Bruno Martini: per 46 anni gestore del rifugio Berti al Popera
Una vita trascorsa in uno dei luoghi più magici delle Dolomiti. E tante storie da raccontare L'articolo Bruno Martini: per 46 anni gestore del rifugio Berti al Popera proviene da Montagna.TV.


Il rifugio Antonio Berti si trova in Veneto sul margine meridionale di Vallon Popera ed è raggiungibile da diverse linee, la più frequentata e semplice sale dal Rifugio Lunelli in Val Grande nel comune di Comelico. È circondato da cime imponenti tra le quali Cima Bagni (2.950 m), Monte Popera (3.046 m), Cima Undici (3.092 m) e, separata dal Passo della Sentinella (2.717m), Croda Rossa di Sesto (2.965 m).
Per 46 anni il rifugio è stato gestito da Bruno Martini, che solo lo scorso anno ha lasciato le redini della conduzione. Lo abbiamo incontrato.
Una vita al rifugio Berti, come è iniziato tutto?
Sono stato al Berti per 46 stagioni, devo dire che sono cresciuto in un rifugio. Sono nato a settembre quindi in stagione estiva e credo che i miei genitori mi abbiano portato da subito con loro insieme alla “levatrice” perché mia madre lavorava al Lunelli, il rifugio che la mia famiglia ha gestito per 72 anni. Posso dire quindi di essere cresciuto insieme ai due rifugi.
46 anni sono tanti, non ha mai preso una pausa?
Direi una pausa vera mai, sempre fisso a lavorare in rifugio. Sono stato via qualche periodo, davvero molto breve, quando ero militare. Ma anche in quel periodo i miei ufficiali mi lasciavano andare al Berti a lavorare quasi tutti i giorni.
In che anno ha iniziato a gestire il rifugio?
Nel 1978. Ho iniziato mentre stavo terminando l’istituto professionale forestale, che frequentavo perché la mia idea da ragazzo era entrare nel Corpo forestale. Mio padre “Bepi” era guida alpina e un ex forestale. Quando invece abbiamo fatto il contratto del Berti, ho mollato la scuola e sono andato su. Perché l’ho fatto? Attrazione, bellezza, fascino… un insieme di motivi difficili da spiegare.
Il Berti è in una posizione particolare. È stata questa la leva che l’ha portata al rifugio
Beh, il Valon Popera è un paradiso e qui in paese l’abbiamo sempre chiamato così, è davvero bello e per fortuna anche forse un po’ defilato rispetto ai grandi flussi turistici che interessano molte montagne circostanti. Non c’è l’afflusso di persone che si vede in Tre Cime o di altre località che qui in Dolomiti sembrano esplodere
Quali sono secondo lei i pregi e i difetti, se ce ne sono, della posizione del Berti?
Beh, pregi tantissimi. Da sola la posizione sarebbe sufficiente perché il panorama spazia a 360° sulle montagne, il gruppo del Popera sembra fare da guardia alla struttura e sull’altro versante c’è la cresta Carnica con le Dolomiti d’Oltre Piave sullo sfondo… potrei descrivere per ore tutto quanto si vede dal rifugio. L’unico “difetto” forse è la relativa facilità con cui si può raggiungere e qualche sprovveduto si vede anche in Vallon Popera perché negli ultimi anni sale in montagna anche chi non sa cosa voglia dire la parola “rifugio” o “ambiente montano. Più che di difetti, però, parlerei di problemi legati ai movimenti dei ghiaioni che anno dopo anno stanno modificando il territorio.
Come è cambiata la frequentazione e la clientela in questi 46 anni?
Nei primi anni di gestione vedevo solamente persone che venivano per andare in montagna. Ricordo, quando sono andato a prendere le chiavi del Berti con mio padre, il gestore uscente mi disse una frase che ricordo ancora e che ho avuto in mente ogni giorno per tutti questi anni: “non guardare mai la valle per vedere i clienti che salgono, guarda sempre il Passo della Sentinella perché da lì arriva la gente di montagna”.
Ricordo comunque che un tempo da fondo valle arrivava un decimo dei clienti. Il Berti allora era un punto d’appoggio per chi faceva i giri delle ferrate e si lavorava soprattutto con i pernottamenti. Di giorno si aveva del tempo libero e due volte a settimana andavo ad arrampicare. C’era tanto da lavorare perché tutto si faceva a mano, mancavano i mezzi e le tecnologie che ora aiutano davvero tanto. Se tornassi indietro nel tempo farei di nuovo tutte le scelte fatte negli anni.
La teleferica c’era già quando ha iniziato la gestione?
Si c’era già una teleferica, era ed è indispensabile. Certo quella che trovai nel 1978 chiamarla teleferica era ben difficile, diciamo che era decisamente artigianale e si guastava ogni due o tre giorni. La differenza tra i primi anni di gestione e gli ultimi appena trascorsi è che con quello che avevi un tempo accontentavi tutti, adesso le richieste sono cambiate e per lavorare dobbiamo cercare di avere di tutto, quindi occorre molto più materiale. Ma non abbiamo mai tradito l’essenza del rifugio.
Due punti critici di un rifugio sono elettricità e acqua, come li gestiva?
Due anni fa abbiamo fatto i conti in modo serio per la prima volta con la gestione dell’energia, una frana ha seppellito la turbina e i problemi sono stati enormi. Abbiamo posizionato dei gruppi elettrogeni ma fanno rumore e inquinano, tuttavia, si sono resi necessari per tamponare la situazione. Quest’anno la turbina verrà ripristinata e posizionata in un punto più riparato, avere elettricità in modo continuo è una sicurezza per il rifugio. L’acqua non è mai stata un problema perché il ghiacciaio alto di Vallon Popera, ovvero quello che ne resta, è una fonte continua.
Parliamo delle escursioni più note che si possono fare dal rifugio.
Iniziamo dalla gita al Passo della Sentinella che anche per gli abitanti del Comelico era quasi un impegno morale. Ora è un poco più complessa da affrontare, i ghiaioni si sono mossi non poco ed è stato necessario attrezzare con un cavo continuo un buon tratto che ha reso il sentiero una Via Ferrata che di fatto prolunga la Strada degli Alpini. Non è difficile ma si deve comunque affrontare con il kit completo. Per fortuna la valle permette a chi vuole solo camminare senza difficoltà di salire fino a Forcella di Popera o verso Cima Bagni.
Il Rifugio Berti è un crocevia di vie ferrate, le più note e frequentate quali sono?
Iniziamo dalla Zandonella, che è nata da un’idea di mio padre, guida alpina e socio fondatore del CAI Comelico. La sua idea era di raggiungere Croda Rossa per i percorsi della Grande Guerra. I primi sopralluoghi li fece il Soccorso Alpino con Pietro Micheli che raggiunse la Cengia dei Torrioni e subito dopo la cima. Pochi anni dopo fu realizzato anche il secondo ramo che scende al circo glaciale est e raggiunge Sasso Fuoco passando tra Torre Pellegrini e le Guglie di Croda Rossa.
Poi abbiamo la Roghel che raggiunge la forcella sotto le Guglie di Stallata e poi il Bivacco Battaglion Cadore, da lì si può proseguire fino al Rifugio Carducci per la Cengia Gabriella. Un po’ più lontano la Ferrata Mazzetta alla Croda di Tacco… sono tutte ferrate impegnative e per esperti.
Una domanda personale, cosa si prova la sera guardando il Passo della Sentinella?
Difficile rispondere soprattutto ora che non gestisco più il rifugio. Mi manca la sua vista e i tanti pensieri che mi venivano in mente… le gesta dei Mascabroni, la sofferenza dei soldati durante la Grande Guerra, le tante volte che ci sono salito. Come ho già detto Vallon Popera è un luogo magico e dall’alto del Passo della Sentinella ci si rende conto ancor di più di quanto lo sia. Ricordo ancora quando dai ghiacci affiorarono i resti di un soldato. Era un tenente medico e quando vennero a visitare la sua tomba i parenti, mi sono commosso. La stessa sensazione l’ho avuta tante volte quando si fermavano in rifugio prima i figli poi i nipoti dei Mascabroni. Il Berti racconta tante storie a chi le vuole scoprire.
Lei è figlio di Bepi Martini Guida Alpina, come mai non ha seguito le orme di suo padre?
Ci ho provato. Avevo superato quasi tutti gli esami tranne i moduli estivi, ma per questi avrei dovuto lasciare troppo spesso e a lungo il rifugio. Ma non sono riuscito perché hanno vinto la passione per il Berti e Vallon Popera.
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