Patto di non concorrenza: tassazione
Il patto di non concorrenza rappresenta uno strumento contrattuale sempre più diffuso, specialmente al termine di rapporti di lavoro dirigenziali, mediante il quale un’azienda si tutela assicurandosi che l’ex dipendente non metta a disposizione di imprese concorrenti il proprio know-how per un determinato periodo. A fronte di tale obbligo limitativo, viene corrisposto un compenso specifico. […] L'articolo Patto di non concorrenza: tassazione proviene da Fiscomania.

Il patto di non concorrenza rappresenta uno strumento contrattuale sempre più diffuso, specialmente al termine di rapporti di lavoro dirigenziali, mediante il quale un’azienda si tutela assicurandosi che l’ex dipendente non metta a disposizione di imprese concorrenti il proprio know-how per un determinato periodo. A fronte di tale obbligo limitativo, viene corrisposto un compenso specifico.
La corretta qualificazione fiscale di questi compensi assume un’importanza cruciale, in particolare quando le parti coinvolte (ex datore di lavoro ed ex dipendente) risiedono in Stati diversi. La questione centrale riguarda l’individuazione dello Stato (o degli Stati) avente diritto a tassare tali somme: si tratta di redditi assimilabili a quelli da lavoro dipendente, tassabili nello Stato in cui l’attività lavorativa pregressa è stata svolta, oppure di somme sui generis la cui tassazione spetta esclusivamente allo Stato di residenza del percipiente?
Il patto di non concorrenza
Il patto di non concorrenza è l’accordo con cui il lavoratore si impegna a non svolgere attività di concorrenza nei confronti del datore di lavoro, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, e per un determinato periodo di tempo, ricevendo in cambio un determinato compenso.
Lo scopo di tale clausola è quello di estendere, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto, l’obbligo di non concorrenza che, in costanza del rapporto stesso, è imposto al lavoratore ai sensi dall’art. 2105 c.c. Questo trova disciplina nell’art. 2125 c.c., che individua specifici requisiti cui è subordinata la validità del patto stesso. Questo, deve determinare in modo specifico i limiti di oggetto, di tempo e di luogo a cui il lavoratore è sottoposto, al fine di non compromettere totalmente l’espletamento dell’esercizio professionale. Inoltre, l’ammontare del compenso deve essere adeguato al sacrificio derivante dal patto.
Requisiti
Ai sensi dell’art. 2125 c.c., questo accordo soggiace ad una serie di limiti che – in un’ottica di bilanciamento di interessi – segnano il discrimine tra patto valido, in quanto diretto a garantire esigenze ed aspettative del datore di lavoro, e patto nullo, in quanto lesivo in maniera rilevante degli interessi del lavoratore in termini di ricollocazione lavorativa.
L’art. 2125 c.c. prevede per il patto pena la sua nullità, i seguenti requisiti:
- Forma scritta;
- Definizione dell’oggetto;
- Durata predefinita;
- Individuazione di un ambito territoriale di operatività;
- Determinazione di un corrispettivo.
Solo il requisito del limite temporale trova espressa specificazione nel dato normativo. Con riferimento agli ulteriori requisiti, l’art. 2125 c.c., invece, richiede solo che questi siano “determinati“, lasciando alle parti la loro concreta specificazione.
Nel caso in cui il patto sia dichiarato nullo, il datore di lavoro può esercitare l’azione di ripetizione delle somme corrisposte al lavoratore in esecuzione del patto, con la conseguenza che quest’ultimo sarà tenuto a restituirle.
Forma scritta
L’art. 2125 c.c. prevede la nullità del patto che non risulti da atto scritto. La stipulazione del patto può intervenire:
- Al momento dell’assunzione (con specifica clausola inserita nel contratto o con atto separato);
- O successivamente, sia nel corso del rapporto di lavoro (ad es., in seguito a un mutamento di mansioni o a una promozione), sia in occasione della cessazione del medesimo.
Il vincolo si perfeziona con la pattuizione, l’effetto finale si spiega dopo la cessazione del rapporto. È valido il patto che sia sottoscritto con documento separato, senza l’apposizione di una seconda sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c., richiedendo tale norma una sottoscrizione specifica solo nel caso di patto inserito in un complesso di condizioni contrattuali.
Durata
Quanto all’estensione temporale, il patto non può avere una durata superiore:
- a 3 anni per la generalità dei prestatori di lavoro;
- a 5 anni per i dirigenti.
I termini decorrono dal primo giorno successivo alla cessazione dell’attività lavorativa.
Oggetto
L’oggetto del patto si identifica nelle attività inibite al lavoratore una volta cessato il rapporto di lavoro. L’art. 2105 c.c. prevede, in capo al lavoratore, l’obbligo di fedeltà che si sostanzia nell’obbligo:
- Di non concorrenza: non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore;
- Di riservatezza: non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
Diversamente dall’obbligo di riservatezza – che vincola il lavoratore anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro – l’obbligo di non concorrenza opera esclusivamente durante l’esecuzione del rapporto di lavoro. In caso di mancata stipulazione di patto il lavoratore, alla cessazione del vincolo lavorativo, potrà, pertanto, intraprendere – in proprio o quale lavoratore subordinato presso altra impresa – qualsiasi attività, anche avente natura concorrenziale con quella praticata dal precedente datore di lavoro.
Territorio
L’art. 2125 c.c. prescrive che l’accordo – a pena di nullità – sia contenuto anche entro determinati limiti di luogo. Il riferimento territoriale:
- Deve essere indicato e deve essere specifico;
- Non può essere valutato in astratto, ma caso per caso e congiuntamente ai limiti di oggetto e allo scopo che si intende raggiungere:
- Rapporto di proporzionalità inversa con l’oggetto in relazione al settore di riferimento, alle mansioni espletate, al grado di specializzazione delle stesse (tanto più ampia sarà la serie di attività precluse al lavoratore nel periodo di riferimento, tanto più sarà doveroso circoscriverne il campo geografico);
- L’estensione di tale vincolo deve essere contenuta entro confini che rappresentino una certa utilità per l’imprenditore e che al contempo proteggano il lavoratore contro eccessive compressioni dell’attività di lavoro.
Corrispettivo
L’art. 2125 c.c. richiede, ai fini della validità del patto, l’esistenza di un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro a fronte della limitazione dello svolgimento dell’attività di quest’ultimo. La previsione del corrispettivo qualifica l’accordo come contratto a titolo oneroso a prestazioni corrispettive.
L’art. 2125 c.c. prevede la necessaria onerosità del patto ma non detta alcun criterio in ordine alla determinazione della misura del corrispettivo, ovvero alle modalità e ai tempi di corresponsione, lasciando alle parti ampia autonomia. La giurisprudenza ritiene che il patto di non concorrenza sia valido solo qualora preveda un corrispettivo congruo rispetto alla limitazione imposta al lavoratore. Ne deriva che:
- Sono nulli i patti che prevedano compensi simbolici o sproporzionati rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, alla riduzione delle sue possibilità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiestogli rappresenta per il datore di lavoro;
- La congruità del corrispettivo deve essere valutata alla luce delle circostanze del caso concreto, per cui non è possibile individuare un criterio universale per la quantificazione;
- Il compenso va necessariamente visto in connessione con gli altri elementi e dovrà essere tanto maggiore quanto più gravosi sono i vincoli post-contrattuali imposti al dipendente, e pertanto, quanto più sia:
- Elevata la posizione gerarchica del lavoratore e la retribuzione;
- Ampio il vincolo territoriale;
- Ampio il novero delle attività e/o dei datori individuati come concorrenti;
- Estesa la durata.
Diritto di recesso e di opzione
Questo tipo di accordo può essere sciolto solo con il consenso di entrambe le parti.
Si è a lungo dibattuto sulla validità di clausole, inserite nel patto che consentono al datore di lavoro:
- Di recedere unilateralmente dal patto (dispensando il lavoratore dal rispetto degli obblighi di non concorrenza e al contempo esonerando il datore di lavoro dal pagarne il corrispettivo);
- Di scegliere, entro un termine stabilito, se avvalersi o meno del patto (art. 1331 c.c.).
Diritto di recesso
In merito al recesso, l’orientamento prevalente ritiene, invece, nulla (per contrasto con norme imperative) la clausola che consente al datore di lavoro di recedere dall’accordo di non concorrenza alla data di cessazione del rapporto di lavoro o per il periodo successivo (Cass. n. 15952/2004; Cass. n. 212/2013. Conformi: Cass. n. 3/2018).
Diritto di opzione
In ordine al patto di opzione, la giurisprudenza ha affermato la legittimità del patto di opzione avente ad oggetto la conclusione di un accordo post contrattuale, prevedendo, invece, l’illegittimità del patto di opzione avente ad oggetto il recesso unilaterale – da parte del soggetto datoriale – da un patto già valido ed efficace, stipulato al momento dell’assunzione (Cass. n. 25462/2017. Conf.: App. Milano 2.9.2019 n. 908).
Tassazione ai fini delle imposte dirette
Il trattamento ai fini delle imposte dirette delle indennità relative al patto di non concorrenza dipende dalla natura del rapporto da cui originano.
Rapporto di lavoro subordinato
Vediamo la disciplina per il lavoratore e per il datore di lavoro ai fini delle imposte sui redditi.
Lavoratore
Qualora il patto di non concorrenza sia stipulato nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, l’indennità percepita è attratta a tassazione come reddito di lavoro dipendente (Risoluzione n. 234/E/2008). Tali somme sono assoggettate:
- A tassazione ordinaria, se erogate durante il rapporto;
- A tassazione separata, se elargite in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro (art. 17 co. 1 lett. a) del TUIR).
Fatta salva l’applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, l’indennità relativa al patto percepita da soggetti non residenti è imponibile in Italia ai sensi dell’art. 23 co. 2 lett. a) del TUIR, se corrisposta dallo Stato, da soggetti ivi residenti e da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti (Ris. Agenzia delle Entrate n. 234/E/2008).
Datore di lavoro
Il trattamento fiscale delle somme corrisposte al lavoratore in dipendenza di un accordo di non concorrenza ex art. 2125 c.c. risente delle incertezze che caratterizzano il relativo trattamento contabile.
Rilevazione di un fondo nel passivo
Laddove l’onere relativo al patto sia ripartito sugli esercizi intercorrenti tra la data di stipulazione del patto e la data di cessazione del rapporto di lavoro, mediante la rilevazione di un fondo nel passivo dello Stato patrimoniale, il relativo accantonamento non è fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa ex art. 107 co. 4 del TUIR, non rientrando tra quelli espressamente previsti dalle disposizioni relative alla determinazione del reddito d’impresa.
Imputazione all’esercizio di cessazione del rapporto
Laddove l’onere relativo al documento sia interamente imputato all’esercizio in cui cessa il rapporto di lavoro e l’indennità viene erogata, si ritiene che lo stesso concorra a formare il reddito imponibile nel medesimo esercizio.
Capitalizzazione tra le immobilizzazioni immateriali
Laddove l’onere relativo al patto di non concorrenza sia capitalizzato nell’esercizio in cui il corrispettivo viene erogato tra le altre immobilizzazioni immateriali e ammortizzato negli esercizi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, durante i quali il patto limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, le relative quote di ammortamento sono deducibili dal reddito di impresa nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio ex art. 108 co. 1 del TUIR.
Contratto di agenzia
Vediamo la disciplina per l’agente e per il suo preponente ai fini delle imposte sui redditi.
Agente
L’indennità spettante all’agente, quale corrispettivo dell’accordo di non concorrenza, ha natura risarcitoria, non provvigionale (art. 1751-bis co. 2 c.c.). L’inquadramento ai fini delle imposte dirette dell’indennità non è pacifico.
L’indennità potrebbe essere ricondotta nel reddito d’impresa (ai sensi dell’art. 6 co. 2 del TUIR) in quanto volta a risarcire l’agente dei mancati introiti conseguenti al divieto di sfruttare a proprio favore la clientela acquisita nell’esecuzione del rapporto contrattuale.
Secondo un’altra posizione, sarebbero applicabili le disposizioni sull’indennità per la cessazione del rapporto d’agenzia. Infine, considerandola quale corrispettivo per l’obbligazione assunta di non operare in concorrenza con l’ex impresa mandante, l’indennità potrebbe essere inquadrata tra i redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di non fare (art. 67 co. 1 lett. l) del TUIR).
Preponente
Gli accantonamenti operati a fronte di “premi fedeltà” erogati agli agenti al momento della cessazione del rapporto e collegati alla sottoscrizione di un patto di non concorrenza sono indeducibili dal reddito d’impresa ex art. 107 co. 4 del TUIR. Questo, in quanto non rientrano tra quelli espressamente previsti dalle disposizioni relative alla determinazione del reddito d’impresa. Ove si aderisse a tale impostazione, gli oneri relativi a tali accantonamenti sarebbero deducibili esclusivamente nell’esercizio in cui le indennità sono corrisposte.
Criteri di collegamento per i compensi transnazionali
La tassazione dei compensi derivanti da un patto di non concorrenza in un contesto internazionale segue criteri specifici, delineati principalmente dal Commentario al Modello OCSE e interpretati dalla prassi. La regola generale dipende dalla natura del patto stesso.
Il Commentario all’articolo 15 del Modello OCSE (paragrafo 2.9) chiarisce che il trattamento fiscale varia in base alla natura delle somme e alle motivazioni del pagamento. In particolare:
- Patto effettiva funzione anticoncorrenziale: Se il pagamento è effettivamente volto a compensare l’ex dipendente per l’obbligo di non svolgere attività concorrenziali e tale obbligo ha un’effettiva funzione anticoncorrenziale per l’ex datore di lavoro, le somme corrisposte non sono considerate direttamente correlate all’impiego precedentemente svolto. In questo scenario, la potestà impositiva spetta esclusivamente allo Stato di residenza fiscale del percipiente al momento dell’incasso. Questa interpretazione è stata confermata dall’Agenzia delle Entrate in diverse risposte a interpello (es. n. 783/E/21 e n. 111/E/25), sia per compensi di fonte estera pagati a residenti italiani, sia per compensi di fonte italiana pagati a non residenti;
- Patto come forma di remunerazione differita: Qualora le somme pagate a titolo di patto di non concorrenza rappresentino, in sostanza, una parte della remunerazione per il lavoro prestato prima della cessazione del rapporto (ad esempio, perché l’obbligo di non concorrenza ha scarsa rilevanza per l’ex datore di lavoro o perché una quota per la non concorrenza era già inclusa nella retribuzione ordinaria ), tali somme sono trattate come redditi di lavoro dipendente corrisposti in via differita. In questo caso, si applicano le regole ordinarie di tassazione dei redditi di lavoro dipendente previste dall’articolo 15 del Modello OCSE, che possono portare a una tassazione concorrente tra lo Stato della fonte (dove l’attività è stata svolta) e lo Stato di residenza del percipiente. Questo è quanto avviene, ad esempio, anche per il TFR.
Norma convenzionale applicabile: articolo 15 o articolo 21
Quando si è in presenza di un patto di non concorrenza con funzione anticoncorrenziale, tassabile esclusivamente nello Stato di residenza del percipiente, sorge la questione di quale articolo della Convenzione contro le doppie imposizioni sia applicabile. In particolare:
- Il Commentario OCSE, pur sostenendo la tassazione esclusiva nello Stato di residenza, non specifica se ciò derivi dall’applicazione dell’articolo 15 (paragrafo 1, in assenza di attività lavorativa svolta in un altro Stato a cui correlare direttamente il compenso ) o dell’articolo 21 (“Altri Redditi“);
- La prassi dell’Agenzia delle Entrate (Risposta ad interpello n. 111/E/25) sembra fare riferimento all’articolo 15, sebbene l’istanza del contribuente suggerisse l’applicazione dell’articolo 21. La Convenzione Italia-USA, ad esempio, tende a ricondurre tali somme all’articolo 21 (o equivalente, come l’art. 22 della Convenzione Italia-USA), che prevede l’imposizione esclusiva nello Stato di residenza.
Sebbene in molti casi l’applicazione dell’articolo 15 o dell’articolo 21 porti allo stesso risultato pratico (tassazione esclusiva nello Stato di residenza del percipiente ), la distinzione può diventare rilevante qualora la Convenzione specifica preveda regole diverse per gli “Altri Redditi” (articolo 21), come ad esempio una tassazione concorrente. È quindi fondamentale analizzare attentamente la specifica Convenzione applicabile per determinare il corretto trattamento fiscale.
Tassazione ai fini delle imposte indirette
L’indennità relativa al patto di non concorrenza corrisposta all’agente dopo lo scioglimento del rapporto di agenzia deve ritenersi non soggetta ad IVA per carenza del presupposto oggettivo dell’imposta.
L’art. 1751-bis c.c., che disciplina il patto nel contratto di agenzia, riconosce infatti a tale indennità carattere “non provvigionale“, assumendo la stessa natura risarcitoria in relazione ai mancati introiti dell’agente.
Ciononostante, l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria è stata oggetto di riflessioni critiche in dottrina. In particolare, è stato osservato che l’indennità relativa al patto potrebbe configurarsi come corrispettivo di una specifica obbligazione di “non fare“, soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 3 del DPR n. 633/72.
Aspetti contributivi
Il corrispettivo dell’accordo di non concorrenza rientra, in linea generale, nell’imponibile contributivo. Il corrispettivo può essere erogato:
- In costanza di rapporto lavorativo;
- Al termine o dopo la cessazione del rapporto di lavoro sulla base di un accordo intervenuto all’origine o nel corso del rapporto di lavoro.
Con riguardo alla prima fattispecie, ovvero all’erogazione frazionata in costanza di rapporto di lavoro con cadenza mensile (o altra cadenza), il corrispettivo è soggetto all’ordinaria contribuzione, al pari di qualsiasi erogazione effettuata dal datore di lavoro in occasione del rapporto di lavoro.
Anche il compenso erogato al termine o dopo la cessazione del rapporto di lavoro rientra nell’imponibile contributivo, in quanto erogato in dipendenza di un contratto di lavoro subordinato e costituisce un elemento assimilabile a tutti gli effetti alla retribuzione. L’elemento non ha natura risarcitoria ed è qualificato come corrispettivo dell’obbligazione di non facere.
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