Liste d’attesa, un calvario: la burocrazia affossa i diritti dei cittadini
Sanità, riforma Schillaci in salita. La pratica di chiudere le prenotazioni continua, nonostante sia stata vietata dal decreto. Cartabellotta (Fondazione Gimbe): bisogna lavorare anche sull’appropriatezza delle prestazioni

Roma, 27 aprile 2025 – Due anni per una risonanza magnetica, come denuncia Piero Vernile, operaio dell’ex Ilva. Ma anche 468 giorni invece che 120 per una prima visita oculistica programmabile, 437 giorni per un intervento di protesi d’anca in classe D (da garantire entro 12 mesi) e 159 invece che 30 per un intervento di tumore alla prostata in classe B.
La storia per punti
L’indagine di Cittadinanzattiva
Liste d’attesa in sanità, un calvario per i cittadini. L’ultima inchiesta consegnata a ottobre da Cittadinanzattiva potrebbe prendere a prestito le parole di Orazio Schillaci, “ancora troppe situazioni indegne”, questo ha rinfacciato il ministro della Salute alle Regioni. La riforma è tutta in salita e manca ancora l’accordo sul decreto attuativo che disciplina i poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze.
I soldi non spesi delle Regioni
Intanto: su 1,3 miliardi messi a disposizione dal ministero per gli anni 2022-2024, le Regioni non sono riuscite a spendere 323 milioni. Come si spiega a un cittadino? Per Tonino Aceti, presidente di Salutequità, “è inevitabile che vada così se si scrive la norma dicendo: queste risorse, se non vengono utilizzate, finiscono nel calderone indistinto del servizio sanitario nazionale. Quindi è vero che alcune Regioni hanno fatto un uso discutibile dei fondi. Ma è anche discutibile la modalità con la quale si scrivono le leggi. Bisogna vincolarle”.
Le parole di Nino Cartabellotta (Gimbe)
Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, parte da una certezza: “Soffriamo di un grave squilibrio tra domanda e offerta, la capacità del servizio sanitario nazionale si è fortemente ridotta perché abbiamo meno personale medico e infermieristico, in particolare in alcune specialità. E c’è una domanda sempre maggiore da parte dei cittadini. La letteratura stima in un buon 30% le prestazioni non appropriate”.
Il problema delle prestazioni non appropriate
L’inappropriatezza ha diverse cause, chiarisce Cartabellotta. “Certo - ragiona -, può dipendere anche da chi prescrive. Ma spesso il cittadino va dal medico di famiglia, dice di avere mal di schiena e di voler fare una risonanza magnetica. Quando invece dovrebbe aspettare qualche settimana, se il dolore si risolve quell’esame non è necessario. Se aumento solo le prestazioni ottengo quello che a livello internazionale viene chiamato effetto spugna, ho una riduzione delle liste nel breve termine ma visto che poi aumenta anche la domanda, dopo un tempo x sono di nuovo al punto di partenza”.
La conclusione: “Le liste d’attesa sono un sintomo, noi oggi stiamo sperimentando una grave crisi di sostenibilità del servizio sanitario nazionale. Che ha meno personale, perché ci sono stati tanti tagli, e spesso apparecchiature obsolete. Tutti questi fenomeni messi insieme provocano un grave disagio. Io oggi sono molto preoccupato dall’emergere di un privato puro, non accreditato e che non si vuole accreditare, che dietro ha grandi gruppi finanziari. Questo crea il cosiddetto secondo binario della sanità”.
Prestazioni, non salute
Al privato convenzionato, fa i conti il presidente Gimbe, “viene rimborsato quasi il 25% di spesa sanitaria, dai ricoveri alle visite. Poi però i cittadini spendono altri miliardi di tasca propria. Questo documenta l’involuzione, non c’è una domanda di salute ma di prestazioni”. Quindi le cure saranno sempre più per chi se le potrà permettere? “Non c’è un disegno esplicito - è l’analisi di Cartabellotta -. Ma in assenza di un rilancio del finanziamento pubblico per i prossimi 5-10 anni e anche di riforme coraggiose, è evidente che questo declino, che descrivo come il lento scivolamento di un ghiacciaio, proseguirà. La pandemia è stata la linea di rottura. Come uno choc test, ha fatto sì che un sistema già indebolito crollasse tutto insieme”.
Agende chiuse, pratica illegale
Oggi, osserva Cartabellotta, “sui tempi reali delle liste d’attesa non abbiamo dato oggettivi. Per questo il decreto ha previsto l’istituzione di una piattaforma nazionale, che deve garantire la situazione in tempo reale su tutto il territorio”. Tra i punti chiave - poco conosciuti - ribaditi dal nuovo corso, c’è anche la messa al bando delle famose “agende chiuse”, l’articolo 3 comma 9 definisce di fatto quella pratica illegale. La possibilità di fare prenotazioni deve essere sempre garantita.
Tra le specialità miraggio, ricorda Cartabellotta, “c’è sicuramente la diagnostica muscolo scheletrica. Anche nella cataratta c’è uno squilibrio importante tra offerta e domanda. Prima si operava quando era molto avanzata, oggi ci sono evidenze scientifiche che dicono, meglio farlo prima”.
L’indagine di Salutequità
Aceti da presidente di Salutequità ha provato a capire perché non funzionano i cosiddetti sistemi salta code. Chiarisce: “I percorsi di tutela scattano quando le Asl non sono in grado di garantire le prestazioni entro i tempi massimi previsti dal codice di priorità inserito nella ricetta, anche con l’autorizzazione all’attività libero-professionale intramuraria, con il solo pagamento del ticket. La responsabilità di questi percorsi secondo la legge è in capo alle direzioni generali. Abbiamo riscontrato prima di tutto problemi di informazione sui diritti. I siti delle Regioni danno indicazioni molto burocratiche e amministrative, in quelli delle Asl spesso le notizie utili sono molto nascoste. Una montagna da scalare, e non tutti hanno gli stessi strumenti”. Non solo. “L’onere di gestire questa burocrazia viene rimbalzato sul cittadino. Che prima di tutto deve arrivare all’informazione. Poi deve riempire una modulistica, allegare documenti, usare la Pec. Quindi la burocrazia soffoca la portata innovativa del decreto Schillaci. E soffoca i diritti”.