Non solo missili, l’India rilancia la guerra dell’acqua contro il Pakistan: dighe e inondazioni, le armi in mano a Nuova Delhi
Non ci sono solo i missili che nella notte hanno ucciso almeno 31 persone tra il Kashmir e il Punjab. Per la prima volta nella storia l’India ha sospeso il Trattato sulle acque dell’Indo (Indus Water Treaty, IWT) firmato nel 1960, spiegando che lo terrà in stand by “finché il Pakistan non avrà abiurato in […] L'articolo Non solo missili, l’India rilancia la guerra dell’acqua contro il Pakistan: dighe e inondazioni, le armi in mano a Nuova Delhi proviene da Il Fatto Quotidiano.

Non ci sono solo i missili che nella notte hanno ucciso almeno 31 persone tra il Kashmir e il Punjab. Per la prima volta nella storia l’India ha sospeso il Trattato sulle acque dell’Indo (Indus Water Treaty, IWT) firmato nel 1960, spiegando che lo terrà in stand by “finché il Pakistan non avrà abiurato in modo credibile e irrevocabile il suo sostegno al terrorismo transfrontaliero”. Il riferimento è alla strage di Pahalgam, cittadina montana del Kashmir dove il 22 aprile un commando armato ha massacrato 26 persone. Nuova Delhi punta il dito contro Islamabad e la sospensione dell’accordo è un’altra arma nelle sue mani.
“Ora l’acqua dell’India scorrerà, sarà conservata e sarà utilizzata per il progresso dell’India”, ha detto Narendra Modi poche ore dopo l’attentato. Parole, quelle del premier, che presupporrebbero la volontà di impedire l’afflusso verso il Pakistan delle acque del bacino dell’Indo. Quest’ultimo è al centro dell’IWT, che regola l’utilizzo dei sei rami principali del suo sistema fluviale che corrono da est verso ovest attraverso il territorio indiano prima e in quello pakistano poi. Il confine che nel 1947 separò i due paesi passa dritto attraverso questi sei affluenti. A monte, l’India rivendicava il diritto di sfruttare i corsi che attraversavano la sua terra. A valle, il Pakistan temeva che il bisogno idrico dei confinanti potesse mettere a repentaglio la sua economia e la sua sicurezza alimentare. Dopo anni di tensioni la Banca Mondiale a mediò la controversia e nel 1960 venne firmato il trattato, in base al quale Islamabad controlla i tre corsi occidentali – il Chenab, il Jhelum e il corso principale dell’Indo mentre l’India deve lasciare che questi scorrano attraverso il suo territorio ma vanta diritti sui tre affluenti orientali – il Beas, il Ravi e il Sutlej – che poi si riversano in Pakistan.
Islamabad teme la sospensione del trattato perché la sua economia dipende dall’Indo. Nove pakistani su 10 vivono nel suo bacino. Grandi città come Karachi e Lahore ricavano da esso l’acqua potabile. Il sistema irriga oltre il 90% dei raccolti e secondo la Banca Mondiale l’agricoltura assorbe il 94% dei prelievi idrici: è il settore centrale dell’economia con il 22,9% del Pil, il 24,4% delle esportazioni, il 37,4% della forza lavoro e dà da mangiare a 2/3 della popolazione rurale. Il Pakistan, inoltre, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, genera il 20% della sua elettricità dall’idroelettrico. Così ogni volta che i due paesi si sono trovati di fronte a una controversia, l’India ha minacciato di chiudere i rubinetti. Nel 2016, solo per restare in tempi recenti, dopo che un commando pakistano assaltò una base dell’esercito indiano a Uri, in Kashmir, Modi dichiarò che “sangue e acqua non possono scorrere insieme “. E nel 2019, dopo un attacco kamikaze che uccise decine di membri delle forze di sicurezza sempre nella regione contesa, Nuova Delhi minacciò di deviare il corso dei fiumi orientali per togliere acqua al Pakistan.
Ma può davvero l’India interrompere le forniture idriche agli odiati confinanti? La questione non è così semplice. Al momento, sostiene l’ultimo report dedicato alla questione dal Center for Strategic and International Studies, Nuova Delhi non ha le infrastrutture necessarie per impedire ai flussi dell’Indo di raggiungere il vicino e “i piani per la costruzione del sistema di dighe, bacini idrici e canali necessario per trattenere o deviare flussi significativi dell’Indo, come annunciato da alcune autorità indiane, richiederebbero anni per essere realizzati“. “Di solito più di un decennio”, ha spiegato all’Agence France-Presse Himanshu Thakkar, coordinatore del South Asia Network on Dams, Rivers and People. Ma la sospensione del trattato è comunque un’arma nelle mani di Nuova Delhi in questa “guerra dell’acqua“. Non potendo per ora a bloccare o deviare i fiumi, l’India può tuttavia interrompere altri tipi di flussi. L’IWT, infatti, “impone alle parti di condividere una buona quantità di informazioni sullo sviluppo dei progetti, sui flussi fluviali e sulle condizioni idrologiche“. Sospendendo il trattato, quindi, l’India può interrompere la condivisione dei dati, privando il Pakistan ad esempio degli avvisi di alluvione mettendo in pericolo la vita e la sussistenza di migliaia di persone.
Il Pakistan è un paese arido e lotta contro una grave crisi idrica. A marzo l’ente regolatore delle risorse idriche di Islamabad ha avvertito che il Punjab, tra le principali province agricole del paese, attraversato da 5 affluenti dell’Indo, potrebbe affrontare carenze fino al 35% già in questa stagione agricola. Caratteristiche idrologiche che mettono a forte rischio il territorio. “Le imminenti piogge monsoniche comportano dei rischi anche per il Pakistan – ha detto al New York Times Naseer Memon, analista pakistano specializzato nelle risorse idriche – perché l’India potrebbe decidere di rilasciare l’acqua in eccesso dai fiumi orientali senza preavviso, potenzialmente innescando inondazioni“. “L’India smetterà di condividere dati come i flussi idrologici dei fiumi che la attraversano, non emetterà avvisi di inondazione e salterà le riunioni annuali della Commissione permanente dell’Indo”, ha spiegato a Reuters Kushvinder Vohra, presidente della Commissione centrale per le acque dell’India, da poco in pensione. I pachistani, ha concluso Vohra, già Commissario indiano per l’Indo e ora consulente del governo, “non avranno molte informazioni con loro su quando arriverà l’acqua, né su quanta ne arriverà”. Solo una minaccia, per ora.
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