L’effetto dei dazi sul mercato della terracotta: “Ordini sospesi, serve chiarezza”

Costanza Masini, titolare dell’azienda di terrecotte artistiche di Impruneta: “Il nostro è un prodotto di nicchia, ma la tassa del 20% crea incertezza e rallenta il business”

Apr 7, 2025 - 13:32
 0
L’effetto dei dazi sul mercato della terracotta: “Ordini sospesi, serve chiarezza”

Firenze, 7 aprile 2025 – “Non è divertente essere americani in questo periodo”. La frase è stata detta da un cliente Usa a Costanza Masini, quarta generazione alla guida dell’azienda di terrecotte artistiche di Impruneta, quando ha dovuto avvertirlo che avrebbe dovuto pagare il prodotto il 20% in più. Una frase che riassume lo stato d’animo dei clienti statunitensi dell’azienda all’indomani dell’annuncio dei dazi. Perché anche se il prodotto è di nicchia, probabilmente nemmeno prodotto in terra statunitense, l’effetto delle nuove tariffe doganali imposte dagli Stati Uniti si è fatto già sentire.

Che impatto hanno avuto i dazi sulla vostra attività?

«Facciamo il 90% del nostro fatturato con l’export, e di questo circa il 30% va negli Stati Uniti. Una quota importante, che in passato ha superato anche il 38%. Dopo l’annuncio dei dazi, abbiamo fatto subito una chiamata via Zoom dal nostro principale buyer americano».

Qual è stata la loro reazione?

«Inaspettatamente serena. Mi hanno detto che il nostro è un prodotto talmente particolare da non poter essere sostituito con una terracotta generica. Ma ovviamente siamo preoccupati, soprattutto per l’incertezza che si è creata».

Ci sono già stati effetti concreti?

«Sì, purtroppo sì. Alcuni ordini già pagati e in navigazione verso gli Stati Uniti sono rimasti fermi, sperduti in mezzo all’Atlantico in attesa che venisse pagato il dazio. Anche alcuni preventivi inviati la scorsa settimana sono stati congelati. I clienti stanno aspettando di capire cosa succede prima di confermare. I nostri sono prodotti di nicchia, costosi, e il 20% in più ha un bell'impatto».

Temete ricadute anche sui costi che sostenete?

«Sì, è uno scenario possibile. Se le spedizioni verso gli Stati Uniti calano, i trasporti diventeranno meno frequenti e quindi più costosi. È un effetto a catena che può mettere in difficoltà anche chi ha altri mercati».

Avete strategie per reagire?

«Per fortuna abbiamo sempre diversificato: lavoriamo anche in Europa, Cina, Giappone, Emirati. La Cina, in particolare, è un mercato importante per noi. Questo ci aiuta ad attutire il colpo. Sono fiduciosa: magari riusciremo a mantenere la quota americana o a perderne solo una parte. Altri settori rischiano molto di più».

Cosa pesa di più in questo momento?

«L’instabilità. Le regole cambiano da un giorno all’altro. Gli stessi americani dicono che il presidente Trump cambia idea più volte e molto velocemente. Così ci sta che qualcosa già cambi nelle prossime settimane, che i dazi si abbassino o spariscano su alcuni prodotti. Ovviamente la situazione è spiacevole dal punto di vista commerciale: non è bello dover dire al cliente che oggi paga il 20% in più, domani magari il 40% oppure il 10%. Con questa incertezza si lavora male. Speriamo che le relazioni internazionali facciano il loro corso».