Crescere o non crescere? Il dilemma della prevenzione dei rifiuti

Crescere o non crescere? Ormai da tanti anni il mondo si interroga su come conciliare prosperità economica e tutela dell’ecosistema. Nel dibattito tra chi sogna una “decrescita felice” e chi confida nella capacità di auto-innovazione del mercato, l’Unione Europea ha scelto una linea mediatrice: quella del disaccoppiamento, ovvero il tentativo di separare la crescita del […] L'articolo Crescere o non crescere? Il dilemma della prevenzione dei rifiuti proviene da Economy Magazine.

Mag 13, 2025 - 13:50
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Crescere o non crescere? Il dilemma della prevenzione dei rifiuti

Crescere o non crescere? Ormai da tanti anni il mondo si interroga su come conciliare prosperità economica e tutela dell’ecosistema. Nel dibattito tra chi sogna una “decrescita felice” e chi confida nella capacità di auto-innovazione del mercato, l’Unione Europea ha scelto una linea mediatrice: quella del disaccoppiamento, ovvero il tentativo di separare la crescita del PIL dagli impatti ambientali. Un obiettivo ambizioso che, se riferito alla produzione di rifiuti, diventa una cartina tornasole delle nostre abitudini di consumo, dei nostri sistemi produttivi e dell’efficacia delle politiche ambientali.

In Italia nel 2023 la produzione di rifiuti urbani è aumentata dello 0,7%, al culmine di un decennio privo di una chiara tendenza: alcuni anni in lieve crescita, altri in lieve diminuzione. Un saliscendi spiegato dagli analisti ministeriali di ISPRA con pandemia, crisi internazionali e modifiche nei sistemi ufficiali di calcolo. Nessuna menzione, invece, alle politiche di prevenzione dei rifiuti che, in tutta evidenza, e nonostante la legge le ponga in cima alla gerarchia de provvedimenti da adottare, non hanno ancora la capacità di incidere sul dato.

Un importante cambio di rotta potrebbe arrivare da Ecodesign e Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). Il regolamento europeo sull’Ecodesign impone che i prodotti siano progettati per durare più a lungo, essere riutilizzabili e riparabili. Requisiti che saranno incentivati dall’eco-modulazione dei contributi ambientali dovuti a sistemi collettivi della Responsabilità del Produttore (chi immette sul mercato prodotti più sostenibili, paga meno).

Ma l’allungamento della vita dei prodotti rischia di rimanere una pia illusione se non esistono filiere solide del riutilizzo. Oggi in Italia operano oltre 100.000 addetti al riutilizzo, ma spesso lavorano in modo informale e i risultati del loro lavoro non sono tracciati. Gli organismi collettivi dei produttori, attraverso i sistemi EPR, potrebbero imprimere una svolta a questo settore accompagnando gli operatori nella costruzione di filiere strutturate, tracciabili e socialmente ed ambientalmente sostenibili.

Per il riutilizzo una delle partite cruciali è quella delle esportazioni: molta merce di seconda mano viene inviata all’estero, verso Paesi con sistemi di gestione dei rifiuti meno solidi. Per mantenere i volumi di riutilizzo alti le esportazioni non devono fermarsi: ma se non ci si interessa a cosa accade in quei contesti, il rischio è che il nostro impatto ambientale, invece che ridotto, venga spostato altrove.

Sul fronte dei rifiuti speciali, che sono i rifiuti generati dalle attività produttive, la situazione è ancora più complessa. Secondo i dati Eurostat in Italia la produzione di questi rifiuti per unità di PIL è in aumento. Ma attenzione: più aumentano le raccolte differenziate dei rifiuti urbani, più aumentano i sovvalli, cioè i rifiuti generati dagli impianti di trattamento…e questi ultimi sono classificati come “speciali”!

Questo significa, in parole povere, che più i rifiuti delle famiglie vengono riciclati, più aumenta la produzione di rifiuti speciali. Non sempre, quindi, la crescita di questo tipo di rifiuto è un segnale negativo. Inoltre, in Italia le aziende fanno poco ricorso alla classificazione di “sottoprodotto” rispetto ad altri Paesi. È una scelta cauta: meglio un rifiuto gestito correttamente che un “non rifiuto” malamente gestito, ma ovviamente nella classifica su chi produce meno rifiuto siamo penalizzati rispetto ad altri paesi che su questo aspetto sono più disinvolti.

Infine, occhio alla delocalizzazione. Una riduzione dei rifiuti speciali nel nostro paese o in altri paesi industrialmente sviluppati può derivare da uno spostamento della produzione in contesti meno regolati. Anche in questo caso, il rischio è che il problema venga spostato anziché risolto. E a pagarne il prezzo è l’ecosistema globale.

Se vogliamo affrontare con serietà la questione della prevenzione, la priorità assoluta è la trasparenza delle filiere. Conoscere a fondo dove e come si produce il rifiuto, e dove e come si raccoglie, recupera e smaltisce, è l’unico modo per dare un senso concreto ai numeri. E per misurare, davvero, quanto è circolare la nostra economia.

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