I miei 14 anni in Niger tra polvere, fughe e colpi di Stato. La prima ‘tempesta’ nel 2015 con Charlie Hebdo
Ci siamo intesi subito fin dall’inizio. La sabbia sembrava offrire più che una metafora del Paese ‘scoperto’ al mio arrivo, un 5 aprile del 2011. Conoscevo la sabbia della riva del mare Mediterraneo e, con minore cordialità, quella analoga dell’oceano Atlantico durante il soggiorno in Costa d’Avorio e Liberia. Un breve passaggio nel Benin mi […] L'articolo I miei 14 anni in Niger tra polvere, fughe e colpi di Stato. La prima ‘tempesta’ nel 2015 con Charlie Hebdo proviene da Il Fatto Quotidiano.

Ci siamo intesi subito fin dall’inizio. La sabbia sembrava offrire più che una metafora del Paese ‘scoperto’ al mio arrivo, un 5 aprile del 2011. Conoscevo la sabbia della riva del mare Mediterraneo e, con minore cordialità, quella analoga dell’oceano Atlantico durante il soggiorno in Costa d’Avorio e Liberia. Un breve passaggio nel Benin mi ha fatto conoscere la ‘Porta di Non ritorno’ degli schiavi detenuti prima del viaggio verso le Americhe. Il monumento in questione è piantato nella sabbia di fronte al mare. Non si tratta però della sabbia che avrei esperimentato nella capitale Niamey, coi migranti e in generale durante il soggiorno nel Paese.
La vita, la storia, le migrazioni, la politica e i colpi di Stato che hanno caratterizzato il transito in questione sono, della sabbia, simbolo, espressione e contenuto. Troppe volte, ascoltando le storie dei migranti di ritorno dal ‘Sud di Lampedusa’, non rimaneva che lei, la sabbia, sulle piastrelle dell’ufficio. I migranti di ritorno custodivano le loro borse, troppo spesso vuote e le loro storie, mescolanza di dolore e delusione che anni di tentativi, irti di ostacoli nel deserto, avevano reso un’avventura irripetibile.
La sabbia rimane, muta e fedele, come unico testimone del vissuto quotidiano di migliaia di migranti che avrebbero voluto diventare cittadini di un mondo dove le frontiere non siano muri e reticolati. Immaginavano che un mondo differente fosse possibile e a portata di ‘migrazione’ per accorgersi, invece, che il mondo antico si era attrezzato per respingerli al mittente col prestesto dell’illegalità. La sabbia ricorda, a tutti gli umani, che essa li genera e che a lei, alla sabbia, torneranno lasciando Paesi, città, palazzi, monumenti, conquiste, imperi e confini creduti eterni.
Il vento, invece, mi è apparso più tardi e a seconda delle stagioni. Solo col tempo si è fatto visibile, consistente, reale, pervasivo e seconda particolare metafora del soggiorno nel Paese fino a diventare insostituibile narrazione del vissuto. I nomi, i volti, le storie, gli avvenimenti e persino le speranze è al vento che sono affidate per arrivare dove avrebbero voluto. Il vento porta lontano i pensieri, i desideri e soprattutto le parole con le quali si vorrebbe imprigionare la realtà. Le ideologie e le religioni, quando ad esse si accodano e di esse si avvalgono, sono patetici e talvolta drammatici strategie per ingabbiare la realtà e farla a propria immagine.
Fortuna arriva il vento, imprevisto e imprevedibile, a scombinare i piani di controllo delle vite dei poveri da parte dei potenti che si immaginano di poter governare il mondo. Il vento senza direzione, scopo apparente e finalità incerta si offre come un simbolo di libertà in movimento volto a scompaginare le dittature militari.
La tempesta arriva improvvisa. Un vento forte, la sabbia e, con rapidità, anche il sole si oscura di rosso profondo e poi scende la notte in pieno giorno. Ci si abitua col tempo ma la prima volta la sorpresa e il timore impressionano l’immaginazione. Quanto durerà la tempesta di sabbia e quando tornerà infine la luce del sole ad illuminare il mondo.
Siamo nel 2015 il mese di gennaio. Le chiese e istituzioni cristiane (e in parte interessi francesi) sono attaccate a Zinder e Niamey. Era un venerdì o un sabato mattina dopo la pubblicazione controversa di una vignetta dal giornale satirico francese del profeta dell’Islam, Charlie Hebdo. Erano scoppiati disordini in varie parti del mondo e nel Niger, complice una situazione politica tesa, si era arrivati all’estremo. Le comunità cristiane d’un colpo rifiutate, perseguitate, ferite e stigmatizzate. Una tempesta sulle strade quel giorno e, tre anni dopo, il rapimento dell’amico e confratello Pierluigi Maccalli ad opera dei gruppi terroristi armati di interpretazione islamica. Due lunghi anni di prigionia nel deserto tra solitudine e condizioni di vita estreme fino alla liberazione avventuta, assieme ad altri prigionieri, nel 2020.
Catene di libertà, scrisse Pierluigi nel libro-diario dei due anni di prigionia nel deserto del Sahara. Soprattutto per ricordare, in conclusione del libro citato, di imparare a ‘disarmare le parole’ perchè da esse, armate, scaturiscono le guerre e tutto ciò che ferisce la dignità della persona. Maccalli è tornato a salutare la gente che ha pregato per lui nel tempo della prigionia solo per accorgersi che, nel frattempo, la situazione legata ai gruppi armati era drammaticamente peggiorata. Intere zone e regioni del Paes e e delle Tre Frontiere, il Niger, il Mali e il Burkina Faso sono letteralmente ostaggio dei gruppi armati che dettano la legge delle armi per applicare la loro versione dell’Islam.
La tempesta continua perché a tutt’oggi: migliaia di persone sono straniere, sfollate nella propria terra. Solo rimane la fuga per salvare i figli e portarsi dietro la paura di altre eventuali minacce e sanzioni finanziarie.
Ecco perché è la polvere, in definitiva, quella che meglio descrive, rendendolo opaco, il vissuto. Ha ragione lo scrittore, poeta e filosofo della Martinica, Edouard Glissant quando afferma che c’è il diritto, per le persone, le culture (e Dio), all’opacità. La polvere invade, leggera, incontenibile, non misurabile, la vita vissuta nel quotidiano. Si adatta, infiltra, giace, penetra, si accomoda, giace e si ferma dappertutto quanto basta. Le relazioni umane, la politica, l’economia, le promesse dei commercianti di futuro e gli imprenditori di guerre. Pensieri, parole e religioni più o meno rivelate non ne sono immuni. Sembra detenere la chiave dell’eternità anche per la sua pervasiva e inafferrabile presenza.
La polvere attraversa gli anni, marca con la sua opacità cose, persone, fatti e avvenimenti. Si afferma come contributo alla verità della vita, mistero nascosto da una leggera coltre di polvere di infinito.
Niamey, 5 aprile 2025
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