Jeffrey Sachs a TPI: “Trump è pericoloso. Ora l’Europa trovi la sua autonomia”
Jeffrey Sachs ama parlare chiaro. «Il dominio dell’Occidente sul mondo è finito ed è terminato 30 o 40 anni fa, anche se gli Stati Uniti presumono ancora di governare il pianeta», ha spiegato l’economista della Columbia University, intervenendo il 18 aprile all’Università della Pace dell’Onu a Roma, dove lo abbiamo incontrato. «La crisi, scriveva Antonio […]

Jeffrey Sachs ama parlare chiaro. «Il dominio dell’Occidente sul mondo è finito ed è terminato 30 o 40 anni fa, anche se gli Stati Uniti presumono ancora di governare il pianeta», ha spiegato l’economista della Columbia University, intervenendo il 18 aprile all’Università della Pace dell’Onu a Roma, dove lo abbiamo incontrato. «La crisi, scriveva Antonio Gramsci, consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. E Donald Trump è uno di questi». Pertanto, secondo Jeffrey Sachs, l’Europa dovrebbe trovare la propria autonomia dagli Usa. «Continuare a illudersi che vada tutto bene e che siamo ancora “buoni amici”, non è una risposta», rimarca a TPI.
L’Occidente come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, secondo Ursula von der Leyen, non esiste più. È stato Donald Trump a mettervi fine?
«L’Occidente, ovvero la solida alleanza costituita storicamente nel Nord Atlantico, si stava già indebolendo da un bel po’. Ma l’Europa, inclusa la signora von der Leyen (la presidente della Commissione Ue, ndr), si è lasciata andare a una forte subordinazione agli Stati Uniti in termini di politica estera, perché la Commissione europea ha seguito ciecamente la linea degli Usa».
Cosa dovrebbe fare l’Ue?
«L’Europa ha assolutamente bisogno dei propri principi, della propria autonomia strategica e della propria diplomazia. Ma in questo momento non ce l’ha e non mi riferisco alla premier Meloni che vola a Washington».
A che cosa allora?
«Mi riferisco alla premier Meloni che va a Mosca, ad esempio, o a Pechino, come ha già fatto, e così via. È qui che l’Europa ha bisogno della sua diplomazia: per connettersi con il resto del mondo».
Per trovare una propria autonomia l’Ue ha annunciato un nuovo piano di difesa.
«L’Europa ha paura. Si parla di spese militari ma questa non è politica estera. Manca una componente fondamentale, che è la diplomazia».
Quindi l’Europa non ha bisogno di riarmarsi?
«Sarebbe molto meglio e meno costoso se l’Ue aprisse un canale diplomatico diretto con la Russia».
I negoziati sono già cominciati, almeno con gli Usa.
«Ma Von der Leyen, (il presidente del Consiglio Ue, ndr) Antonio Costa, (l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, ndr) Kaja Kallas e la premier Meloni sono andati a Mosca? No. Al momento non c’è diplomazia. Perché spendere 800 miliardi di euro senza nemmeno cercare di capire come arrivare alla pace?».
Quindi è possibile un dialogo diretto con Vladimir Putin?
«L’errore più grande dei politici è affermare che non abbiamo bisogno di diplomazia e finché non si impegneranno nel negoziato nel tentativo di trovare un percorso reciprocamente soddisfacente, non riusciranno a capirlo».
Il negoziato è alternativo al riarmo?
«Credo che l’Europa abbia bisogno della propria sicurezza militare e che questo potrebbe comportare maggiori spese. Ma spendere 800 miliardi senza diplomazia è un enorme spreco di denaro e una tremenda provocazione alla guerra».
L’obiettivo però è difendere l’Ue.
«È sconcertante sentire il nuovo cancelliere tedesco Merz quando parla di prepararsi alla guerra con la Russia. Dovrebbe piuttosto andare a discutere con Putin e con altri leader. Non dovrebbe limitarsi a preparare il conflitto. È il grande errore dell’Europa in questo momento: ha dimenticato cos’è la diplomazia».
I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti hanno scatenato una guerra commerciale con la Cina: la globalizzazione è morta?
«La globalizzazione di certo non è morta, ma gli Stati Uniti si stanno isolando. Il resto del mondo, invece, è impegnato in un’enorme quantità di scambi commerciali, che in futuro sono destinati a crescere ancora».
Ma è possibile un sistema commerciale globale senza gli Usa?
«Attualmente gli Stati Uniti sono imprevedibili, irresponsabili e violano il diritto internazionale ma questo non compromette completamente la globalizzazione. Esiste solo uno scenario, in questo senso, catastrofico».
Quale?
«Se anche l’Europa, ad esempio, decidesse di imporre dazi sui prodotti cinesi. Se l’Ue fosse così stupida da seguire gli Usa su questo percorso, provocherebbe conseguenze devastanti, in primo luogo per il continente stesso. Allora inizieremmo davvero ad assistere al collasso del sistema commerciale globale. Se, al contrario, l’Unione condannasse e respingesse l’unilateralismo americano, ribadendo la volontà di non perseguire politiche protezionistiche, allora il sistema globale sarebbe sostenibile».
In contrapposizione all’unilateralismo Usa Lei ha parlato di “Global consensus”: cosa intende?
«Significa lavorare insieme per affrontare le sfide fondamentali per il pianeta: porre fine alla povertà e ai conflitti, affrontare e combattere il cambiamento climatico causato dagli esseri umani. Questi fanno tutti parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile concordati a livello globale. Gli Stati Uniti, sotto Donald Trump, si sono dichiarati apertamente contrari. Ma gli altri 192 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno finora ribadito la volontà di perseguirli. La domanda è: altri Stati seguiranno Trump nell’abbandonare le proprie responsabilità assunte a livello globale o saranno solo gli Usa?».
A proposito di minacce a livello globale, dal Canale di Panama al Canada, dalla Groenlandia alla Striscia di Gaza, gli Usa hanno avanzato una serie di rivendicazioni territoriali.
«In primo luogo, Trump non riflette le opinioni degli americani e non sta facendo gli interessi dell’America. In termini di sicurezza nazionale gli Stati Uniti non hanno bisogno di possedere la Groenlandia; non hanno certamente bisogno di annettere il Canada e non devono temere che un’azienda con sede a Hong Kong possieda una quota di un piccolo porto vicino al Canale di Panama: tutto questo è privo di fondamento».
Che senso hanno allora queste minacce?
«Tutto ciò che Trump sta facendo è affermare, anche in campo internazionale, un sistema assolutistico basato sul “one-man rule” (letteralmente: un uomo solo al comando, ndr) che non solo non ha senso ma è pericoloso. Gli altri Paesi dovrebbero dire molto chiaramente che questo atteggiamento viola la Carta delle Nazioni Unite. Nessuno Stato deve minacciare gli altri. Continuare semplicemente a illudersi che vada tutto bene e che siamo ancora “buoni amici” (degli Stati Uniti, ndr), non è una risposta».
Come dovrebbe rispondere invece l’Europa?
«Se mi chiedessero chi è più propenso a invadere l’Europa tra gli Stati Uniti e la Russia, risponderei gli Usa».
Addirittura.
«Esiste una possibilità reale e molto concreta che gli Stati Uniti invadano la Groenlandia. Non è un’idea priva di fondamento. Il presidente degli Stati Uniti, non Putin, lo ha detto chiaramente. Non è necessario mettere le parole in bocca a Donald Trump, queste cose le dice lui stesso».
È una minaccia per la democrazia?
«Governa sicuramente in modo antidemocratico: ogni giorno firma un ordine esecutivo e proclama una nuova emergenza. Questo non ha nulla a che fare con la Costituzione degli Stati Uniti, che affida il potere legislativo al Congresso, titolare anche di tutti i poteri in materia fiscale, come per esempio sui dazi».
Come è possibile?
«Basta guardare il sito-web della Casa bianca. I suoi ordini esecutivi cominciano tutti allo stesso modo: “In base ai poteri che mi sono stati conferiti come Presidente degli Stati Uniti, proclamo la seguente emergenza” e poi cita la relativa legislazione. È un sistema con un uomo solo al comando ed è estremamente pericoloso».
Quali sono le prospettive per il futuro?
«Al momento abbiamo un solo uomo al comando ma esistono ancora altre istituzioni, soprattutto i tribunali, che continueranno ad avere voce in capitolo perché sono già state intentate molte cause legali per contestare questi decreti esecutivi. Vedremo se le altre istituzioni reggeranno o meno. Attualmente però definirei la situazione negli Stati Uniti molto incerta».
Ha intenzione di lasciare gli Stati Uniti?
«Vivo negli Stati Uniti e viaggio all’estero ed è così che impiego il mio tempo. Continuerò a fare entrambe le cose. Continuerò sicuramente a lavorare e spero che le istituzioni americane difendano lo stato di diritto».