Mercati emergenti: focus sull’India, tra promesse e incognite
L’India si trova oggi al centro di un acceso dibattito economico e sociale: il suo cosiddetto “dividendo demografico” rappresenta una delle più grandi opportunità di crescita globale, ma anche un potenziale fattore di instabilità. A delineare con lucidità la posta in gioco è Anirudha Dutta, analista macroeconomico di Capital Group, secondo cui “comprendere il dibattito... Leggi tutto

L’India si trova oggi al centro di un acceso dibattito economico e sociale: il suo cosiddetto “dividendo demografico” rappresenta una delle più grandi opportunità di crescita globale, ma anche un potenziale fattore di instabilità. A delineare con lucidità la posta in gioco è Anirudha Dutta, analista macroeconomico di Capital Group, secondo cui “comprendere il dibattito in corso sul dividendo demografico indiano è semplice: l’India ha recentemente preso il posto della Cina come Paese più popoloso al mondo e, nei prossimi 20-25 anni, si appresta a fornire il maggior contributo alla coorte di popolazione in età da lavoro a livello globale”.
Le cifre parlano chiaro: entro il 2030, l’India aggiungerà 63 milioni di persone alla forza lavoro, numero destinato a salire a 128 milioni entro il 2040. Oggi, il 43% della popolazione ha meno di 25 anni e l’età mediana è inferiore ai 29. Entro il 2040, il 69% degli indiani sarà in età lavorativa, pari a circa 1,1 miliardi di persone. “Anche il PIL pro capite dovrebbe raddoppiare nel prossimo decennio, raggiungendo i 5.000 dollari”, osserva Dutta, “con una spinta decisiva ai consumi, in particolare verso i beni voluttuari”.
Tuttavia, trasformare questa giovane e vasta popolazione in un motore di sviluppo economico non è affatto scontato. Il Paese deve affrontare l’urgente necessità di creare posti di lavoro di qualità, soprattutto nel settore manifatturiero. “Con il 46% dei lavoratori ancora impiegati in agricoltura, che rappresenta solo il 17% del PIL, l’India è nella classica fase di transizione in cui i lavoratori si spostano dalle aree rurali a quelle urbane, cercando impieghi più produttivi”, spiega Dutta. Ma l’equazione tra urbanizzazione, industrializzazione e aumento dei redditi non è automatica, soprattutto quando l’offerta di manodopera a basso costo è così abbondante da frenare l’aumento salariale.
Nel periodo 2018-2024, il Paese ha creato 169 milioni di nuovi posti di lavoro, ma “il 78% è concentrato in agricoltura, edilizia, commercio, hotel e ristoranti”, precisa l’analista. Inoltre, “il 75% di questi nuovi lavoratori è autonomo, mentre un ulteriore 6% svolge lavori occasionali”.
Nonostante una stagnazione del settore manifatturiero – la sua quota di lavoratori è passata solo dal 10 al 13% in oltre un decennio – alcuni segnali fanno ben sperare. “Stiamo assistendo allo sviluppo di un ecosistema manifatturiero di fascia bassa, in settori come l’assemblaggio di dispositivi mobili”, nota Dutta. Ma per centrare il cosiddetto “punto di svolta di Lewis”, l’India dovrà creare ogni anno 16 milioni di nuovi impieghi ad alta produttività nei prossimi 15 anni.
Un altro nodo cruciale è l’evoluzione demografica a lungo termine. Se da un lato l’India è oggi un Paese giovane, il suo tasso di fertilità sta calando rapidamente. “Nella maggior parte degli Stati indiani è già sotto la soglia di sostituzione di 2,1 figli per donna”, segnala Dutta. Entro il 2050, la popolazione over 65 passerà da 104 a 247 milioni di individui, mentre il numero di bambini scenderà da 357 a meno di 300 milioni. “La crescita della popolazione ha già raggiunto il proprio picco”, aggiunge l’analista. “Nel 2021 la popolazione è aumentata di 20 milioni; nel 2023, solo di 12,7 milioni. E dal 2045, la quota in età lavorativa comincerà a diminuire”.
La posta in gioco è altissima. “Se l’India non riuscirà a offrire posti di lavoro ben retribuiti ai propri giovani, quello di disordini sociali potrebbe diventare un rischio reale”, avverte Dutta. Il dividendo demografico, anziché motore di crescita, potrebbe allora trasformarsi in un incubo.
A pesare sul futuro indiano non sono solo le dinamiche interne: reshoring, deglobalizzazione, cambiamento climatico, intelligenza artificiale e innovazione tecnologica rappresentano variabili esterne cruciali. A ciò si sommano debolezze strutturali come le disuguaglianze regionali, un sistema scolastico da potenziare e carenze sanitarie. “Nessuna di queste sfide è, da sola, in grado di far deragliare lo sviluppo indiano”, conclude Dutta, “ma può di sicuro intaccarlo”.
L’India è dunque davanti a un bivio: ha i numeri e il potenziale per diventare una superpotenza economica, ma il tempo per cogliere appieno i frutti del suo vantaggio demografico si sta esaurendo. La finestra è aperta. Ma non resterà tale per sempre.