Rischio e incertezza, teoria e pragmatismo
Sui limiti del calcolo probabilistico negli investimenti e come creare un portafoglio equilibrato che consideri sia la matematica che la psicologia. Strategie pratiche per investire in condizioni di incertezza senza perdere il sonno. The post Rischio e incertezza, teoria e pragmatismo appeared first on Investitore Comune.
“C’è il 5% di probabilità che questo investimento generi una perdita.” Quando il vostro consulente vi dice che c’è il 95% di probabilità di guadagnare, sta applicando concetti matematici eleganti a situazioni dove il calcolo probabilistico ha dei grossi limiti. È come usare un’equazione differenziale per decidere cosa mangiare a cena: intellettualmente stimolante, ma praticamente inutile.
Non fraintendetemi. Non voglio smontare decadi di studi di ottimizzazione di portafoglio (non ne avrei le capacità), anche perché sono il primo ad applicare distribuzioni di probabilità ai rendimenti del mio portafoglio per stimare deviazione standard futura, il VaR, il CVaR e compagnia cantante. Il punto è la consapevolezza circa l’affidabilità di questi risultati.
Il mio portafoglio non è costruito massimizzando lo sharpe ratio, ma calcolo lo sharpe ratio del mio portafoglio una volta costruito. Non so se sono stato chiaro. Provo a spiegare questo concetto in modo diverso: non baso le mie decisioni di investimento su modelli di calcolo probabilistici, ma uso i modelli di calcolo per migliorare la consapevolezza delle mie decisioni.
Il motivo è semplice. In quanto esseri umani abbiamo un pessimo rapporto col calcolo delle probabilità. Lasciate che ve lo dimostri con un gioco stupido. Immaginate di lanciare due monete e di sapere soltanto che almeno una è “testa”. Qual è la probabilità che entrambe le monete siano “testa”? La maggior parte risponderà 50%, ma la risposta corretta è 33%. Se non ci arrivate da soli, beveteci sopra una birra e passate oltre. Il punto è che siamo geneticamente incapaci di valutare correttamente le probabilità.
Quando non sappiamo calcolare esattamente qualcosa, usiamo delle scorciatoie mentali chiamate euristiche. E’ stato dimostrato che in ambienti naturali alcune di queste euristiche (fast and frugal, take-the-best, razionalità ecologica e così via) portano a risultati migliori rispetto a calcoli complessi. Sicuramente questo è vero in ambienti in cui prendere decisioni veloci aumenta la propria sopravvivenza. Tuttavia (lungi da me voler dar contro al professor Gigerenzer) se la maggior parte di noi avesse fatto un calcolo “di pancia” sull’esempio precedente avrebbe cannato completamente la risposta.
Non voglio dire ovviamente che sfruttare un certo tipo di scorciatoie mentali sia sbagliato, ma che dobbiamo avere la consapevolezza dei nostri limiti. Se agissimo sempre con scorciatoie mentali la nostra percentuale di errore sarebbe mostruosamente alta, a maggior ragione se non abbiamo alle spalle studi accademici che ci hanno dato la forma mentis per poter effettuare questo tipo di calcoli in modo corretto.
Al tempo stesso è importante creare dei processi di calcolo semplici. Più variabili inseriamo in un modello, più ipotesi dobbiamo fare, più probabilità abbiamo che almeno una sia sbagliata. È come costruire un castello di carte sempre più alto. Più carte aggiungiamo, più diventa fragile.
Un altro grosso problema del calcolo delle probabilità ai nostri portafogli sono gli intervalli di confidenza. Prendiamo ad esempio il Value at Risk. Per far vedere quanto sono figo lo calcolo anche per il mio portafoglio. Normalmente il VaR è una misura di rischio che le banche e i gestori usano per calcolare quanto possiamo perdere in scenari negativi. Lo trovate anche all’interno dei pdf da 200 pagine dei fondi che il vostro consulente vi ha fatto acquistare l’anno scorso. In un certo senso dà sicurezza. La verità è che questa misura, come tante altre, ha un intervallo di confidenza talmente ampio da renderla praticamente inutile. Quando un analista vi dice che il VaR al 99% del vostro portafoglio è 100.000 euro, quello che non vi dice è che, con un anno di dati, l’intervallo di confidenza varia da 64.000 a 216.000 euro. Praticamente è come dire “potrebbe piovere, o forse no”. È come se il vostro medico vi dicesse che siete alti tra 1,20 e 2,10 metri: tecnicamente corretto, ma completamente inutile.
Il terzo problema di questi modelli è che il vostro percorso come investitori è il risultato del lancio di un dado con infinite facce. Detto in altre parole ciò che accade alla “media di molti investitori” (utilizzata nei modelli finanziari) è fondamentalmente diverso da ciò che accade al “singolo investitore nel tempo” (voi!). Questo concetto prende il nome di non ergodicità. In soldoni, la diversificazione temporale (piano di accumulo) è importante tanto quanto quella tra asset class, ma soprattutto l’obiettivo principale per ciascun investitore deve essere azzerare a tutti i costi il rischio di rovina. Anche a costo di lasciare sul piatto del rendimento.
Se volete approfondire vi lascio di seguito la puntata di Too big too fail dove il trio delle meraviglie ne parla con Luca Dellanna (aspetto bonifico per la markettata sul conto che abbiamo concordato).
In soldoni potete avere il portafoglio statisticamente perfetto, ma se non riuscite a dormire la notte per l’ansia, non serve a niente. La finanza non è solo numeri, è anche (e soprattutto) psicologia. La tolleranza al rischio è una questione profondamente soggettiva. Alcuni di voi impallidiscono per una perdita del 5%, altri dormono sonni tranquilli anche con fluttuazioni del 30%. Non esiste la risposta giusta, esiste quella che vi permette di non diventare matti. C’è un enorme divario tra il rischio “reale” (qualunque cosa significhi) e il rischio “percepito”. Durante i periodi di panico, sopravvalutiamo enormemente i rischi; durante le bolle, li sottovalutiamo pericolosamente. Siamo prevedibilmente irrazionali, e costruire un sistema di investimento che non tenga conto di questa realtà è come progettare una macchina perfetta che nessuno sa guidare. La domanda vera non è “qual è il portafoglio ottimale secondo la teoria finanziaria moderna?”, ma “qual è il portafoglio che ci impedirà di vendere tutto nel panico della prossima crisi?”. E la risposta a questa domanda ha molto più a che fare con la psicologia che con la matematica.
Quando si cita Taleb e il suo concetto di Estremistan, molte persone finiscono col chiedersi “E quindi? Come devo comportarmi?”. Una critica che viene fatta spesso infatti è che nei suoi testi non viene fornita una risposta univoca, una strada da seguire, una strategia da attuare. Taleb in realtà fornisce la risposta molte volte durante la lettura dei suoi libri, ma non vogliamo vederla perché il nostro cervello la rifiuta. Dobbiamo familiarizzare col concetto di incertezza. Dobbiamo accettare il fatto che le cose non vadano come ci aspettiamo. L’incertezza è incertezza in quanto tale e se la probabilità che un certo evento si verifichi fosse perfettamente calcolabile non sarebbe più incerto.
Ho parlato volutamente di incertezza e non di rischio.
La distinzione fondamentale tra rischio e incertezza risale agli studi dell’economista Frank Knight nel 1921. Quando parliamo di rischio, ci riferiamo a situazioni in cui possiamo effettivamente misurare e quantificare le possibilità. Conosciamo tutti i possibili risultati e siamo in grado di calcolare con una buona precisione le loro probabilità. Pensate al gioco d’azzardo: quando tirate i dadi o giocate alla roulette, sapete esattamente quali sono le vostre probabilità di vincita.
L’incertezza, invece, è una bestia completamente diversa. In situazioni di incertezza non riusciamo a quantificare in modo affidabile cosa potrebbe accadere, o lo facciamo con estrema difficoltà. Non solo, ma spesso non conosciamo nemmeno tutti i possibili risultati che potrebbero verificarsi. Le probabilità diventano impossibili da calcolare con precisione. Un esempio calzante è l’impatto che una nuova tecnologia potrebbe avere sull’economia nei prossimi decenni: possiamo fare ipotesi, certo, ma siamo fondamentalmente nell’ambito dell’incertezza, non del rischio calcolabile.
Quindi, cosa facciamo con tutti questi dubbi? Teniamo i soldi sotto il materasso? Non dobbiamo e non vogliamo rinunciare ad investire, ma dobbiamo provare a cambiare il nostro modo di pensare. Il primo passo è accettare l’ignoranza. Sapere di non sapere è più potente che credere di sapere quando in realtà non si sa. La saggezza socratica applicata agli investimenti, se volete. Ridurre le ipotesi al minimo è il secondo comandamento. Ogni previsione che fate è un’opportunità per sbagliare. Quindi, meno ne fate, meglio è.
Una soluzione è quella di partire dagli obiettivi, non dagli strumenti. Non chiedetevi “quanto renderà questo ETF?”, ma “di quanto avrò bisogno tra X anni e come posso arrivarci?”. Non dovete creare il vostro portafoglio massimizzando lo sharpe ratio, ma potete calcolare lo sharpe ratio una volta creato il vostro portafoglio per validare il vostro ragionamento.
La diversificazione resta importante, ma non perché “riduce il rischio” nel senso matematico del termine. È importante perché vi protegge dalla vostra ignoranza. Non sapete (e non potete sapere) quale settore o area geografica performerà meglio nei prossimi anni, quindi è razionale non concentrare tutte le vostre scommesse.
Il ribilanciamento periodico non dovrebbe essere basato su proiezioni statistiche, ma su risultati reali. Se un’asset class cresce molto più delle altre, riducetela. Non perché “statisticamente” dovrebbe sotto performare in futuro, ma perché prendere profitti e redistribuirli è una strategia robusta che funziona anche in condizioni di profonda incertezza. E soprattutto, abbandonate l’idea che esista una formula magica. Non cercate l’approccio che massimizza il rendimento teorico, cercate quello che vi permette di restare investiti a lungo termine senza impazzire. La costanza batte l’ottimizzazione ogni singolo giorno.
Gli ETF passivi sono cresciuti enormemente non perché la gente ha studiato la teoria della scelta in condizioni di incertezza, ma perché ha intuito che la semplicità e i costi bassi battono regolarmente le strategie complesse e costose. L’empirismo pratico sta vincendo sulla teoria astratta. In fondo, investire non è diverso dal resto della vita: navighiamo nell’incertezza, facciamo del nostro meglio con le informazioni limitate che abbiamo, ci adattiamo ai cambiamenti e speriamo di arrivare a destinazione un po’ più ricchi (non solo economicamente) di quando siamo partiti. E se qualcuno vi dice che ha la formula segreta per eliminare l’incertezza, tenetevi stretto il portafoglio – e non quello di investimenti.
La prossima volta che il vostro consulente finanziario vi mostrerà una presentazione piena di proiezioni precise fino al decimale, sorridete educatamente e ricordatevi di Bruno de Finetti: la probabilità non esiste, e chi finge il contrario vi sta vendendo illusioni. Meglio pochi principi solidi che mille formule vuote. Meglio un approccio che riconosce i propri limiti che uno che promette l’impossibile. E soprattutto, meglio dormire sonni tranquilli con un rendimento “sufficiente” che passare le notti in bianco inseguendo la performance “ottimale”.
Grazie per la lettura.
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