Lo show del Conclave, misteri e mosse a sorpresa. Parolin può unire i fronti
Martini fermò Bergoglio all’elezione del 2013, aprendo la strada a Ratzinger. Il nuovo pontefice dovrà rimettere ordine e ridare dignità alla Chiesa italiana.

Roma, 3 maggio 2025 – Anche per i non credenti, il Conclave è il più grande spettacolo del mondo. La meraviglia universale della Cappella Sistina, la processione dei cardinali vestiti di rosso, il rituale del comignolo che fuma nero e poi bianco sono qualcosa di unico. Si aggiunga la suspence sull’esito, mai scontato e spesso sorprendente. Il nuovo libro di Alberto Melloni sull’elezione del Papa rivela che nel 2013 Bergoglio incalzava Ratzinger al punto che dopo il terzo scrutinio il cardinale tedesco si tolse la camicia con i gemelli e indossò un dolcevita nero che comparve sotto la mozzetta rossa quando si affacciò per salutare la folla dopo l’elezione.
Fu Carlo Maria Martini a chiedergli di aspettare il quarto scrutinio che lo vide eletto. Martini, gesuita come Bergoglio, da un lato non voleva che il primo Papa dell’ordine di Sant’Ignazio non fosse lui (questo lo sospettiamo noi), perciò gli tagliò le gambe dicendo ai confratelli: voi non lo conoscete, noi sì, riferendosi alla gestione autoritaria della Compagnia in Argentina. E infine perché era certo, giustamente, che in un ballottaggio tra Bergoglio e Camillo Ruini, autorevolissimo presidente della Conferenza episcopale italiana, prevalesse il secondo, da lui non amato. Meglio dunque il Papa tedesco.
Nel ’77 avevo detto al cardinale Wojtyla che sarebbe stato il momento di avere un papa polacco. Nel 2005 intervistai a lungo due cardinali, Ratzinger e Scola, sperando che diventassero papi. Col primo mi andò bene, col secondo no. Ratzinger aveva designato come successore l’arcivescovo di Milano, convinto di farcela. Ma al primo scrutinio Scola prese 24 voti, contro i 12 di Bergoglio. Al secondo Bergoglio raddoppiò. A Melloni un cardinale disse che non si poteva eleggere Papa uno che non sapesse riconoscere i bugiardi. In realtà, Scola pagò il risentimento contro la curia romana il cui peso aveva indotto Benedetto XVI alle dimissioni. Ma la sua candidatura sembrava così forte che con una gaffe che non ha precedenti nella storia pontificia la Conferenza episcopale italiana gli mandò un telegramma di felicitazioni chiamandolo Paolo VII…
Con questi precedenti, azzardare un pronostico è spericolato. Avessi un solo euro da giocarmi lo punterei su Pietro Parolin, il segretario di Stato molto sacrificato nel ruolo da Francesco. Come capo della diplomazia, è quello che conosce meglio – o meno peggio – i cardinali. Negli ultimi anni è stato premuroso con tutti i presuli che andavano a fargli visita e ha perciò un bacino elettorale piuttosto esteso. Se non riuscissero a far eleggere Matteo Zuppi, presidente della Cei, i progressisti potrebbero convergere su di lui come “male minore”. I conservatori gli rimproverano di aver firmato l’accordo segreto con la Cina che prevede il benestare della Chiesa a una lista di vescovi presentata da un organismo comunista, con la possibilità di chiedere la sostituzione di un nome senza avere la facoltà di proposta. Ma difficilmente riuscirebbero far eleggere il loro candidato, il primate d’Ungheria Peter Erdo che fu vicinissimo a Wojtyla.
Un curriculum ineccepibile lo ha Ferdinando Filoni, diplomatico di lungo corso e Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro. E qualcuno fa il nome di Claudio Gugerotti, veneto, 70 anni, anch’egli diplomatico di carriera e oggi Prefetto del dicastero delle Chiese orientali.
Che cosa si chiede al nuovo pontefice? Continuità con Francesco è più uno slogan che un programma. Bergoglio ha avviato molti percorsi, ma ne ha conclusi pochi. Sia progressista o conservatore, il suo successore dovrebbe rimettere molto ordine in diversi campi e restituire alla Chiesa italiana la dignità che ha perduto con l’ultimo pontefice, solo in parte per colpa propria.