Quando la tecnologia promette la verità, la letteratura ci salva
Yari Selvetella esplora un mondo dove un’app conosce ogni risposta, ma solo i libri ci insegnano a fare le domande giuste

La funzione segreta della letteratura è metterci a nudo. Come una lente spietata, i libri ci osservano da vicino e ci obbligano a porci domande su chi siamo e su cosa stia diventando il mondo. È un lavoro silenzioso, a tratti invisibile: scruta e rivela, ci fa viaggiare lontano per riportarci – inevitabilmente – dentro. È questo il cuore pulsante della nuova puntata del vodcast di QN Il piacere della lettura che ha ospitato Yari Selvetella, autore de La mezz’ora della verità (Mondadori).
Il romanzo ruota attorno a Varami, un'applicazione che risponde con la verità a qualsiasi domanda. All’inizio sembra un gioco, un sogno antico diventato realtà. Ma più la tecnologia si affina, più la verità si allontana. “Abbiamo tantissime fonti che sembrano avvicinarci alla verità – dice l’autore – ma più ci proviamo e più questa si sfila tra le mani”.In un’epoca in cui ci illudiamo di poter verificare ogni cosa, la verità si allontana come un miraggio. Non perché non esista, ma perché non sappiamo più porci le domande giuste. Non è un caso che La mezz’ora della verità sia strutturato come una cronaca di quattro settimane: ogni giorno un passo in più in un presente che assomiglia in modo inquietante al nostro. Condomini, studenti, operai, intellettuali: tutti immersi in una quotidianità in cui la tecnologia promette di semplificare, e invece complica, confonde, invade”.
Non è distopia, precisa Selvetella, è soltanto realtà, filtrata da uno sguardo capace di coglierne il lato più inquietante e umano, insieme.L’autore cita Vittorio De Sica e Cesare Zavattini come ispirazione, ma anche Philip K. Dick e Orwell, quasi a prevenire la facile etichetta di “romanzo distopico”. Il tono di Selvetella è più quello di un osservatore affilato e disilluso che quello del profeta. “A me piace partire dalla commedia,” spiega, “non quella che fa ridere, ma quella che nasce dall’osservazione minuta del quotidiano.”Il protagonista, Valentino Ricci, che compare esplicitamente solo a pagina 88, è un uomo che si definisce unicamente in relazione agli altri. In fondo è questo che facciamo anche noi, ogni giorno, persi tra social e schermi, in cerca di un riflesso che ci rassicuri, ma che a volte spaventa. La letteratura, in questo senso, è ancora una delle poche esperienze che ci obbliga alla relazione autentica, anche quando parla di algoritmi e intelligenze artificiali".
“Oggi l’AI fa soprattutto paura. Perché non incide sulla struttura della società, è solo una sovrastruttura. Può fare arte? Al momento non mi pare. Il punto è coltivare la complessità, perché la banalità sarà facilmente replicabile. La bellezza, no”. E parlando di memoria, Selvetella lancia un allarme che sa di malinconia: “Stiamo perdendo i carteggi, le lettere d’amore, le fotografie stampate. Le nostre scatole di famiglia non esisteranno più.” È una perdita silenziosa ma devastante, che riguarda anche l’immaginario collettivo. “La speranza? Non basta. Ci serve l’immaginazione, è lei che ci permette di abitare il futuro.”
E pone una domanda che inquieta: cosa troveranno, un giorno, i nostri nipoti nelle scatole della memoria? Forse solo una verità mozzata, frammentaria, spezzata.E allora torna la letteratura, con il suo potere unico: quello di trattenere la verità nella forma fragile ma resistente della narrazione. Perché, come dice Selvetella, “non sono un relativista: la verità esiste, ed è una forza rivoluzionaria”. Ma per trovarla, dobbiamo accettare il rischio della domanda. E forse anche quello della dimenticanza.Perché la verità, alla fine, non è solo ciò che resta. È anche ciò che scegliamo di non dimenticare.