Aumenti del salario accessorio negli enti locali: tagliati fuori molti Comuni

lentepubblica.it Sono molti i Comuni che rimarranno fuori dagli aumenti previsti: questo il giudizio che accompagna l’approvazione dell’emendamento al decreto PA volto a superare il tetto al salario accessorio per il personale degli enti locali. Tra le modifiche approvate al testo troviamo infatti un emendamento riguardante la contrattazione integrativa negli enti locali ha attirato particolare attenzione. […] The post Aumenti del salario accessorio negli enti locali: tagliati fuori molti Comuni appeared first on lentepubblica.it.

Apr 22, 2025 - 10:18
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Aumenti del salario accessorio negli enti locali: tagliati fuori molti Comuni

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Sono molti i Comuni che rimarranno fuori dagli aumenti previsti: questo il giudizio che accompagna l’approvazione dell’emendamento al decreto PA volto a superare il tetto al salario accessorio per il personale degli enti locali.


Tra le modifiche approvate al testo troviamo infatti un emendamento riguardante la contrattazione integrativa negli enti locali ha attirato particolare attenzione. Il provvedimento interviene su un tema cruciale per il funzionamento della macchina amministrativa e per il riconoscimento economico del personale, introducendo nuovi margini di manovra ma anche vincoli stringenti che gli enti dovranno attentamente valutare.

Aumenti del salario accessorio negli enti locali: tagliati fuori molti Comuni

La misura, attesa da tempo come possibile strumento per colmare il divario retributivo tra le amministrazioni comunali e gli altri comparti del pubblico impiego, si concretizza ora con una serie di vincoli che rischiano però di escludere quasi quattro municipi su dieci.

Il cuore dell’emendamento approvato risiede nella possibilità, finalmente concessa agli enti locali, di incrementare le risorse destinate alla retribuzione accessoria del personale. Si tratta di una svolta attesa da anni, soprattutto dai Comuni, che lamentano da tempo una compressione salariale rispetto agli altri comparti della Pubblica amministrazione. Tuttavia, questa apertura normativa è vincolata a condizioni molto rigide, che rischiano di limitarne fortemente l’impatto reale.

Equilibrio di bilancio come vincolo imprescindibile

La possibilità di aumentare il cosiddetto Fondo delle risorse decentrate — cioè il fondo da cui provengono i compensi aggiuntivi rispetto allo stipendio base, come premi di produttività, indennità di posizione o specifiche responsabilità — è subordinata al rispetto di una condizione essenziale: la tenuta dei conti pubblici. Ogni incremento, infatti, dovrà avvenire nel pieno rispetto dell’equilibrio di bilancio pluriennale dell’ente, che dovrà essere formalmente attestato dall’organo di revisione economico-finanziaria. Questo significa che non si potranno effettuare aumenti “sulla fiducia” o sperando in entrate future: il bilancio deve già essere strutturalmente in grado di assorbire la spesa aggiuntiva, anche negli anni successivi.

Nessun aiuto dallo Stato: il peso ricade tutto sui Comuni

Un aspetto particolarmente controverso è la totale assenza di risorse statali. Il provvedimento non prevede alcun trasferimento o contributo da parte del governo centrale per sostenere l’operazione. Tutto il peso ricade interamente sui bilanci dei singoli enti. Questo implica che solo i Comuni dotati di una situazione finanziaria solida potranno effettivamente cogliere l’opportunità di aumentare il salario accessorio. Al contrario, le amministrazioni in difficoltà, magari già impegnate in piani di rientro o in condizioni di pre-dissesto, resteranno tagliate fuori.

Il tetto del 48%: un limite che riduce il margine di manovra

Un altro elemento tecnico, ma cruciale, riguarda il limite massimo di spesa ammessa. La norma stabilisce che l’ammontare delle risorse stabili del fondo — cioè la parte strutturale e non variabile — sommate agli importi previsti per la remunerazione delle posizioni organizzative, non possa superare il 48% della spesa complessiva sostenuta nel 2023 per gli stipendi base del personale delle aree professionali. In pratica, anche gli enti più virtuosi e finanziariamente solidi dovranno muoversi entro questo margine, che vincola in modo diretto l’entità degli aumenti.

Il riferimento all’anno 2023 come base di calcolo è significativo: congela di fatto la capacità espansiva del fondo accessorio a una fotografia economica passata, senza tenere conto di eventuali variazioni organiche, inflazione o crescita delle esigenze organizzative dell’ente.

Controllo della spesa: obbligo di trasparenza nei dati

A rendere il quadro ancora più complesso, si aggiunge l’obbligo di rendicontazione puntuale. Le amministrazioni che decidono di usufruire della deroga devono obbligatoriamente indicare, nel Conto annuale del personale, l’ammontare delle risorse incrementali utilizzate e il rapporto percentuale raggiunto tra spesa accessoria e retribuzioni base. Questo adempimento è fondamentale per garantire trasparenza e per permettere il controllo da parte degli organi di vigilanza, secondo le regole fissate dal Titolo V del decreto legislativo 165/2001.

Sanzioni per chi non adempie: taglio automatico delle risorse

La norma è chiara anche sulle conseguenze della mancata trasparenza. Qualora un ente non rispetti l’obbligo di comunicazione al Conto annuale, scatterà automaticamente una sanzione: il 25% delle risorse aggiuntive previste per la contrattazione integrativa diventerà indisponibile, e lo resterà fino alla regolarizzazione dell’invio dei dati. Si tratta di una misura punitiva che mira a responsabilizzare le amministrazioni, ma che potrebbe, di fatto, bloccare l’intero processo di valorizzazione del personale, soprattutto nei Comuni con maggiori difficoltà organizzative o carenze negli uffici preposti alla rendicontazione.

Le reazioni dei sindacati

Non sono mancate le reazioni da parte delle organizzazioni sindacali. Tatiana Cazzaniga, segretaria della FP CGIL, ha espresso preoccupazione sulle colonne del quotidiano Italia Oggi per l’effettiva sostenibilità dell’intervento. “È fondamentale investire sul trattamento tabellare – ha spiegato – altrimenti il rischio è che solo i Comuni con margini di bilancio potranno permettersi di aumentare le retribuzioni. Serve un impegno dello Stato con risorse aggiuntive, altrimenti sarà una misura per pochi”.

Sulla stessa linea anche Rita Longobardi, segretaria generale della UIL FPL, che in una nota del sindacato, pur riconoscendo l’intento positivo dell’emendamento, sollecita modifiche sostanziali per garantirne l’equità. “Se non si interviene con correttivi – ha detto – si rischia di accentuare le disparità territoriali, lasciando indietro gli enti più fragili, in particolare nel Mezzogiorno”.

La UIL FPL avanza alcune proposte concrete:

  • l’introduzione di una clausola di salvaguardia per evitare che l’aumento del fondo accessorio vada a scapito del ricambio generazionale;
  • una certificazione preventiva di sostenibilità economica;
  • l’istituzione di un fondo nazionale di compensazione a favore delle amministrazioni con minore capacità fiscale;
  • e infine, il ricorso a risorse europee, come quelle del PNRR o del Fondo per la coesione, per finanziare queste misure senza pesare sul bilancio dello Stato.

Longobardi auspica che meccanismi simili possano essere estesi anche al personale della sanità pubblica, alle prese con analoghe criticità salariali e divari tra territori. “Anche se non sarà possibile modificare ulteriormente il testo di legge – conclude – resta aperta la possibilità di agire nella fase attuativa, attraverso i decreti applicativi. L’obiettivo deve essere trasformare questa apertura normativa in un vero strumento di valorizzazione per tutto il personale pubblico”.

L’emendamento, insomma, rappresenta un’occasione, ma solo un’attenta fase di attuazione potrà decidere se si tratterà di un’opportunità per tutti o di un privilegio riservato a pochi.

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