Dal rock alla passione per la lirica: "L’opera in spazi abbandonati"

Il regista fiorentino Jacopo Spirei: "La musica è un linguaggio universale, apre i tanti livelli dell’anima"

Apr 20, 2025 - 07:26
 0
Dal rock alla passione per la lirica: "L’opera in spazi abbandonati"

Una carriera in tutto il mondo nelle regie dell’opera lirica, tra Copenaghen, New York, Londra e Salisburgo, dove nel 2013 si è aggiudicato il ‘The Audience Prize’ al Landestheater. Eppure, per Jacopo Spirei, "Firenze è casa. Sono cresciuto a Campo di Marte e ora vivo alle Cure". A Firenze non ha mai lavorato, ma il sogno di poter fare qualcosa qui è grande, perché "la città vive un momento complicato, con lo svuotamento del centro storico e l’abbandono delle periferie. C’è bisogno di riportare la cultura al centro del dibattito cittadino".

Spirei, dove nasce la passione per la lirica?
"Ero manager di una band rock e il frontman iniziò a prendere lezioni di canto lirico. Lo seguii nella prima produzione. Avevano bisogno di un assistente e andai volontario. Fu una folgorazione".

È cresciuto a Firenze. Che rapporto ha con la città?
"Passionale. Crescere a Firenze ti espone a uno humor dissacrante che nutre l’anima e l’intelletto. Bisogna ricordare, poi, che l’opera è nata qui, in un circolo culturale che voleva riportare in vita la tragedia greca".

Le sue ambientazioni sono spesso contemporanee. Perché è così importante l’oggi nella lirica?
"La lirica nasce contemporanea, per parlare a un pubblico moderno. È necessario eliminare tutti i filtri che la circondano e far parlare il testo, un lavoro già fatto da tanti compositori e librettisti".

Ha anche diretto la versione lirica di ‘Brokeback Mountain’. Com’è stata l’esperienza?
"Bellissima. È un lavoro sull’amore universale. È la storia di due uomini sposati che si innamorano. Ho imparato molto su di me, sulle dinamiche dell’amore. Lavoro spesso con la musica barocca e lì le distinzioni di genere sono fluide. In Brokeback Mountain il tema è lo stesso, con la tragedia di una società che non accetta".

L’opera viene spesso considerata ‘vecchia’. Come si può avvicinare il pubblico?
"L’opera vive il pregiudizio che è difficile e che va conosciuta. Ma la musica è un linguaggio universale. Come tutta l’arte non ha bisogno di grande conoscenza perché ti apre ai tanti livelli dell’anima. E se il pubblico non va all’opera, bisogna portare l’opera al pubblico, uscendo dai teatri e rendendola fruibile. I teatri non sono templi".

I teatri promuovono nuove produzioni, come ‘Romanzo Criminale’ al Maggio. È necessario che tornino popolari, come dice Piovani?
"Assolutamente. Perché questa è la sua vocazione, soprattutto in Italia. La lirica è un linguaggio importante ed essenziale, perché il musical ha il limite di non riuscire a trattare temi intensi e difficili".

Le piacerebbe lavorare al Maggio?
"Sarebbe un onore. In Italia sarò a Torino con ‘Hamlet’ e torno con ‘Faustus’ al Festival Verdi di Parma".

In passato ha portato avanti un progetto sperimentale che univa opera e cinema. Lo rifarebbe?
"Sì. Ma oggi ho in mente un progetto legato alla rigenerazione degli spazi urbani. Vorrei riportare l’opera in spazi abbandonati prima che diventino progetti edilizi legati all’ospitalità e all’intrattenimento. Ce ne sono molti anche a Firenze".