Il Papa non è Bergoglio bis. Un po’ Francesco, un po’ Ratzinger. Così rassicura i fedeli conservatori
Dal poverello d’Assisi a Sant’Agostino il passaggio non è traumatico. Prevost non è la fotocopia dell’argentino: riferimenti e abito ricordano Benedetto

Città del Vaticano, 10 maggio 2025 – Il Conclave cercava un bergogliano come Papa nella consapevolezza di non poter più avere un Francesco. Ha trovato il meno statunitense dei cardinali elettori, Robert Prevost, la discontinuità formale nella continuità sostanziale. Gesti, parole e prime scelte che confermano il passaggio tutt’altro che traumatico fra un Papa gesuita, ispirato dal Poverello d’Assisi, e un successore cosmopolita, formatosi nel carisma del teologo Agostino.
Va in questa direzione di continuità la decisione presa da Leone XIV di confermare, già il giorno successivo alla fumata bianca, donec aliter provideatur, ossia finché non si provveda diversamente, i vertici della Curia. Una mossa non scontata, in primo luogo per la tempistica. C’è poi un nodo intrigante da sciogliere: dove vivrà il Pontefice? Se fino al giorno dell’elezione, il curiale Prevost, alloggiava all’ex Sant’Uffizio, adesso si è sistemato a Casa Santa Marta, l’albergo vaticano dove risiedeva Francesco. Scelta solo momentanea o definitiva? Si apprende che il Palazzo apostolico, dove dal 1870 fino a Bergoglio risiedevano i Papi, sarà ristrutturato. Ma la decisione di sistemarsi a Santa Marta e non all’ex Sant’Uffizio, dove poche ore dopo l’elezione Prevost si è concesso ai selfie e agli abbracci dei suoi ex coinquilini in puro spirito bergogliano, resta gravida di suggestioni.
Ci sono anche le prime parole di Leone XIV a sottolinearne l’intenzione di procedere nel solco di Bergoglio. A suo modo, però. “La missione di vescovo di Roma è un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”, ha detto ieri mattina il Pontefice alla messa Pro Ecclesia. In precedenza aveva sottolineato che “non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti”. Umiltà, semplicità e missionarietà dal respiro bergogliano – al pari dei richiami alla “pace disarmante e disarmata” e alla sinodalità, pronunciati all’Urbi et orbi – si sposano con una velata rassegnazione di marca ratzingeriana per il destino della fede.
D’altronde, Prevost non è Francesco. Non può esserlo. Che cosa sarebbe accaduto se, uscendo dalla Stanza delle lacrime, anche lui avesse indossato la sola talare bianca? Si sarebbe gridato alla fotocopia di Francesco. E allora ecco Leone XIV presentarsi al mondo indossando con naturalezza la mozzetta rossa e la stola ricamata d’oro che Benedetto XVI e Giovanni Paolo II non rifiutarono. Il camminare mano nella mano, in unità nella Chiesa, come ha auspicato dalla Loggia centrale, necessita anche di rassicurazioni. A destra.
Ma da Francesco ad Agostino, dal pastore delle periferie al canonista della pace non c’è iato di vedute. “Spesso ci siamo preoccupati di insegnare la dottrina, ma rischiamo di dimenticare che il nostro primo compito è comunicare la bellezza e la gioia di conoscere Gesù”: sembra di leggere Bergoglio, ma si scrive Prevost, vicino al primo anche per le aperture su gay e divorziati. Semmai in Leone XIV si avverte una maggiore profondità razionale e una più rigorosa sistematicità rispetto alla straripante spontaneità e alla caoticità creativa del predecessore. “In fondo Francesco d’Assisi non era in primo luogo un teologo, ma un uomo profondamente spirituale che voleva sentire e vivere il mistero di Cristo, non comprenderlo in modo intellettuale – spiega il preside dell’Istituto teologico di Bressanone, il servita Martin Lintner –. Agostino, invece, è uno dei più grandi teologi della Chiesa. Voleva capire e si è sforzato di trovare la verità. Entrambi hanno esposto senza riserve la propria vita alla luce della fede: Agostino nelle sue Confessioni, Francesco nel gesto di spogliarsi per seguire nudo il Cristo nudo. Entrambi hanno rinunciato a se stessi per mettere Cristo al centro e ritrovare se stessi in lui”.