Fideiussione omnibus e onere probatorio.

Nota a Trib. Parma, 23 aprile 2025, n. 490.

Mag 5, 2025 - 15:33
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Fideiussione omnibus e onere probatorio.

Nota a Trib. Parma, 23 aprile 2025, n. 490.

di Virginia Troianelli

Tirocinante ACF

Il Tribunale di Parma, con sentenza n. 490 del 23 aprile 2025, ha revocato il decreto ingiuntivo, accogliendo la relativa opposizione, con cui si ingiungeva all’opponente – fideiussore di pagare la controparte in virtù del contratto di fideiussione omnibus da lui stipulato nell’anno 2013.

Il provvedimento assume particolare rilievo alla luce delle ormai note criticità relative alla nullità parziale delle fideiussioni omnibus per violazione della normativa antitrust, accertata e dichiarata dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2005, derivante dall’utilizzo di uno schema negoziale ABI contenente clausole restrittive della concorrenza.

Con riguardo all’utilizzo del modello di fideiussione diffuso dall’ABI ed oggetto del provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005, il Tribunale ribadisce che è, ormai, orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale l’accertata violazione della normativa antitrust comporta la sola nullità delle clausole accertate come illecite dalla Banca d’Italia (nello specifico la clausola n. 2 c.d. di reviviscenza, n. 6 c.d. di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. e n. 8 c.d. di sopravvivenza), e non la nullità dell’intero contratto, salvo che non sia allegato e provato che esso non sarebbe stato concluso senza la parte di contenuto colpita da nullità, in conformità a quanto prescritto dall’art. 1419, 1° comma, c.c. (v. Cass S.U. n. 41994/2021 e Cass. n. 24044/2019).

Tuttavia, il Tribunale di Parma, contrariamente ad altri giudici di merito (v. in particolare, Sentenza Corte d’Appello Aquila del 3 settembre 2024, n. 1089) ha ritenuto che, se il risultato dell’indagine compiuta dalla Banca d’Italia, che ha accertato la sussistenza di un’intesa anticoncorrenziale trasfusa nel modello ABI, costituisce prova, nel giudizio civile, della conclusione di una intesa illecita “a monte” per contrasto all’art. 2, comma 2, lett. a) della L. 287/1990 e della diffusione generalizzata del suddetto modello nel sistema bancario, non può, nonostante il protrarsi dell’utilizzo “a valle” dello schema fideiussorio vietato, considerarsi venuti meno gli effetti di tale accordo, per il solo fatto che l’utilizzo dello schema negoziale vietato è successivo al provvedimento della Banca d’Italia.

Il giudice infatti chiarisce come l’adozione di un provvedimento dell’autorità competente non possa costituire, di per sé, prova dell’interruzione di una intesa illegittima e della diffusione dei suoi effetti, per il solo fatto che l’accertamento si sia concluso.

Ne consegue che non sia onere del fideiussore provare l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale, ma al contrario, secondo il Tribunale di Parma, “in presenza della prova presuntiva, data dal provvedimento della Banca d’Italia e dal protrarsi, da parte della banca contraente, dell’uso dello schema negoziale diffuso dall’ABI, contenente ancora le clausole censurate dalla Banca d’Italia, sia onere della banca contraente stessa fornire la prova contraria, ad essa più vicina, dell’interruzione dell’intesa anticoncorrenziale vietata, ad esempio, semplicemente, attraverso la produzione della circolare dell’ABI, emendata delle disposizioni vietate e diffusa alle banche, che ha dato esecuzione al provvedimento della Banca d’Italia”. Solo la suddetta produzione è in grado  di comportare l’inversione dell’onere probatorio, con conseguente onere, a carico del fideiussore, di fornire prova contraria, ovvero prova che, nonostante l’ABI abbia diligentemente dato attuazione al provvedimento della Banca d’Italia, la prassi bancaria vietata ha continuato ad avere diffusa e generalizzata applicazione.

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