Tutti gli uomini di Leone: ecco i vescovi nominati da Prevost negli ultimi due anni

Lo scorso 10 febbraio, quattro giorni prima di essere ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per una polmonite bilaterale, Papa Francesco ha indirizzato a tutti i vescovi degli Stati Uniti una lettera in cui condannava la spietata lotta all’immigrazione clandestina portata avanti dal presidente americano Donald Trump. Secondo l’arcivescovo Timothy Broglio, presidente della Conferenza episcopale […]

Mag 16, 2025 - 22:20
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Tutti gli uomini di Leone: ecco i vescovi nominati da Prevost negli ultimi due anni

Lo scorso 10 febbraio, quattro giorni prima di essere ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per una polmonite bilaterale, Papa Francesco ha indirizzato a tutti i vescovi degli Stati Uniti una lettera in cui condannava la spietata lotta all’immigrazione clandestina portata avanti dal presidente americano Donald Trump. Secondo l’arcivescovo Timothy Broglio, presidente della Conferenza episcopale degli Usa, anche lui più volte critico verso le politiche di Trump, nella preparazione di quella lettera ha avuto certamente un ruolo Robert Francis Prevost, poi come noto succeduto a Bergoglio sul soglio pontificio. La tesi è più che verosimile: fino a poche settimane fa, infatti, l’allora “cardinale semplice” Prevost – originario di Chicago – ricopriva a Roma la carica di prefetto per il Dicastero dei Vescovi, il dipartimento del Vaticano a cui fanno capo tutti gli episcopi del mondo.

La missiva rivolta ai monsignori statunitensi non usava giri di parole. Francesco scriveva: «Sto seguendo da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità». Poi rincarava la dose: «L’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi». Infine, il Santo Padre esortava «tutti i fedeli della Chiesa cattolica, come anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a non cedere a narrative che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati».

Se dietro quella lettera c’è la mano di Prevost, possiamo già avere un’idea chiara di quel che sarà il rapporto fra Papa Leone XIV e Trump, nonostante quest’ultimo abbia accolto con entusiasmo l’elezione del primo pontefice a stelle e strisce della storia.

Il tycoon non piace
Prevost ha gestito il Dicastero dei Vescovi per due anni, dall’aprile 2023 fino alla morte di Jorge Mario Bergoglio. Il Papa lo aveva chiamato in Vaticano per prendere il posto del cardinale canadese Marc Ouellet, ratzingeriano di ferro, andato in pensione dopo aver guidato il dicastero per una dozzina di anni.

Lo statunitense – che peraltro ha trascorso circa un terzo della sua vita nel Sud del mondo, in Perù, Paese di cui ha anche la cittadinanza – è una figura profondamente diversa dal suo predecessore. A cominciare delle frequentazioni. 

Prevost è molto vicino al cardinale Blase Chupin, arcivescovo della sua città natale, Chicago, nonché uno degli esponenti più progressisti della Curia statunitensi. E durante gli anni in Sud America ha conosciuto e molto apprezzato padre Gustavo Gutiérrez, fondatore della Teologia della Liberazione, corrente di pensiero del cattolicesimo che ha particolarmente a cuore la promozione della giustizia sociale.

Uno degli ultimi vescovi nominati dal prefetto agostiniano è stato, lo scorso gennaio, il cardinale Robert Walter McElroy, a cui è stata affidata nientemeno che l’arcidiocesi di Washington Dc. La scelta di McElroy per vegliare sulla capitale degli Usa è densa di significato dal punto di vista politico: il porporato californiano è un dichiarato oppositore di Trump, al punto che ai tempi del primo mandato del tycoon alla Casa Bianca, da vescovo di San Diego, invitò i cattolici a diventare «disruptors» (ossia distruttori) delle politiche anti-migranti.

Ad essere precisi, il prefetto per il Dicastero dei Vescovi non nomina direttamente i vescovi: quella è una prerogativa che spetta al Papa. Però è il prefetto a selezionare i candidati e a consigliare il pontefice. Scorrere l’elenco dei vescovi designati nell’ultimo biennio, allora, può fornire un’indicazione almeno parziale sugli uomini di cui Leone XIV tende a fidarsi e quindi sulla linea che porterà avanti nei prossimi anni.

Sud America
L’esperienza di Prevost alla guida del dicastero è iniziata, a maggio 2023, con la promozione di monsignor Jorge Ignacio García Cuerva ad arcivescovo di Buenos Aires, incarico ricoperto in passato anche da Bergoglio, dunque osservato dal Vaticano con un occhio di riguardo. Ebbene, finora l’episcopato di Cuerva si è caratterizzato, dal punto di vista politico, per i ripetuti scontri verbali con il presidente dell’Argentina Javier Milei, paladino di quell’ultraliberismo sfrenato più volte criticato proprio da Papa Francesco. Ci sono «tanti argentini sdraiati al freddo sulle coperte sui marciapiedi per mancanza di solidarietà», ha fatto notare ad esempio l’arcivescovo nel luglio dello scorso anno, in occasione del Te Deum di ringraziamento per il Giorno dell’indipendenza nazionale.

Ma Cuerva è anche un irriducibile anti-abortista. Nel 2020, da vescovo della diocesi di Río Gallegos, aveva preso pubblicamente posizione contro la legalizzazione dell’aborto in Argentina, definendola «inappropriata» e sostenendo che «uccidere non è la soluzione, tanto meno per i più vulnerabili», peraltro anche in questo linea con il pensiero di Bergoglio.

Anti-Milei e anti-aborto è anche monsignor Gabriel Antonio Mestre, scelto nel luglio 2023 come arcivescovo di La Plata, città a una sessantina di chilometri da Buenos Aires. Mestre, tuttavia, è durato poco: già nel maggio 2024 è stato costretto a dimettersi con l’accusa di aver sottovalutato alcune denunce per abusi sessuali commessi da sacerdoti durante il suo precedente episcopato, a Mar del Plata.

Spostandoci nel vicino Brasile, il Paese cattolico più grande del mondo, nel giugno 2023 il Dicastero dei Vescovi guidato da Prevost ha suggerito monsignor Paulo Jackson Nóbrega de Sousa come nuovo arcivescovo della diocesi di Olinda e Recife, circoscrizione da 4 milioni di abitanti. Nel 2019 Nóbrega, all’epoca vescovo di Garanhuns, aveva ricevuto minacce dai sostenitori dell’allora presidente brasiliano Jair Bolsonaro per aver ospitato in una chiesa lo spettacolo di un artista critico verso il governo. Anche lui è irremovibile sulla contrarietà all’aborto: nel 2024, in qualità di arcivescovo  di Olinda e Recife, ha co-firmato una lettera della Conferenza episcopale brasiliana a sostegno di una proposta di legge che mirava ad equiparare la pena per l’aborto dopo le 22 settimane di gestazione a quella per l’omicidio.

Europa
In Europa una delle designazioni più importanti passate sotto il vaglio di Prevost è stata quella di monsignor José Cobo Cano ad arcivescovo di Madrid. Cobo Cano, che poco dopo la nomina è stato promosso a cardinale, è stato indicato in occasione del recente Conclave come uno dei porporati più  vicini allo stile di Francesco: attenzione ai poveri, accoglienza verso i migranti, dialogo con la società civile. 

A differenza di Bergoglio, peraltro, l’arcivescovo si è mostrato meno aperto rispetto ai matrimoni omosessuali: se il Papa aveva approvato le benedizione per le coppie gay, Cobo Cano è intervenuto l’anno scorso per censurare il comportamento di un sacerdote che aveva celebrato una unione civile in una cappella: «In nessun caso è permesso il matrimonio civile all’interno di un edificio religioso», ha affermato in un comunicato l’arcidiocesi di Madrid.

Nei mesi scorsi il monsignore iberico è stato duramente attaccato dai militanti di Vox per aver biasimato l’utilizzo di simboli religiosi da parte dell’attivista ultra-cattolico José Andrés Calderón, vicino al partito di estrema destra. Ciò sembra confermare l’esistenza di un filo conduttore che lega le nomine dei vescovi supervisionate da Prevost: si tratta molto spesso di figure che mal sopportano gli autoritarismi, che hanno a cuore la giustizia sociale e che però mantengono una linea d’intransigenza rispetto a temi etici come l’aborto o la sessualità.

Un altro esempio in questo senso è quello di monsignor Gherardo Gambelli, nominato circa un anno fa arcivescovo di Firenze. Gambelli, ex missionario in Ciad, ex cappellano nel carcere fiorentino di Sollicciano, è etichettabile come “progressista” se si parla di attenzione agli ultimi, ma quando si tratta di questioni come il diritto alla vita si riscopre conservatore. «La priorità non può essere come si deve morire, ma proteggere la vita dall’origine sino al suo termine», ha dichiarato di recente l’arcivescovo commentando la legge varata dal Consiglio regionale della Toscana che per la prima volta in Italia ha legalizzato il suicidio assistito

Più marcatamente liberal è invece monsignor Klaus Krämer, dal dicembre scorso vescovo della diocesi di Rottenburg-Stoccarda, in Germania. Nei mesi precedenti alla sua designazione, Krämer aveva partecipato in prima persona a una manifestazione contro il partito xenofobo Alternative für Deutschland. E dopo la sua designazione a vescovo si è lanciato – in linea con una posizione prevalente da tempo nella Chiesa tedesca –  nel sostenere la necessità di superare l’obbligo di celibato per i preti. 

“In Illo uno unum”
In un’intervista rilasciata a Vatican News nel maggio 2023, appena arrivato a Roma, Prevost spiegava così il suo identikit del perfetto vescovo: «Un elemento fondamentale è l’essere pastore, capace di essere vicino ai membri della comunità, a cominciare dai sacerdoti per i quali il vescovo è padre e fratello. Vivere questa vicinanza a tutti, senza escludere nessuno. Papa Francesco ha parlato delle quattro vicinanze: vicinanza a Dio, ai fratelli vescovi, ai sacerdoti e a tutto il popolo di Dio. Non bisogna cedere alla tentazione di vivere isolati, separati in un palazzo, appagati da un certo livello sociale o da un certo livello dentro la Chiesa. E non bisogna nascondersi dietro un’idea di autorità che oggi non ha più senso».

Poi, a proposito della gestione delle finanze affidate alle diocesi, aggiungeva: «L’importante è non dimenticarsi mai della dimensione spirituale della nostra vocazione. Altrimenti si rischia di diventare dei manager e ragionare come manager. Qualche volta succede».

Il motto episcopale che Leone XIV scelse per sé quando divenne vescovo recita «In Illo uno unum», che tradotto in italiano significa «In Colui che è uno, siamo uno». È una citazione del santo che più di tutti ispira il nuovo papa, Agostino, il quale intendeva dire che «sebbene noi cristiani siamo molti, nell’unico Cristo siamo uno». Riletto oggi, il motto suona come una linea programmatica per Prevost: continuità rispetto al papato di Francesco, ma anche attenzione a ricucire le lacerazioni interne alla Chiesa.