Perché Cassese boccia Pegaso e le università telematiche (anche in medicina)

In Italia, negli ultimi dieci anni, il numero di iscritti alle università telematiche è più che quintuplicato, mentre quello dei docenti (per lo più precari) è gravemente insufficiente a garantire qualità nell'insegnamento. Ecco perché il costituzionalista Sabino Cassese ha definito il fenomeno "molto preoccupante"

Mar 21, 2025 - 15:14
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Perché Cassese boccia Pegaso e le università telematiche (anche in medicina)

In Italia, negli ultimi dieci anni, il numero di iscritti alle università telematiche è più che quintuplicato, mentre quello dei docenti (per lo più precari) è insufficiente a garantire qualità nell’insegnamento. Ecco perché il costituzionalista Sabino Cassese ha definito il fenomeno “molto preoccupante”

 

Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e già ministro della Funzione pubblica nel governo Ciampi, intervistato dal Sole 24 Ore, mette in guardia dall’evoluzione e dall’espansione che stanno avendo le università telematiche in Italia. Nel nostro Paese infatti sono ben 11, il maggior numero tra gli Stati Ue. Tuttavia, per il costituzionalista si tratta di istituzioni “spesso improvvisate”.

IL “PREOCCUPANTE” BOOM DELLE TELEMATICHE NEGLI ULTIMI 10 ANNI

In Italia le università telematiche hanno letteralmente spiccato il volo negli ultimi dieci anni. Basti pensare che, secondo il Portale dei dati dell’istruzione superiore, tra l’anno 2013/2014 e l’anno 2022/2023, il numero delle immatricolazioni registrate negli atenei digitali è infatti più che quintuplicato, passando da 4.827 a 26.108 immatricolazioni.

Solo nel triennio 2020/21-2022/23, riferisce Informazione Senza Filtro, testata sui temi del lavoro e dell’impresa, “oltre 22.000 studenti si sono immatricolati negli atenei telematici, cioè il 7% di tutte le matricole italiane, in crescita rispetto al 5,2% dell’anno accademico 2019/20. Si tratta di un aumento di oltre il 40%, che concentra in queste università il 35% dell’incremento complessivo delle matricole registrato in questi anni da tutte le università italiane (+17.000)”.

“È un fenomeno molto preoccupante per diversi motivi”, commenta Cassese al Sole. “Il primo – spiega – è che si tratta di una crescita improvvisa, affrettata, non programmata, di istituzioni che non hanno una buona dotazione di strutture di ricerca e didattiche, che hanno pochissimi insegnanti di ruolo e affidano l’insegnamento a persone anche esperte, ma senza sufficiente pratica di insegnamento, in una condizione di perenne provvisorietà”.

I PUNTI DEBOLI DELLE TELEMATICHE

Come sottolineato anche da Informazione Senza Filtro, nel 2023 più di uno studente su dieci era iscritto a un ateneo online, ma solo uno di questi (Uninettuno) soddisfa i criteri di valutazione previsti e tra le varie problematiche spiccano proprio “pratiche didattiche, reclutamento del personale e attività di ricerca che corrono sul filo della legittimità, e suscitano non poche perplessità”. In particolare, i docenti sono il più delle volte precari e il loro numero è decisamente sproporzionato rispetto a quello degli iscritti.

LA SPROPORZIONE TRA STUDENTI E DOCENTI

L’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (Anvur), infatti, come ha scritto Start Magazine in diversi articoli, nel suo rapporto 2023, afferma che “se negli atenei tradizionali si parla di 28,5 studenti per docente nel 2022, con un miglioramento di due unità rispetto al 2012, nelle telematiche questo rapporto schizza a 384,8, in crescita rispetto ai 152,2 di dieci anni prima”.

LA PRECARIETÀ DEGLI INSEGNANTI

“Ma la criticità non si limita ai numeri, e coinvolge anche l’inquadramento degli insegnanti”, scrive Informazione Senza Filtro. “Secondo una rilevazione FLC CGIL su dati USTAT e CINECA, i professori ordinari (che sono assunti a tempo indeterminato) nell’università italiana al 2023 erano 16.086, il 25,23% del totale, mentre nelle telematiche si fermano al 14,07% (il 44% in meno delle tradizionali)”.

“Viceversa, nelle telematiche il personale a tempo determinato, ossia professori straordinari (inquadrati come ordinari, ma assunti con fondi esterni su contratti triennali) e RtdA (figure destinate alla ricerca, ma con obblighi didattici che sono circa la metà di quelli di un professore), è il 29,51%; in pratica, il doppio rispetto alle tradizionali. Come rileva Anvur – prosegue l’articolo -, la forte incidenza di insegnanti straordinari si deve al fatto che negli anni passati molti atenei li hanno usati per formare gli organici necessari a soddisfare i requisiti di docenza per l’accreditamento dei corsi di studio”.

LA FINE DEL PENSIERO CRITICO

Il precariato poi incide inevitabilmente sulla qualità dell’insegnamento e, su questo, Cassese avverte: “C’è un pericolo di un vuoto di formazione critica”.

Di tale aspetto ha parlato anche il rettore dell’Università per Stranieri di Siena, Tomaso Montanari, il quale ha più volte denunciato “il favore” mostrato dal governo Meloni alle università telematiche, “imprese for profit appartenenti a fondi di investimento stranieri che hanno il pregio di produrre diplomi, non pensiero critico. E di avere studenti virtuali: che non possono scendere in piazza”.

PERCHÉ SI TRATTA DI UN PRIMATO TUTTO ITALIANO

Ma perché tra i Paesi dell’Unione europea, l’Italia ha il maggior numero di università telematiche? Secondo Cassese, le questioni sono due: “C’è, da un lato, un problema che riguarda le università degne di questo nome, sia pubblica, sia private, che non riescono a organizzarsi in modo da affrontare il maggiore problema: l’Italia sta tra i fanalini di coda per quanto riguarda il numero di laureati in proporzione alla popolazione, nell’area europea. Dall’altro lato, c’è un difetto del sistema scolastico superiore, in cui è carente l’orientamento degli studenti”.

A proposito del numero di laureati in Italia, i dati Istat relativi al 2023 segnalano infatti una media europea del 43,1%, contro la nostra che si ferma al 30,6%. Per non parlare di quanto sia invece in crescita in altri grandi Paesi come Francia (51,9%), Spagna (52,0%) e Germania (38,4%).

RIFORMA MEDICINA E TELEMATICHE, SI SALVI CHI PUÒ

Considerati i numeri esponenziali registrati dalle università telematiche e la riforma delle modalità di accesso ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia che prevede la formazione di 50mila studenti già nel primo semestre, il Sole ha chiesto a Cassese se non pensa che questi atenei digitali possano avere un ruolo decisivo.

“Se questo avverrà molti scapperanno dal nostro paese – commenta il costituzionalista – perché non vorranno essere curati da persone che hanno sentito lezioni di medicina dal video, non sono stati in una corsia di ospedale, non hanno imparato ad esercitare il mestiere di chirurgo praticandolo e così via”.

Ma nonostante il parere (condivisibile) di Cassese, le telematiche si sono già mosse per tempo. Negli ultimi anni l’offerta formativa dei corsi in generale è più che raddoppiata, con i corsi di studio passati dai 70 del 2011 ai 250 del 2024. E dal punto di vista dei master e corsi in ambito sanitario, per esempio, Pegaso (del gruppo Multiversity, che controlla anche gli atenei online Mercatorum e San Raffaele di Roma) offre ben 63 corsi.

Inoltre, già alla fine del 2023, Multiversity ha acquisito una quota di Materias, una Pmi fondata e presieduta dall’ex ministro Luigi Nicolais che dal 2016 opera nell’identificazione e nello sviluppo di soluzioni all’avanguardia nel campo dei materiali per supportare il mondo della ricerca (con un focus anche nel biomedicale).