Resi online: comodi per noi, disastrosi per il Pianeta
Moda online e resi: un capo su cinque viene restituito e molti finiscono distrutti. Scopri il vero impatto ambientale della fast fashion L'articolo Resi online: comodi per noi, disastrosi per il Pianeta proviene da Valori.

Quando il corriere suona il citofono e ci consegna un pacco, spesso sul cartone usato per l’involucro ci sono vari adesivi pieni di codici a barre, sigle di provincia italiane, nomi di città scritti a caratteri cubitali conosciute ai più solo perché ospitano grande centri di smistamento. Un’idea di cosa abbia passato quel pacco ben sigillato prima di arrivare nelle nostre mani possiamo farcela ricostruendo le sue traiettorie indicate dagli adesivi. Oppure guardando sul sito il tracciamento sotto la dicitura «segui lo stato del mio ordine». Invece, è molto più difficile capire cosa succede a quel pacco quando, per qualche motivo, decidiamo di restituirlo al mittente. Cioè quando siamo noi a consegnarlo di nuovo al corriere.
Quanti capi vengono restituiti nella moda online e perché
Per capire l’impatto ambientale di un capo di abbigliamento dobbiamo provare a ricostruire tutta la sua storia, compreso quel limbo in cui può cadere quando viene acquistato e restituito all’azienda. Integrare nella stima dei costi ambientali di un capo di abbigliamento l’eventualità che quel capo di abbigliamento torni indietro è fondamentale. Ciò perché, secondo una ricerca dell’European Environment Agency, è questo quello che succede a un capo su cinque acquistato online. È molto più probabile che un capo di abbigliamento acquistato online venga restituito rispetto a un capo di abbigliamento comprato in un negozio fisico. Il tasso di reso per l’abbigliamento venduto online è fino a tre volte superiore rispetto al tasso dell’abbigliamento acquistato nei negozi fisici.
C’è da dire che in generale il tasso di reso per i prodotti di moda e lifestyle è molto più alto rispetto ad altre categorie di prodotti. E il motivo è facilmente intuibile: l’acquirente non ha la possibilità di toccare il prodotto e di capire la consistenza e la qualità del materiale. Le foto ingannano. E, inoltre, ogni marchio ha una proprio modo di intendere le taglie. Non tutte le taglie M sono uguali, anzi.
Capita poi, soprattutto per i marchi di fast fashion, che la vestibilità di una taglia cambi molto da pantalone a pantalone. Anche quando a confezionarlo è lo stesso brand. Non a caso su Tiktok sono diversi i video di fashion blogger che aiutano a leggere la simbologia presente sui cartellini di Zara. Un sistema che indica come quell’abito dovrebbe vestire una volta indossato. Insomma, le taglie e la vestibilità variano moltissimo da abito a abito, sia tra marchi diversi che all’interno dello stesso marchio.
Cosa succede agli abiti restituiti: distruzione e sprechi
Nella sua ricerca l’European Environment Agency consiglia ai marchi di abbigliamento di adottare alcune strategie che consentano all’acquirente di capire meglio la vestibilità e la confezione dell’abito esposto negli store digitali. Ciò con l’obiettivo di ridurre, potenzialmente, il tasso di resi. Al contempo, però, sulla base degli articoli accademici disponibili, disegna una mappa che sintetizza cosa può succedere a un abito dal momento in cui il corriere lo riprende in carico. Una mappa volta a sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze della loro scelta di restituire un capo.
Si stima, dice l’European Environment Agency, che almeno un terzo degli abiti restituiti (che, ricordiamo, sono in media uno su cinque) vengano distrutti senza essere mai stati utilizzati prima.
Impatto ambientale dei resi nella moda: i numeri
Un’importante stima del costo ambientale dei resi l’ha svolta Greenpeace in collaborazione con il programma di Rai3 Report. L’indagine si concentra su alcuni marchi: OVS, Zara, H&M, Amazon, Shein, Asos, Temu e Zalando. Il team di inchiesta ha ordinato una serie di capi diversi tra loro per tipologia (pantaloni, parka, salopette) e poi, una volta ricevuti, ha riconfezionato il pacchetto inserendo al suo interno un localizzatore. Si tratta di un tracker bluetooth chiamato anche “smart tag” che permette di indicare all’app a cui è registrato tutto il percorso svolto. In questo modo potevano capire dove stava viaggiando una t-shirt di Zara e un paio di stivali di Shein.
Dall’indagine di Greenpeace emerge una filiera molto complessa, anche perché non tutti i capi di abbigliamenti acquistati dalla stessa azienda compiono lo stesso tragitto. In generale, comunque, «le infrastrutture logistiche di sette brand su otto sono situate in Europa, mentre TEMU li ha concentrati in Cina. Ciò sia in termini di luogo di origine delle spedizioni che come luogo di destinazione dei resi (ma questʼultimo elemento ancora in fase di verifica)», indica il report. Dal porto di Genova, infatti, i tracker collocati dentro i pacchi di Temu hanno smesso di segnare la posizione. È probabile che siano stati caricati su navi portacontainer diretti in Cina.
«Nessuno dei prodotti da noi acquistati e resi ha percorso meno di mille chilometri»
Nell’indagine non viene presa in considerazione la confezione del prodotto e il suo tragitto dalla fabbrica ai centri logistici, ma solo cosa succede a quel prodotto dal momento in cui parte e ritorna ai centri di smistamento. Complessivamente, si legge, i ventiquattro capi di abbigliamenti ordinati da Greenpeace hanno percorso 100mila chilometri tra aerei, camion, furgoni e navi RO-RO. «Nessuno dei prodotti da noi acquistati e resi ha percorso meno di mille chilometri», sostiene Greenpeace. E in particolare «sette capi dʼabbigliamento hanno viaggiato ciascuno per meno di 1.500 chilometri, sette in un range compreso tra i 2mila e i 3mila, quattro non hanno superato i 5mila e sei top traveller hanno percorso tra i 7mila e i 10mila km», conclude.
Qui, è possibile vedere la mappa dei tragitti per ciascun capo di abbigliamento acquistato.
Quanto inquinano i resi? Il peso del trasporto nella moda online
L’impatto ambientale dei resi è stato analizzato da INDACO2, una società specializzata in indicatori di sostenibilità e valutazione ambientale. Per valutare quanto inquina un reso c’è stato bisogno di fare una media che comprendesse anche i chilometri percorsi durante la consegna.
Sulla base dei dati raccolti, in media sono circa 4.500 i chilometri percorsi da un pacco che viene consegnato e restituito al centro di smistamento. Che corrispondono a circa 2,78 kg CO2eq. Per capire cosa significa questo numero, per capire se sia tanto o poco, Greenpeace fa un confronto: «L’impatto della produzione di un paio di jeans (dal peso medio di 640 g) è mediamente di 8,2 kg CO2eq. Pertanto, il trasporto del capo ordinato e reso comporterebbe un aumento dellʼimpatto di 1,95 kg CO2eq (proporzionato in base al peso), pari al 24%». E poi, conclude: «Dal risultato si deduce che, nel ciclo di vita del prodotto, il trasporto genera un impatto significativo, ma non tanto rilevante quanto si è soliti pensare, considerando le grandi distanze percorse. Si intuisce tuttavia che l’espansione del servizio di trasporto nel settore commerciale genera numeri cospicui e, complessivamente, un importante e crescente impatto ambientale».
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