Frane in aumento nonostante i 5,5 miliardi contro il dissesto idrogeologico
Non basta stanziare miliardi di euro dal momento che la gestione efficiente del dissesto idrogeologico passa prima di tutto dalla buona amministrazione: cosa manca all'Italia

Nonostante i 5,5 miliardi di euro investiti negli ultimi 13 anni per contrastare il dissesto idrogeologico, l’Italia continua ad essere caratterizzata da un territorio sempre più fragile.
Il fenomeno è aggravato da una gestione frammentata, da un’espansione urbanistica incontrollata e dagli effetti del cambiamento climatico. L’ultimo episodio di un lunghissimo evento è avvenuto a con la frana di Boccassuolo a Palagano, che da inizio aprile spaventa i residenti dell’Appennino modenese. Negli ultimi giorni, la terra ha preso ad avanzare di circa 30 metri al giorno.
Investimenti contro il dissesto idrogeologico
Dal 2010 al 2023, i governi hanno finanziato 3.401 interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico. Circa il 66% di questi progetti è stato completato, impegnando oltre 2 miliardi di euro, mentre sono ancora attivi più di 500 cantieri per un valore di 1,4 miliardi.
A fronte di questo imponente impegno finanziario, i dati ufficiali raccontano però una storia diversa: tra il 2018 e il 2021, la superficie ad alta pericolosità di frana è aumentata del 3,8%, mentre le aree soggette a rischio idraulico medio sono cresciute del 18,9%.
Le stime diffuse dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica rivelano che il 93,9% dei comuni italiani è esposto a pericoli idrogeologici, coinvolgendo direttamente 1,3 milioni di persone a rischio frana e 6,8 milioni a rischio alluvione. E il recente stanziamento di 590 milioni di euro per nuovi interventi, previsto per il 2025, non sembra essere sufficiente a invertire una tendenza che appare strutturale.
Le cause del rischio idrogeologico
Secondo gli esperti, il peggioramento del dissesto idrogeologico è riconducibile a diversi fattori:
Il primo, sotto gli occhi di tutti, è il cambiamento climatico, con eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e intensi, come piogge torrenziali e alluvioni lampo che stanno rapidamente aumentando la pressione su territori già fragili.
Il secondo elemento riguarda l’urbanizzazione spesso incontrollata avvenuta dal dopoguerra, con la superficie urbanizzata che in Italia è passata dal 2,7% al 7% del territorio nazionale. La crescita edilizia, spesso è avvenuta senza una pianificazione attenta ai rischi ambientali. Ad esempio, città e quartieri sono stati costruiti ai piedi di colline e montagne, lungo percorsi un tempo battuti da fiumi e torrenti. È altissimo il rischio che in tali condizioni, una pioggia intensa si trasformi nell’ennesima tragedia.
La relazione del Mase evidenzia una terza criticità, relativa alle inefficienze amministrative, vale a dire:
- normativa frammentata e complessa;
- pluralità di enti coinvolti, spesso in assenza di un vero coordinamento;
- carenza di personale specializzato a livello locale;
- integrazione inefficace tra urbanistica e tutela ambientale;
- fondi assegnati in modo disorganico, talvolta fuori dal sistema di monitoraggio Rendis.
Pesa, in particolare, l’assenza di una legge quadro nazionale: il presidente dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), Stefano Laporta ha ribadito la necessità urgente di una normativa nazionale unificata per la gestione del suolo.
Il caso di Boccassuolo
La massiccia frana del Monte Cantiere, in corso a Boccassuolo di Palagano nell’Appennino modenese rappresenta un esempio concreto di quanto il territorio sia fragile. Si tratta di una frana riattivata dalle intense piogge che ha fatto scivolare tre milioni di metri cubi di terra verso valle, distruggendo abitazioni, strade e infrastrutture. La frana avanza di circa 30 metri al giorno. Il presidente dell’Emilia-Romagna, Michele de Pascale, ha firmato lo stato di crisi regionale.