Francesco, un Papa alterglobalista
«Ciao Francesco, ciao vecchio Padre, amato fratello. Lo so cosa mi stai dicendo, sento la tua voce. Che non dobbiamo piangere o disperarci, che dobbiamo vincere l’idea della morte che fa finire tutto, che non lascia nessun respiro alla speranza. Lo so caro Padre, ma mi sento solo. Il dolore è grande. Ma proprio questo […]

«Ciao Francesco, ciao vecchio Padre, amato fratello. Lo so cosa mi stai dicendo, sento la tua voce. Che non dobbiamo piangere o disperarci, che dobbiamo vincere l’idea della morte che fa finire tutto, che non lascia nessun respiro alla speranza. Lo so caro Padre, ma mi sento solo. Il dolore è grande. Ma proprio questo mi hai insegnato: andiamo avanti, continuiamo il cammino per raggiungere quella fraternità umana per la quale hai dato tutta la vita. Mi mancheranno le nostre lacrime e le nostre risate, ma in fondo le conservo nel cuore, nessuna morte me le porterà mai via. Sarai con me, con i miei compagni, fratelli e sorelle, ogni singolo giorno. È morto Papa Francesco. Francesco vive! Continuerò a camminare sulla strada che mi hai indicato. Grazie, e non lasciarmi. Non lasciarci mai».
Non sorprende che le parole più significative in onore di Papa Francesco le abbia scritte Luca Casarini. Casarini, già, l’alterglobalista per eccellenza, leader delle Tute bianche durante le manifestazioni contro il G8 di Genova e oggi animatore di Mediterranea, l’organizzazione umanitaria che salva vite in mare e che per questo è finita nel mirino del Governo, fra azioni di spionaggio e forme di contrasto che inducono a riflettere su ciò che resta della democrazia nel nostro Paese.
Dalla fine del mondo
Ma davvero è così sorprendente che questo Pontefice venuto «dalla fine del mondo» sia stato amato quasi più dai laici e addirittura dagli atei che da certi “devoti”?
Basta dare un’occhiata alla sua biografia, analizzare quanto si sia battuto contro la dittatura di Videla, prendere atto del suo impegno in favore dei poveri e degli ultimi delle “villas miserias” di Buenos Aires e ricondurne il profilo e la personalità alla Teologia della liberazione per rendersi conto che il suo cuore batteva lì, dalla parte dei deboli, degli oppressi, degli esclusi, delle prime vittime della globalizzazione neo-liberista e di un Occidente schiavo del proprio credo mercatista.
Non sorprende affatto, dunque, che il primo ad amarlo sia stato un “ragazzaccio” dei centri sociali, le cui frequentazioni, sin da giovane, sono state caratterizzate dall’amicizia con i preti di strada, cui si sentiva legato da un afflato che potremmo definire evangelico.
E non sorprende nemmeno che il Papa delle periferie, il Papa che ha inaugurato il Giubileo della misericordia a Bangui, il Papa che ha rivoluzionato il conclave, aprendo le porte della Chiesa al mondo, un Papa così insomma non stupisce che abbia conquistato i cuori di personaggi che sembrano usciti da una canzone di De André. Le prostitute, i carcerati, i derelitti, i migranti, i rom, coloro che non hanno mai incontrato alcun Dio e nemmeno un raggio di luce, gli sconfitti e i dannati della Terra: sono solo alcune delle categorie cui Francesco, per onorare il nome che aveva scelto, ha rivolto la propria predicazione e il proprio impegno.
Non a caso, poco prima di andarsene, don Andrea Gallo aveva detto di lui: «Viene dalla fine del mondo… ma è l’inizio di qualcosa».
Don Gallo, il sacerdote che si prendeva cura delle princesas nei vicoli di Genova, in prima fila contro «i signori del G8», accanto a don Luigi Ciotti, don Vitaliano della Sala e padre Alex Zanotelli sotto i tendoni del Carlini, don Gallo che annunciava, per sua stessa ammissione, due Vangeli: quello canonico e quello contenuto nelle canzoni di Faber, don Gallo ci aveva visto giusto.
È stato quasi un passaggio di testimone, il loro: il prete da marciapiede e il Papa delle favelas. E se c’è una frase che accomunava entrambi, era quella di don Hélder Pessoa Câmara, arcivescovo di Olinda e Recife: «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista».
Dio d’Avvento
Abbiamo utilizzato spesso l’espressione «Dio d’Avvento» a proposito della concezione bergogliana di Nostro Signore. Un Dio che non si stanca mai di perdonare, di tendere la mano, di abbracciare il prossimo, di rifiutare il concetto stesso di nemico e di condannare la guerra e i fabbricanti d’armi; il Dio di chi ne ha più bisogno, ateo o credente che sia; un Dio che s’interroga e non esclude; un Dio fatto uomo: un Dio d’Avvento, per l’appunto, capace di concepire il mistero della nascita e della morte e di presentarci i due momenti con la massima semplicità e naturalezza.
Le offese e le accuse di populismo, peronismo e pauperismo che sta subendo anche in questi giorni da parte della schiuma di un certo mondo conservatore, per non parlare di alcuni editorialisti vecchi nell’animo già a vent’anni, non ci interessano: si commentano da sole.
Di questo Papa vogliamo conservare, piuttosto, il messaggio di pace e d’amore, l’attenzione a ciò che si muove «nel grembo della società» (e l’espressione dossettiana è voluta) e il perenne scavo nelle viscere di un magma ribollente, in grado di generare, oltre a tanto dolore, anche altrettanta bellezza.
Encicliche
Per Francesco, in fondo, parlano le sue encicliche. L’ambientalismo della “Laudato si’”, la fratellanza universale della “Fratelli tutti”, l’idea d’amore di Dio e dell’uomo della “Dilexit nos”; senza dimenticare gli altri scritti, dalle donne all’Amazzonia, in un’incessante testimonianza contro le storture di un’umanità alla deriva.
Ebbene, se c’è stato un amante dell’Occidente, questi è stato Papa Bergoglio, il quale non ha mai smesso di farci presente quanto fosse sbagliata e distruttiva la nostra visione coloniale, imperialista e disumana nei confronti delle altre culture.
Francesco è stato il Papa dell’apertura e dell’incontro, dell’abbraccio verso le altre religioni, dell’abbattimento delle barriere e della cultura del dialogo contrapposta a quella dello scontro. Francesco come il poverello d’Assisi che, nel mezzo delle Crociate, si recò a parlare col Sultano. Francesco agnello fra i lupi. Francesco che fa sfilare, durante la Via Crucis del 2022, una donna russa e una donna ucraina, abbracciate alla stessa croce, vittime dello stesso martirio, affratellate dalla stessa speranza.
Di questo stiamo parlando: di un testimone del tempo e di un punto di riferimento, di uno spartiacque epocale dopo il quale la Chiesa non potrà tornare indietro, pena la sua estinzione.
Africa
Ventiquattro anni fa, le manifestazioni anti-G8 si aprirono con il grido dell’Africa: fu l’unico corteo non segnato dalla violenza e dall’odio. Nel 2013, il primo viaggio di rilievo di Papa Francesco fu a Lampedusa, dove gettò in mare una corona di fiori in onore delle vittime annegate nel corso delle traversate dall’Africa in fiamme alle nostre coste.
Sarebbe bellissimo, pertanto, se il successore di questo Papa globale portasse l’Africa nel cuore. Nel Paese che oltre un secolo fa accolse a Schio suor Giuseppina Bakhita, proveniente dal Sudan, sarebbe la vittoria di coloro che pensano che nessuno debba essere considerato straniero, eccetto i farisei che violentano il messaggio di Dio, piegandolo ai propri interessi. Dio – come ci ha ricordato Francesco – appartiene a tutti, non benedice cannoni e non parteggia per alcun despota.