Da San Severo a Cagliari passando per Bologna: l’alchimia dietro a Panicoteca di Sesto Carnera, Sph e Kiquè Velasquez

Qualche settimana fa è uscito “Panicoteca“, il primo disco dell’inedito trio composto da Sesto Carnera, Sph e Kiquè Velasquez. Un progetto fuori dagli schemi, nato in maniera spontanea dall’incontro di tre personalità forti, diverse, ma profondamente affini nella visione artistica. Una sintonia creativa costruita sull’amicizia, sulla fiducia reciproca e sulla condivisione autentica di esperienze, idee e fragilità. “Panicoteca” non è solo un disco: è un luogo mentale, uno spazio libero in cui si intrecciano storie personali, radici culturali e musicali […] L'articolo Da San Severo a Cagliari passando per Bologna: l’alchimia dietro a Panicoteca di Sesto Carnera, Sph e Kiquè Velasquez proviene da Rapologia.it.

Apr 27, 2025 - 10:12
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Da San Severo a Cagliari passando per Bologna: l’alchimia dietro a Panicoteca di Sesto Carnera, Sph e Kiquè Velasquez

Qualche settimana fa è uscito Panicoteca, il primo disco dell’inedito trio composto da Sesto Carnera, Sph e Kiquè Velasquez. Un progetto fuori dagli schemi, nato in maniera spontanea dall’incontro di tre personalità forti, diverse, ma profondamente affini nella visione artistica. Una sintonia creativa costruita sull’amicizia, sulla fiducia reciproca e sulla condivisione autentica di esperienze, idee e fragilità.

“Panicoteca” non è solo un disco: è un luogo mentale, uno spazio libero in cui si intrecciano storie personali, radici culturali e musicali differenti, visioni del mondo e sperimentazioni sonore. È una sorta di archivio emotivo, una raccolta di istantanee dell’anima che raccontano il presente senza filtri, con intensità e poesia.

I tre artisti – con background diversi ma tutti da tempo radicati nell’underground italiano – firmano un lavoro intenso, introspettivo e orgogliosamente indipendente. Nessun compromesso, nessuna rincorsa a logiche di mercato. Solo verità, suono e parola.

In questa intervista ci raccontano la genesi del progetto, il senso profondo del fare musica oggi e l’alchimia invisibile che ha dato vita a un disco nato dal basso ma carico di ambizione, significato e urgenza espressiva.

La nostra intervista a SPH, Sesto Carnera e Kiquè Velasquez

“Panicoteca” è un titolo enigmatico. Come è nato e cosa rappresenta per voi questo nome?

Sesto Carnera: «Il concept “Panicoteca” mi venne in mente durante una data a Manduria a giugno 2024 in cui suonammo io ed Sph; eravamo in piena lavorazione del disco ed avevamo bisogno del concetto che finisse di dare senso al corpo del disco e completarlo. L’idea di descrivere le situazioni della piazza dal punto di vista di una paninoteca la trovavo estremamente appropriata. Cercai un qualcosa che rappresentasse il più possibile quello che stavamo raccontando. Inoltre, questo per me è stata l’ennesima conferma dell’importanza di vivere fortemente insieme la vita, oltre che la musica con chi si collabora. La cosa più bella del fare questo disco, per me, credo sia stato proprio l’enorme affinità fra noi tre, nata, dopo la stima reciproca iniziale.»

Siete tre artisti con esperienze musicali e di vita diverse, eppure il vostro lavoro sembra avere una coesione unica. Come avete combinato le vostre visioni per “Panicoteca”? E come è iniziato il vostro rapporto musicale e umano?

Kiquè Velasquez: «Io ed Sph siamo amici da svariati anni, abbiamo già collaborato e usciamo insieme da sempre; quando devo produrre qualcuno mi immedesimo nella sua persona, cercando di valorizzarne l’ espressione artistica, infatti tutto il disco è stato fatto in questa maniera. Ho conosciuto Sesto durante una collaborazione con Prodest (nome del brano Pointillisme) e già da quella prima sessione gli dissi che avremmo avuto molto da condividere, invitandolo a rifarsi vedere per la sinergia creatasi da quel primo incontro.

Conoscendo bene Sph ho pensato subito che i 2 ragazzi sarebbero stati potentissimi se si fossero messi assieme a fare musica e così è stato infatti, tutte le tracce sono frutto di naturalezza e spontaneità di 3 pazzi che si son trovati. Le modalità di lavoro sono state diverse: 1 brano ad esempio è partito da una strofa di Sesto su cui ho costruito ed arrangiato il beat e per gli altri, mentre facevo i beat ho “sentito”, come se mi fosse comparsa nella mente, la loro strofa già sopra; per “Panopticon” ho voluto riarrangiare completamente la seconda strofa per esaltare ancora di più l’espressione di SPH.

Per “Il disco che uscì dal bagno e scomparve” avevo fatto un beat remixando T-Pain, poi Sesto c’ha scritto sopra e un giorno, quando eravamo a cena io e Sesto è arrivato SPH, gliela facciamo sentire ed è partito subito col ritornello che poi ho cantato io in talkbox! Insomma, devo dire che c’è stata un’ottima coesione e ne sono molto felice! Questo succede solo quando si sta con persone con cui condividi tanto.»

ossidiseppia sesto carnera

Sesto, San Severo ha una storia complessa. In che modo la città ha influenzato il tuo approccio al rap e la creazione di questo album? Come le vostre origini hanno plasmato il vostro sound?

Sesto Carnera: «San Severo non è solo la mia città di origine ma un tatuaggio nell’animo che mi porto dentro. Il mio paese influenza costantemente la mia musica in ogni forma possibile. L’ obiettivo che mi sono prefissato è quello di mettere la bandierina sulla mappa. Trovo di fondamentale importanza dare voce alla mia provincia e fare in modo che i vicoli di ogni paese dauno e garganico vengano raccontati ed esposti a livello nazionale, come d’altronde, succede già ad alcune realtà meridionali. Abbiamo storie importanti e complicate che abitano un territorio sofferente, l’urgenza narrativa è parecchia e le nuove generazioni hanno bisogno di potersi rivedere nel concepire le forme di espressioni come necessità dell’essere.»

Kiquè Velasquez: «Cagliari, le sue palme, il suo mare e la scena sarda hanno sicuramente forgiato la mia identità; ho avuto la fortuna di avere dei maestri importanti da ragazzino quali Big Udella di Cagliari che mi ha fatto un po’ da fratello maggiore, RD degli Stranos Elementos di Porto Torres, Gamo Blaqaut e Nat51 di Nuoro (grazie Nuoro per aver tirato fuori così tanta bella gente!) quindi il mio sound è sempre stato un misto ed è molto grazie a loro se sono quello che sono ora; son veramente grato di avere avuto questi maestri, soprattutto considerando che in quel periodo in cui le info erano preziose non tutti erano disposti a condividerle !»

Sph, per citare i Colle e un celebre film…Dove sei stato per tutto questo tempo a seguito del tuo disco “Senza Meta”? Come si inserisce questo disco nella tua evoluzione umana e musicale?

Sph: «Sono sempre stato qua anche se solo con qualche featuring. Forse dopo “Senza Meta” credo di aver vissuto un po’ male il cambio generazionale molto repentino ma ho sempre, seppur con le mie pause, prodotto qualcosa anche se poi queste ultime cose non sono andate a buon fine e quindi pubblicate. Conoscere Sesto Carnera e stringere ancora di più il rapporto con Kiquè Velasquez ha sicuramente riacceso la voglia di uscire con nuova musica, probabilmente devo ammettere a me stesso che da solo avrei fatto parecchia fatica.»

Kique, la tua capacità di spaziare tra generi è evidente. Cosa c’è dietro i suoni di “Panicoteca”?

Kiquè Velasquez: «Il primo beat l’ho fatto nel 2001 quindi ormai sono 24 anni che lo faccio; ascolto tanta musica di tutti i generi a patto che sia musica con l’anima e ultimamente son molto interessato ad artisti che innovano col loro sound design, questo sicuramente aiuta tanto inoltre, come dicevo prima, alla base delle mie produzioni c’è sempre la volontà di immergermi al massimo nelle persone con cui collaboro per poterle valorizzare in toto. Per qualche brano mi sono lasciato ispirare da dei sample che ho trovato perfetti per loro, tanti altri invece sono interamente suonati.»

“Panicoteca” esplora temi contrastanti, dall’oscurità della strada all’introspezione personale. Qual è la traccia che secondo voi meglio rappresenta il progetto?

Tutti e tre: «Le tracce che sentiamo di maggiore rappresentanza sono due: “Guerra di Nasi” e “Panopticon”.Panopticon invece rappresenta il corpo del disco a livello sonoro. Pensiamo possa essere il beat cardine che abbraccia il corpo del disco nelle produzioni. Inoltre rispetto al primo brano citato, tematicamente sta all’opposto, nel senso che è uno dei due brani che esce al di fuori dei temi ricorrenti dell’album dando un messaggio ricercato e profondo oltre che tendente alla riflessione.»

Sesto Carnera: «La prima, nonostante l’allegoria nel titolo, esce fuori dal clichè solito del solito racconto urbano; tutto questo, perché abbiamo affrontato la scrittura trattando la questione della dipendenza ed utilizzo di sostanze in una forma poetica ed emotiva. Siamo riusciti a scendere in modo introspettivo in alcuni degli aspetti delle nostre ombre. Sento di aver sanguinato in quel brano.»

Cosa vi motiva a rimanere fedeli alla vostra visione musicale, al di là delle mode del momento? Per voi, cosa significa fare musica autentica?

Kiquè Velasquez: «Non ho alcun motivo di rimanere fedele per partito preso e credo che la coerenza sia un concetto di per se incastrante, antievolutivo o di chi non cresce ammenoché non sia la conseguenza dell’evoluzione di una persona che mantiene il suo essere e lo sviluppa. La mia musica è semplicemente l’espressione di me stesso e dell’incontro con altre persone e quello che succede tra noi lo traduco in musica; non ho alcun motivo né sarebbe compatibile con me esprimere altro, io sono così e così è la mia musica, infatti a seconda del periodo si può capire benissimo come stavo anche se io da produttore non posso esprimermi in parole; le mode del momento le lascio a chi ha bisogno di ricercare la propria identità in qualcosa di esterno al sé.»

Qual è stata la sfida più grande nel creare “Panicoteca” e come l’avete affrontata ?

Sph e Sesto Carnera: «Credo che paradossalmente, gli unici ostacoli che abbiamo incontrato siano legati alla questione di dover provvedere alla pubblicazione del prodotto totalmente da indipendenti. La vera sfida è stata quella fuori dallo studio, dove abbiamo dovuto indirizzare tutte le idee sui contenuti, pubblicazione sugli store e creazione del merch senza un’etichetta o una figura manageriale, con anche un pizzico di inesperienza nel campo citato. Detto ciò, possiamo dire che ci siamo comunque divertiti, ognuno ha cercato di comprendere l’altro attuando una compensazione dei compiti vicendevole.»

 

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“Panicoteca” è un progetto che mescola diversi mondi musicali. Quale aspetto della vostra musica vi entusiasma di più, e come pensate possa evolversi nei vostri prossimi lavori?

Tutti e tre: «Non abbiamo idea degli sviluppi futuri ma quello che ci entusiasma è il potenziale alchemico del nostro trio; abbiamo notato che riusciamo a creare una formula che ci piace, dove compensiamo le carenze di ognuno di noi e di conseguenza potenziamo il prodotto finale rendendolo più completo e crescendo allo stesso tempo individualmente.»

Progetti futuri? Qualche data estiva?

Tutti e tre: «Come dicevamo nella risposta precedente non sappiamo come svilupperemo il tutto. La cosa sicura è che in qualche modo continueremo sempre a lavorare insieme, poi, le modalità e le tipologia di progetto le capiremo e le scopriremo successivamente. Ci sentiamo nel pieno dei nostri percorsi dove abbiamo bisogno di dare tanto, dobbiamo solo scegliere come canalizzare tutta questa creatività che sentiamo dentro. Per quanto riguarda le date: a breve pubblicheremo le prime tappe di presentazione del disco. A maggio inizieremo a portare in giro “Panicoteca”. Ringraziamo Rapologia per l’interesse nei nostri confronti.»

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