In tre anni in Italia sono più che raddoppiati i minori detenuti in carcere

In tre anni, dal 2021 al 2024, gli adolescenti detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) sono passati da 139 a 311, con un aumento del 124%. Guidano la classifica Campania, Lombardia e Sicilia, rispettivamente con 48, 44 e 40 detenuti minorenni, dunque con un’età compresa tra i 14 e i 17 anni. A rivelarlo è l’ultimo […] The post In tre anni in Italia sono più che raddoppiati i minori detenuti in carcere appeared first on L'INDIPENDENTE.

Mar 28, 2025 - 14:19
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In tre anni in Italia sono più che raddoppiati i minori detenuti in carcere

In tre anni, dal 2021 al 2024, gli adolescenti detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) sono passati da 139 a 311, con un aumento del 124%. Guidano la classifica Campania, Lombardia e Sicilia, rispettivamente con 48, 44 e 40 detenuti minorenni, dunque con un’età compresa tra i 14 e i 17 anni. A rivelarlo è l’ultimo rapporto del Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC), una rete di organizzazioni del Terzo Settore impegnate a tutelare i diritti dei minori. Il Gruppo CRC, a differenza del governo che ha intrapreso la strada della repressione, sottolinea il ruolo che le disuguaglianze territoriali giocano nella vita dei ragazzi, condizionandone il percorso di crescita.

La popolazione complessiva degli IPM ammonta a 519 persone: ai 311 adolescenti si aggiungono 208 ragazzi con età compresa tra i 18 e i 24 anni. In alternativa al carcere, 968 minori scontano la pena in comunità principalmente private (quelle ministeriali accolgono soltanto 26 dei 968 ragazzi). Sono invece quasi 16mila i minorenni presi in carico dai servizi sociali. Tanto quest’ultimo quanto il ricorso alle comunità sono dei fenomeni con un trend in calo nel triennio 2021-2024, a differenza invece della detenzione negli IPM. Si tratta di un segnale di criticità del sistema di giustizia minorile italiano, che per anni è stato un “modello di riferimento per un percorso educativo e di risocializzazione sempre considerato prioritario rispetto alla detenzione”, come sottolinea il Gruppo CRC.

L’indirizzo politico del governo Meloni, legato alla stretta repressiva di cui il decreto Caivano è simbolo, ha giocato un ruolo attivo nello smantellamento di questo modello virtuoso,  a maggior ragione se si considera l’attenzione rivolta più al “merito” che alle diseguaglianze che inevitabilmente influenzano la crescita di bambini e ragazzi. Ridurre il disagio giovanile a un tema di ordine pubblico vuol dire reprimere al posto di educare, per una scelta che “premia” in un primo momento con la soddisfazione delle masse ma a lungo termine provoca inevitabili fallimenti.

[di Salvatore Toscano]

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