Così Papa Bergoglio ha aperto la Chiesa

Il Papa della misericordia. Delle periferie, geografiche ed esistenziali. Il Pontefice della pace, della speranza, degli ultimi. Dei poveri e dei migranti. Un vescovo di Roma scelto «quasi dalla fine del mondo», che in dodici anni di pontificato ha cercato di riformare la Chiesa, vista come un «ospedale da campo», in cui accogliere «tutti, tutti, […]

Mag 5, 2025 - 13:03
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Così Papa Bergoglio ha aperto la Chiesa

Il Papa della misericordia. Delle periferie, geografiche ed esistenziali. Il Pontefice della pace, della speranza, degli ultimi. Dei poveri e dei migranti. Un vescovo di Roma scelto «quasi dalla fine del mondo», che in dodici anni di pontificato ha cercato di riformare la Chiesa, vista come un «ospedale da campo», in cui accogliere «tutti, tutti, tutti». 

Papa Francesco ha innovato soprattutto tramite il suo approccio pastorale, più che sul piano della dottrina. Ha avviato diversi processi Bergoglio, all’interno di un’istituzione con alle spalle una storia bimillenaria, spesso restia al cambiamento. 

Alcune riforme inizialmente volute e pensate da Francesco non hanno visto la luce, anche a causa delle pressioni e degli scontri interni in Vaticano tra conservatori e riformisti. Una Chiesa che si era ripiegata in se stessa, troppo “clericale”, che il Pontefice argentino ha rilanciato in una prospettiva diversa, aperta e in missione. Per portare a tutti – anche a chi in passato era stato tenuto ai margini della comunità dei fedeli – l’annuncio del Vangelo. 

Uno del popolo
Un pastore «con l’odore delle pecore», così amava dire Bergoglio, rimasto fino all’ultimo in mezzo alla sua gente, con quel giro in papamobile in piazza San Pietro dopo la Benedizione pasquale che ha poi avuto il sapore di un commiato. 

Un Pontefice innovativo, nello stile e nelle scelte. Primo Papa gesuita, primo Papa originario dell’America Latina, primo a scegliere il nome di Francesco, primo a risiedere fuori dal Palazzo Apostolico, imprimendo sin da subito un chiaro segno di rottura rispetto al passato. E ancora, primo Papa a dotarsi di un Consiglio di cardinali per governare la Chiesa, ad assegnare ruoli di responsabilità a donne e laici in Curia e ad abolire il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali.

Bergoglio ha riformato la struttura di potere della Chiesa, svuotando via via il peso della Segreteria di Stato, e promuovendo sempre più la sinodalità, per un cammino comune nelle scelte da prendere, coinvolgendo tutto il popolo cattolico. Ha avviato diversi cantieri, molti dei quali ancora aperti, ma probabilmente irreversibili anche per chi gli succederà sul soglio di Pietro. Il suo è stato un impegno costante verso i poveri e gli emarginati, i dimenticati da parte di una «cultura dello scarto» che ha più volte criticato aspramente. 

Francesco si è sempre dichiarato contrario alle etichette e alle ideologie, politiche o ecclesiastiche che siano, mettendo al centro il rispetto della persona e della dignità umana. Un approccio pastorale testimoniato dalle sue scelte, come quella di indire un Giubileo straordinario della Misericordia iniziato nel 2015 da Bangui, la capitale della Repubblica Centroafricana dilaniata dalla guerra civile, o di aprire per la prima volta la Porta Santa di quello ordinario, a dicembre, in un carcere. 

Un pastore che ha viaggiato visitando molte periferie del mondo e della società, dalle parrocchie inserite in contesti disagiati come Tor Bella Monaca, passando per i Giovedì Santo trascorsi con i detenuti, fino a raggiungere gli angoli più remoti del pianeta, in cui i cattolici sono una sparuta minoranza. Il primo a visitare l’Iraq, nel 2021, fino al viaggio più lungo del suo pontificato nel settembre del 2024, a 87 anni, tra Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste, Singapore.

La sua attenzione all’uomo è stata evidente sin dal suo primissimo viaggio compiuto dopo l’elezione, a Lampedusa, l’isola scenario di tante tragedie migratorie, con la corona di fiori gettata nel Mediterraneo, definito da Bergoglio senza giri di parole un «cimitero a cielo aperto». 

Il Governo della Curia
Tra le riforme più significative di questo pontificato c’è quella della Curia. In primis con una bonifica dello Ior, per una corposa operazione di pulizia nell’ambito delle finanze vaticane, per anni al centro di scandali. 

Dopo un articolato lavoro, si è arrivati nel 2022 alla promulgazione della Costituzione apostolica Praedicate evangelium: tra le novità, l’istituzione del nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione, presieduto direttamente dal Pontefice, e il coinvolgimento dei laici «in ruoli di governo». In questa ondata di cambiamento vanno inquadrate le nomine del primo prefetto laico, Paolo Ruffini, al Dicastero per la Comunicazione, della prima “prefetta” al Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata, suor Simona Brambilla, e della prima governatrice della Città del Vaticano, suor Raffaella Petrini. 

Più dei suoi predecessori, Bergoglio ha dato spazio alle donne all’interno della Chiesa, pur senza introdurre riforme epocali come quella del diaconato femminile che avrebbero rischiato di provocare uno scisma. Ma il Pontefice argentino ha affidato a figure femminili ruoli di responsabilità, coinvolgendo e dando per la prima volta diritto di voto nel corso dei tavoli dell’ultimo Sinodo a suore, missionarie, professoresse, esperte, teologhe. Oltre a ricordare più volte la dimensione materna della Chiesa, «che è donna». 

Perdonare sempre
Se c’è un lascito pastorale e teologico che ha caratterizzato questo pontificato, è certamente il richiamo alla misericordia, a un Dio che perdona tutti, a una Chiesa che accoglie «todos, todos, todos». Da qui l’impegno costante per il dialogo interreligioso, culminato nel Documento sulla Fratellanza Umana siglato insieme al grand imam al-Tayeb, ad Abu Dhabi, un testo divenuto da subito caposaldo del dialogo islamico-cristiano. 

Importanti anche le aperture nella concessione dei sacramenti, nell’ottica in cui l’Eucarestia è da intendersi non come un premio per i perfetti, ma «farmaco» e nutrimento per tutti i peccatori. E ancora la vicinanza pastorale alla comunità Lgbt, per tanti anni reclusa in un angolo, e invece accolta da Bergoglio sin dall’inizio con la celebre frase «Chi sono io per giudicare una persona gay che cerca Dio?», che fece trasecolare molti conservatori. 

Fino alla Dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede Fiducia Supplicans, approvata dal Papa, e poi duramente criticata da alcuni episcopati tradizionalisti come quelli africani, con cui viene concessa la benedizione delle coppie irregolari, anche dello stesso sesso, pur se al di fuori di riti canonizzati. «Nessuno si scandalizza se do la benedizione a un imprenditore che sfrutta la gente, mentre si scandalizza se la do a un omosessuale», aveva detto Bergoglio, che dopo le aspre polemiche aveva precisato: «Io non benedico un “matrimonio omosessuale”, benedico due persone che si vogliono bene. La benedizione non va negata a nessuno. Tutti, tutti, tutti». 

Cambiamenti che non intaccano la bimillenaria dottrina della Chiesa, quindi, ma un approccio di vicinanza pastorale. «La Chiesa è un ospedale da campo, non una dogana», ha più volte detto Francesco, che ha sempre preferito costruire ponti anziché erigere muri. 

Al centro della sua teologia, l’immagine di un Dio che non si stanca mai di perdonare. Semmai, sottolineava il Papa, «siamo noi a stancarci di chiedere perdono». Una «Chiesa in uscita» che si rifà pienamente al Vangelo. 

Molto cara a Bergoglio la parabola del banchetto di nozze, nella quale un re organizza il matrimonio per il figlio, e manda i servi dicendo: «Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali». Per questo invitava i confessori a perdonare tutto. 

Nelle sue omelie ripeteva spesso che «lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza». Nessuno escluso da questo abbraccio che ci rende tutti figli amati. Un Papa, anche per questo, molto apprezzato dai non credenti, che ricordano le sue parole: «Meglio vivere da atei che andare in Chiesa e poi odiare gli altri». 

Misericordia, vicinanza, ascolto. Queste le direttrici del pensiero innovativo di Francesco, secondo cui i «peccati della carne» non sono tra i più gravi, come dimostra anche la sua accoglienza di tante persone omo e transessuali, ma anche prostitute, portate al Papa ogni mercoledì alle Udienze generali dalla sua amica suor Geneviève. 

Per Bergoglio, saremo giudicati per la nostra capacità di amare il prossimo, e non su altro. Il faro è il Giudizio universale riportato al capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Venite, benedetti del Padre mio. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Il tutto, come detto, senza trasformare la dottrina cattolica. Un’unica bussola: il Vangelo. 

Eredità
Certo, le riforme più rivoluzionarie – come il diaconato femminile – non sono andate in porto. Francesco aveva pensato, se non di consentire ai preti di sposarsi, di permettere agli sposati di accedere al sacerdozio. Ma si fermò quando capì che se avesse continuato, avrebbe provocato una grave spaccatura. 

Di certo la sua non è stata una «Chiesa dei No». La principale differenza rispetto al papato di Benedetto XVI è stata proprio sul piano etico. Ratzinger parlava di «principi non negoziabili» – che quindi non potevano neppure essere discussi – come aborto, fine vita, comunione ai divorziati risposati. Bergoglio ha certamente riconosciuto i principi, ma per lui «prima viene il kerygma, cioè l’annuncio della Buona Novella che è il Vangelo. E il Vangelo è amore, misericordia». 

La Chiesa di Francesco abbraccia e non esclude, come scriveva nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 2013, il manifesto programmatico del suo pontificato: «Preferisco una Chiesa accidentata e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata, chiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. La Chiesa è la casa del Padre dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa». 

Francesco è stato dunque un Papa difficile da incasellare in categorie precostituite. Progressista come pastore del popolo, tradizionalista su molti temi etici e di fede, in continuità con i suoi predecessori e con il Magistero della Chiesa: no all’aborto, all’uso dei contraccettivi, al matrimonio omosessuale, al fine vita, alla cosiddetta teoria gender. Ha usato parole dure nei confronti della maternità surrogata, e ha bollato l’eutanasia come un «crimine». Bergoglio ha definito l’interruzione volontaria di gravidanza «un omicidio», e i medici che praticano l’aborto dei «sicari».

Ma d’altronde il Papa fa il Papa, e sarebbe stato strano ascoltare parole diverse su certe questioni. Ha seminato, più che raccolto, avviando processi per portare la Chiesa nel futuro, e che dovranno essere affrontati dal suo successore. 

Senza precedenti la “rivolta” della base dell’assemblea sinodale della Cei, che ad aprile ha bocciato il testo presentato dalla dirigenza della Conferenza dei vescovi italiani, giudicando troppo vaghe e blande le parti sulla pastorale verso le persone Lgbt, sulla leadership delle donne e il ruolo dei laici. Tutti fronti rimasti aperti, sui quali discuteranno i cardinali in Conclave nell’individuare il prossimo successore di Pietro. 

Molti, dopo la morte di Bergoglio si sentono più soli. Quel che è certo è che sarebbe un peccato disperdere la straordinaria eredità pastorale lasciata dal Papa argentino, per portare avanti il suo sogno di una Chiesa che comprende, accompagna, accarezza e ascolta tutti.