 a Novi Ligure e 45 a Racconigi. L’annuncio è arrivato ieri, martedì 13 maggio, dopo che la Procura di Taranto ha posto sotto sequestro l’altoforno 1 del sito salentino, dove il 7 maggio scorso si è verificato un grave incendio a causa dello scoppio di una tubiera. Raddoppia così il numero di addetti in cassa integrazione, che prima di questo sviluppo erano mediamente circa 2mila.
Il sequestro comporta un dimezzamento della produzione di acciaio per l’ex Ilva di Taranto, che ora può contare su un solo altoforno pienamente funzionante: i 6 milioni di tonnellate annui previsti nel piano di rilancio, se già prima rappresentavano un obiettivo difficile da raggiungere, ora sono un traguardo assolutamente impossibile.
Questo stop rischia di avere conseguenze sulle trattative per la vendita della società al colosso azero Baku Steel, quantomeno sul valore economico dell’operazione. “Noi andiamo avanti con determinazione, con chiarezza di intendimenti e di obiettivi”, assicura il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. “Ci auguriamo che tutti collaborino, le autorità locali per quanto di loro competenza, quelle nazionali, i sindacati come stanno facendo: se remiamo tutti insieme nella stessa direzione, possiamo giungere all’obiettivo che tutti ci prefiggiamo”.
Urso punta il dito contro la magistratura: “Avevamo detto che era necessario fare le attività di messa in sicurezza dell’impianto. Purtroppo l’autorizzazione è stata data troppo tardi ed è stata così compromessa l’attività produttiva”, attacca il ministro intervistato su Radio24. Secondo Urso, per ripristinare l’operatività dell’altoforno 1 si sarebbe dovuti intervenire entro 48 ore dalla richiesta di nullaosta, ma ciò non sarebbe stato possibile perché dalla Procura non sarebbero arrivati per tempo: “Questo vuol dire che non ci sarà più la possibilità di riprendere un livello produttivo significativo come previsto nel piano industriale”, sostiene il ministro.
Due deputati di Fratelli d’Italia, Giovanni Maiorano e Michele Schiano di Visconti, hanno chiesto al ministro della Giustizia Carlo Nordio di valutare l’invio di ispettori nella Procura di Taranto.
La procuratrice capo Eugenia Pontassuglia, da parte sua, respinge le accuse dal Governo con una dura e dettagliata nota in cui spiega che dai commissari dell’ex Ilva non è mai arrivata alcuna richiesta di autorizzazione a svolgere un’operazione “salvavita” per l’altoforno, mentre le altre necessarie operazioni richieste hanno ricevuto il via libera meno di 24 ore dopo aver ricevuto il parere tecnico di Arpa Puglia.
I sindacati protestano: “Non può essere che i lavoratori ancora una volta paghino le conseguenze dell’incapacità di far partire la decarbonizzazione degli impianti”, lamenta il coordinatore nazionale siderurgia per Fiom-Cgil, Luigi Scarpa. “In questo modo si mettono in discussione tutte le tutele salariali, occupazionali e di messa in sicurezza dei lavoratori e degli impianti, che abbiamo conquistato nei precedenti accordi”. “Da mesi – prosegue Scarpa – diciamo che le risorse non sono state garantite in modo sufficiente ad assicurare il piano di ripartenza e ora non può essere che la soluzione sia collocare i lavoratori in cassa integrazione chissà per quanto tempo. Per quel che ci riguarda va contrastato questo percorso unilaterale. Ne discuteremo con i lavoratori e le altre organizzazioni sindacali”.
Tra le ipotesi in campo, a questo punto, c’è quella di accelerare la decarbonizzazione, senza investire su un intervento per riattivare l’altoforno 1 ma passando direttamente ai forni elettrici: secondo Guglielmo Gambardella della Uilm-Uil, questo sarebbe “l’unico elemento di garanzia e di prospettiva per salvaguardare industria e occupazione”. Ma resta il nodo dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia). Se ne saprà di più fra una settimana, il 21 maggio, data in cui è stata convocata la conferenza dei servizi a Roma.
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