Ue, un paradiso fiscale
Le regole europee sul transfer pricing favoriscono le multinazionali con aiuti di Stato fiscali vietati. Questo perché ogni Stato membro applica in modo diverso il principio del “prezzo di mercato”, aprendo la strada a trattamenti fiscali di favore difficili da rilevare come aiuti vietati. È quanto indica uno studio firmato da Hugo López e Aitor […] L'articolo Ue, un paradiso fiscale proviene da Iusletter.

Le regole europee sul transfer pricing favoriscono le multinazionali con aiuti di Stato fiscali vietati. Questo perché ogni Stato membro applica in modo diverso il principio del “prezzo di mercato”, aprendo la strada a trattamenti fiscali di favore difficili da rilevare come aiuti vietati. È quanto indica uno studio firmato da Hugo López e Aitor Navarro per il Max Planck Institute, in cui si analizza come questa eterogeneità possa entrare in conflitto con le regole sugli aiuti di Stato previste dall’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue). Il punto d’osservazione sono i ruling fiscali: accordi tra amministrazioni nazionali e singole imprese che, in alcuni casi, hanno garantito trattamenti di favore a grandi gruppi multinazionali.
Il principio del “prezzo di mercato” (arm’s length principle) è alla base delle regole sui prezzi di trasferimento applicate in tutta l’Unione europea. Secondo questo principio, le transazioni tra società dello stesso gruppo dovrebbero avvenire alle stesse condizioni praticate tra soggetti indipendenti. In teoria, una garanzia di equità. Nella pratica, però, ogni Stato membro applica e interpreta il principio in modo autonomo, lasciando ampio spazio alla discrezionalità.
A partire dal 2014, la Commissione europea ha intensificato il monitoraggio su questi accordi, nel tentativo di verificare se determinati ruling configurassero aiuti di Stato selettivi vietati dal diritto Ue. Tra i casi più noti: Apple in Irlanda, Fiat in Lussemburgo e Amazon nei Paesi Bassi. L’ipotesi della Commissione è che alcuni Stati abbiano concesso a certe imprese condizioni fiscali più vantaggiose di quelle normalmente applicabili, derogando in modo ingiustificato al principio di libera concorrenza.
Per sostenere questa tesi, Bruxelles ha cercato di considerare il principio arm’s length come uno standard giuridico europeo di riferimento, ricavabile direttamente dall’articolo 107 Tfue, anche in assenza di una norma nazionale esplicita. In altre parole, l’idea era che un trattamento fiscale potesse essere considerato selettivo anche se formalmente conforme al diritto nazionale, qualora fosse in contrasto con un principio europeo implicito.
Ma la Corte di giustizia ha seguito un’altra strada. Nei casi Fiat e Amazon ha chiarito che la valutazione di selettività va condotta alla luce del diritto nazionale: un vantaggio fiscale può essere considerato aiuto di Stato solo se deroga in modo ingiustificato alla normativa interna dello Stato membro. Di conseguenza, in assenza di una deviazione manifesta dalla legge nazionale, anche un trattamento di favore può risultare giuridicamente inaccessibile al controllo della Commissione.
Questa impostazione limita la possibilità di contrastare le distorsioni sistemiche derivanti dall’uso strategico dei ruling. In un contesto in cui ciascuno Stato definisce in modo autonomo contenuti e criteri di applicazione delle regole di transfer pricing, la coerenza europea si indebolisce. Il rischio è che alcuni Paesi adottino letture più flessibili del principio arm’s length per attrarre investimenti, generando una concorrenza fiscale indiretta che sfugge al radar delle regole sugli aiuti di Stato.
Secondo López e Navarro, la combinazione tra ampia discrezionalità amministrativa e assenza di un controllo armonizzato apre la porta a trattamenti selettivi non rilevabili. Soprattutto quando l’accesso a regimi fiscali più favorevoli avviene attraverso accordi riservati, negoziati bilateralmente. In questi casi, il confine tra certezza del diritto e vantaggio competitivo diventa sottile.
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