Italia indietro rispetto alla Francia per contratti rigidi e salari bassi
Volendo fare un paragone calcistico è come se la Francia lottasse stabilmente per la Champions, provando a contendere il primato alla Germania, e l’Italia si accontentasse invece dell’Europa League, finendo alle spalle anche di Spagna e Olanda. A dirlo sono le ultime statistiche sui tassi di aggiudicazione delle “borse” di ricerca erogate dall’European research council […] L'articolo Italia indietro rispetto alla Francia per contratti rigidi e salari bassi proviene da Iusletter.

Volendo fare un paragone calcistico è come se la Francia lottasse stabilmente per la Champions, provando a contendere il primato alla Germania, e l’Italia si accontentasse invece dell’Europa League, finendo alle spalle anche di Spagna e Olanda. A dirlo sono le ultime statistiche sui tassi di aggiudicazione delle “borse” di ricerca erogate dall’European research council (Erc) e finanziate da Horizon Europe. A fine 2024, con un tasso di successo dell’11%, il nostro Paese è quinto alle spalle di tedeschi, francesi, spagnoli e olandesi. Come era alla fine di Horizon 2020 quando però in campo c’erano a pieno titolo anche Uk.
Nonostante la nostra capacità di vincere i bandi competitivi dell’Erc sia aumentata (dal 7% all’11% appunto) tra il vecchio ciclo 2014-2020 e il nuovo 2021-27 le risorse intercettate dai transalpini, nel frattempo, sono salite dal 14 al 17 per cento. Ciò significa sia che il gap di competitività dei due sistemi pubblici di innovazione è radicata nel tempo, sia che non sta diminuendo. Basta prendere il loro primo ente per call vinte – il Cnrs, l’equivalente del nostro Cnr, con 870 – e il nostro: l’Iit con aggiudicate 67. È in questo contesto che va collocato lo scontro diplomatico della settimana scorsa tra i due Paesi. Con la fuga in avanti del presidente francese Emmanuel Macron, che ha organizzato alla Sorbona di Parigi l’evento “Choose Europe for science” nella speranza di accogliere quanti più ricercatori possibili in fuga dagli Usa dopo la stretta di Donald Trump, e l’irritazione dell’Italia. Con la ministra Anna Maria Bernini che ha commentato: «Gli altri annunciano, noi abbiamo già fatto». Facendo riferimento al bando di metà aprile che ha stanziato 50 milioni per il rientro di cervelli, italiani o stranieri, attualmente all’estero.
Seppure contigui per ragioni territoriali i due sistemi sono però profondamente diversi. Per capirlo meglio basta scorrere lo studio pubblicato su Higher Education Quarterly (“How to Protect the Taste for Science”, 2024) che riflette sugli elementi strutturali. Ebbene, l’attrattività di un sistema non dipende solo da salari e singole iniziative, per quanto importanti, ma dalla qualità complessiva delle condizioni di lavoro, frutto di una strategia di lungo periodo. Il concetto di “taste for science” riguarda la motivazione intrinseca alla base della ricerca, che può essere erosa da precarietà, scarsa autonomia, burocrazia e incertezze di carriera. La Francia ha una tradizione che, pur con le sue specificità, preserva la motivazione alla ricerca mentre l’Italia conferma la sua lunga storia di criticità: progressioni di carriera discontinue, burocrazia pesante, contratti rigidi. Se guardiamo ai salari degli atenei pubblici, ad esempio, il nostro Paese vanta un gap importante nei livelli di ingresso della carriera (28mila contro 42mila, quasi il 50% in meno) che si riduce con la qualifica di professore associato (-9% rispetto all’analogo francese “maître de conférences”) e si annulla sostanzialmente se confrontiamo un nostro ordinario con il loro “professeur des universités”.
Per attrarre ricercatori non bastano singole iniziative per quanto lodevoli, ma occorre un percorso strutturale che migliori lo status di chi fa ricerca. La Francia, storicamente, ha avuto un approccio più strutturato, soprattutto nelle istituzioni di eccellenza, che giustifica il differenziale tra i due Paesi. Focalizzarsi solo sugli stipendi o sugli incentivi fiscali rischia di essere peraltro inefficace e anche un po’ frustrante. Le risorse non sono l’unico problema e non basta solo investire di più se non muta il contesto.
Ecco che “Choose Europe” può essere un messaggio importante, purché sorretto da azioni coerenti. Non basta (ri)portare ricercatori in Italia o in Europa (magari per “ricongiungimento familiare”); bisogna far sì che restino, si esprimano e crescano, diventando motori di sviluppo sociale ed economico. Per competere davvero serve costruire un sistema stabile, basato su trasparenza, efficienza ed efficacia, evitando la divisione tra chi si limita a chiedere più risorse e chi sta ancora pagando il conto di un passato che non si cambia in un giorno.
L'articolo Italia indietro rispetto alla Francia per contratti rigidi e salari bassi proviene da Iusletter.