La sinistra nella fortezza Europa

Che l’europeismo incondizionato, a tratti dogmatico, fosse diventato una risorsa politica ed identitaria fondamentale per una parte cospicua della sinistra italiana post-comunista, non è cosa che si scopre oggi. Che […]

Mar 21, 2025 - 09:55
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La sinistra nella fortezza Europa

Che l’europeismo incondizionato, a tratti dogmatico, fosse diventato una risorsa politica ed identitaria fondamentale per una parte cospicua della sinistra italiana post-comunista, non è cosa che si scopre oggi.

Che il risanamento economico a scapito del welfare state prescritto dai parametri di Maastricht e dal pareggio di bilancio, passando per la realizzazione del mercato e della moneta unica, fosse stato assunto da quella stessa sinistra come il traguardo ultimo del processo d’integrazione europea, anche questo era chiaro da un pezzo.

Che la missione prioritaria però dell’Unione, per quella sinistra che oggi brandisce orgogliosa il vessillo europeo, fosse diventata riempire gli arsenali in funzione di una politica di potenza anziché garantire la pace, beh questo è qualcosa che segna senz’altro una certa cesura rispetto al passato. Non solo, e non tanto, con quello comunista berlingueriano, o federalista di Spinelli – entrambi tirati in ballo ogni due per tre per giustificare qualsiasi sortita euroatlantista -, ma anche soltanto rispetto alla tradizione socialdemocratica europea dei Palme e Brandt. Protagonisti, ognuno a suo modo, negli anni Settanta e Ottanta di una sinistra europea impegnata a portare avanti non solo un discorso di pace e dialogo, ma anche di disarmo, ed emancipazione dei popoli del Sud del mondo.

Qualcosa, soprattutto quest’ultima, di impensabile per chi ha scelto da trent’anni buoni a questa parte di aderire supinamente ad una visione unipolare del mondo. Ad una prospettiva di Europa subalterna dentro il quadro di un Occidente a guida americana.

Un quadro dove se improvvisamente accade che l’America si sfila, abbiamo visto in queste settimane, ai Nostri non salta in mente nient’altro di meglio che riadattarsi subalterni anche ai nuovi pifferai del grande riarmo europeo. A quelli che a Bruxelles, ma anche sui giornali e nei salotti tv nostrani, ci spiegano con tono grave che ora toccherà sostituire l’ombrello americano con quello europeo, tralasciando però di dire che al contempo ci toccherà anche vedere miliardi di investimenti in armi sostituire miliardi di spesa sociale. Tutto fuori dai vincoli di bilancio, ovviamente. Don’t worry! In barba a quel patto di stabilità, tanto caro ai nostri europeisti con scappellamento a sinistra, evidentemente invalicabile solo quando si tratta di sanità, istruzione e welfare. Ovvero quello stato sociale che dopo decenni di attacchi messi in atto anche dalla nostra sinistra di governo, spesso con la scusa sempre pronta del celochiedeleuropa, ora potrebbe non reggere all’impatto devastante della nuova economia di guerra inaugurata in Europa: la risposta della classe politica europea alla crisi economica del Vecchio Continente, che dopo l’impoverimento e la deindustrializzazione causati da tre anni di guerra, rischia seriamente di sacrificare anche il bene supremo della pace. Pilastro dichiarato dell’intera costruzione europea, e al tempo stesso di qualsiasi retorica europeista, abusata negli ultimi decenni, naturalmente, anche dai progressisti di casa nostra.

Manifestare allora per un’Europa di questo segno, che ha optato apertamente per la strada del riarmo, che ha deragliato dalla sua missione fondativa proclamata di riconciliazione tra i popoli, che in questi ultimi tre anni ha scelto di disertare lo spazio della politica e della mediazione – fatto su cui nessuna sinistra degna di questo nome dovrebbe mai transigere -, non può non tradursi in una legittimazione di un progetto europeo che ha inserito nel suo orizzonte politico un approccio alle relazioni internazionali fondato sulla forza.

Un orizzonte dentro il quale la normalizzazione della guerra avanza pericolosamente, col contributo non secondario proprio di quel complesso politico-mediatico progressista al servizio della nuova fortezza Europa.

Di quella sinistra che fino ad oggi ha sempre continuato a raccontarsi e a raccontare di essere pacifista, nonostante l’adesione a tutte le guerre occidentali degli ultimi trent’anni. Che ritrovatasi in piazza tra bandiere dei più disparati colori – la piazza più pazza del mondo – ha solo ricordato a tutti la sua distanza dal progetto idealizzato di un’Europa di pace e, assieme, le ragioni profonde della sua crisi.