Tsunami Trump: energia tra dazi, carbone e caos globale

Con il secondo mandato di Trump alla Casa Bianca, le priorità energetiche degli Stati Uniti sono cambiate radicalmente e gli effetti di questo ribaltamento di prospettiva si stanno riverberando negli Usa e nel mondo. Al centro della nuova strategia Usa c’è una netta preferenza per le fonti fossili, unita al ritiro dalle principali politiche climatiche […] The post Tsunami Trump: energia tra dazi, carbone e caos globale first appeared on QualEnergia.it.

Apr 17, 2025 - 08:30
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Tsunami Trump: energia tra dazi, carbone e caos globale

Con il secondo mandato di Trump alla Casa Bianca, le priorità energetiche degli Stati Uniti sono cambiate radicalmente e gli effetti di questo ribaltamento di prospettiva si stanno riverberando negli Usa e nel mondo.

Al centro della nuova strategia Usa c’è una netta preferenza per le fonti fossili, unita al ritiro dalle principali politiche climatiche e a un rallentamento deciso del supporto federale all’energia pulita.

Gli strumenti principali che Trump sta usando per attuare questi indirizzi sono gli ordini esecutivi e i dazi doganali alle importazioni. Al 14 aprile, aveva varato 131 misure, secondo la società norvegese di consulenza Rystad Energy.

Gli obiettivi principali dello stravolgimento avviato dagli Usa sono favorire il rimpatrio delle attività manifatturiere, emanciparsi dalla Cina, promuovere l’occupazione industriale Usa, limitare la forza del dollaro e ridurre il debito statunitense.

La politica del carbone

Uno dei segnali più evidenti di questo cambiamento è il tentativo di riportare in auge il carbone (vedere anche L’illusione di Trump: rilanciare il carbone, ignorando la realtà)

Dopo molti anni di declino, la generazione elettrica da carbone ha mostrato una ripresa nei primi mesi del 2025, favorita dall’aumento del prezzo del gas negli Usa. Le centrali a carbone americane, che attualmente operano in media al 40% della capacità, cercano così di sfruttare la capacità inutilizzata.

Sebbene non siano previsti nuovi investimenti in nuove centrali, l’utilizzo della capacità esistente potrebbe aumentare, soprattutto per alimentare i centri dati per l’intelligenza artificiale, secondo Rystad.

La politica del gas

Due nuovi terminali di esportazione di gas naturale liquefatto (Gnl) hanno ottenuto l’autorizzazione dell’amministrazione Trump per cominciare a esportare. Tuttavia, i contratti di vendita sono ancora pochi e piccoli, cosa che testimonia la cautela degli operatori.

I costi per i nuovi impianti Gnl sono in aumento: l’impatto dei dazi stimato da Rystad varia dal +3% al +16%, a seconda dell’esposizione alle importazioni di acciaio e componentistica estera.

Attualmente, Trump minaccia l’Unione Europea con dazi del 20% su acciaio e alluminio e del 25% sulle auto. Per evitarli, il presidente americano ha chiesto a Bruxelles un impegno ad acquistare 350 miliardi di dollari di energia Usa, in particolare Gnl.

Questa imposizione, pur in un contesto dove il 50% del Gnl importato dall’Ue proviene già dagli Usa, è letta dal think tank italiano ECCO Climate come un tentativo di ostacolare l’autonomia energetica europea e minare il Green Deal.

Il Gnl è diventato esplicitamente uno strumento negoziale per imporre all’Europa un riallineamento forzato alle fonti fossili, ostacolando la diversificazione verso fornitori come la Cina o investimenti nelle tecnologie verdi, secondo il think tank italiano.

Legarsi con contratti obbligatori take-or-pay al Gnl americano rischia di imporre costi extra a famiglie e imprese, soprattutto quando la domanda di gas in Italia è in calo (-18% in tre anni) e le infrastrutture esistenti sono già più che sufficienti per la sicurezza degli approvvigionamenti.

Lo stato del greggio

La guerra commerciale innescata dai dazi sta già avendo effetti concreti anche sulla domanda e sui prezzi del petrolio.

I timori di frenata o recessione dell’economia hanno fatto scendere il prezzo del greggio americano WTI anche sotto i 60 dollari al barile, cioè sotto al punto di pareggio di 62,5 dollari spese incluse per i produttori americani, secondo Rystad. Questo mette a rischio la sostenibilità economica di nuovi pozzi e potrebbe costringere le aziende a ridurre le trivellazioni, l’esatto contrario da quanto auspicato da Trump.

Se la guerra commerciale si intensifica, la crescita della domanda mondiale di petrolio potrebbe dimezzarsi, scendendo da +1,2 a +0,6 milioni di barili al giorno, ha sottolineato Rystad (Trump and Energy – pdf).

Lo stato della domanda elettrica

Il rischio di rallentamento non riguarda solo il greggio, ma anche l’andamento della domanda elettrica americana. La società di consulenza stima che fino al 50% dell’aumento previsto della domanda elettrica Usa al 2034, pari a 820 TWh, sia a rischio.

La crescita dovrebbe essere trainata in gran parte da centro dati e intelligenza artificiale (520 TWh), industria (150 TWh) e mobilità elettrica.

Ma in caso di ulteriore deterioramento dei rapporti commerciali globali e di inflazione persistente, la crescita potrebbe ridursi di 400 TWh, con un aumento complessivo della domanda limitato a soli 420 TWh.

Lo stato delle rinnovabili

Nel breve termine, i progetti fotovoltaici ed eolici potrebbero subire aumenti dei costi fino a quasi il 30% nel peggiore degli scenari doganali, in coincidenza anche con la proposta del Congresso di abrogare i crediti d’imposta a favore della manifattura domestica di componenti per i progetti di fonti rinnovabili.

Da notare che la stima di Rystad su rincari massimi possibili del 30% per fotovoltaico ed eolico si basa su dazi alle importazioni dalla Cina pari al 54%. I dazi attualmente previsti da Trump contro le merci cinesi sono in realtà del 145%. È possibile quindi che i rincari massimi dei componenti FV ed eolici negli Usa sarebbero più vicini all’80% che al 30%, se il dazio rimanesse a quel livello.

La nuova amministrazione Usa ha imposto una moratoria di 90 giorni sull’erogazione dei fondi dell’Inflation Reduction Act (Ira) e della legge sulle infrastrutture, mettendo in crisi centinaia di progetti clean tech. Ad esempio, Natron Energy aveva richiesto un finanziamento pubblico per una gigafactory da 1,4 miliardi di dollari per costruire batteria al sodio in North Carolina, un progetto ora sospeso.

Trump mirerebbe a smantellare i crediti d’imposta per la produzione nazionale di tecnologie pulite, con un obiettivo preciso. Secondo ECCO, la strategia di Trump punta non a competere sulla transizione ecologica, ma a impedirla: eliminando gli incentivi, vincolando l’Europa al Gnl nel lungo termine e creando un contesto sfavorevole per le tecnologie verdi.

Il rischio per l’Europa è cedere a una dipendenza strutturale dal gas americano, rinunciando a costruire una filiera industriale verde autonoma e competitiva. “Una simile scelta finirebbe per danneggiare le imprese italiane già penalizzate dai costi elevati del gas, e le escluderebbe dalle opportunità offerte da una nuova economia più sostenibile”, secondo ECCO.

A possibile conferma di quanto sostiene ECCO, va notato che “i segmenti delle energie rinnovabili dipendono fortemente dalle importazioni e sono i più colpiti dai dazi”, scrivono gli analisti di Rystad Energy.

Nell’illustrazione (clicca per ingrandire), le percentuali di spesa capitale (Capex) per componenti domestici e importati negli Usa nelle diverse tecnologie energetiche e l’incremento minimo e massimo del Capex imputabile ai dazi.

Lo stato del clima

Sul piano climatico, il colpo più duro è stato il secondo ritiro ufficiale degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. A questo si è aggiunta l’abrogazione, da parte del Congresso, del Waste Emissions Charge, un onere che aveva l’obiettivo di ridurre le emissioni di metano nel settore degli idrocarburi.

Nel frattempo, le politiche ambientali europee stanno assumendo un ruolo indiretto di regolazione transatlantica. L’Ue ha già annunciato che imporrà standard minimi di emissioni di metano per i combustibili importati, che potrebbero colpire proprio le esportazioni Usa in assenza di una disciplina americana equivalente.

Poiché il 50% del Gnl europeo proviene dagli Usa, si tratta di un fattore pro-clima non marginale che potrebbe controbilanciare l’abrogazione del Waste Emissions Charge, anche se Trump potrebbe considerare gli standard Ue come una barriera commerciale.

Anche il sistema federale di monitoraggio delle emissioni è ora a rischio. Il GHG Reporting Program, il principale meccanismo statistico per stimare le emissioni Usa di gas a effetto serra, potrebbe essere ridimensionato o eliminato, rendendo più difficile il lavoro di verifica e trasparenza climatica a livello nazionale e internazionale.

In un clima politico ostile alla transizione energetica ed ecologica, molte aziende Usa stanno modificando il proprio approccio. Alcune, come Eos Energy Enterprises, si stanno riposizionando verso il settore della difesa per sostenere il proprio modello di business.

L’azienda ha ottenuto infatti contratti per fornire batterie a basi navali e militari, valorizzando il fatto che i suoi sistemi di accumulo sono prodotti interamente negli Usa.

Altre aziende, invece, hanno deciso di evitare termini come “decarbonizzazione” e “net zero” nella propria comunicazione, preferendo concetti più “patriottici” come “sicurezza energetica” o “resilienza industriale”, secondo il gruppo americano di ricerche e dati Bloomberg tramite il suo marchio Bloomberg Green.

Presente e futuro dei nuovi investimenti verdi

Nonostante tutto, nel primo trimestre del 2025, i venture capitalist e le società di private equity hanno investito più di 5 miliardi di dollari in startup di tecnologia climatica negli Usa, con un aumento di quasi il 65% rispetto a un anno fa, secondo i dati della società di informazioni di mercato PitchBook.

Secondo Rajesh Swaminathan, partner di Khosla Ventures, i dazi creano “un’opportunità” per le startup che vogliano costruire fabbriche di nuova generazione negli Stati Uniti.

Aziende ancora acerbe, ma basate negli Usa, finanziate molto a livello privato e non legate a tecnologie verdi di massa invise a Trump, potrebbero beneficiate del clima attuale. Fra queste, la startup geotermica AltaRock Energy e la società focalizzata sulla fusione nucleare Commonwealth Fusion Systems.

Al contrario, l’idrogeno verde e la cattura diretta della CO2 dall’aria, dipendenti entrambi dagli incentivi governativi, potrebbero soffrire, secondo Bloomberg Green, se l’amministrazione Trump e i repubblicani del Congresso procedessero con il ritiro di parti dell’Inflation Reduction Act.

A soffrire potrebbero essere però non solo tecnologie acerbe come quelle appena citate, ma anche segmenti più maturi, come quello delle batterie al sodio della sopra citata Natron Energy.

Se gli incentivi dell’Ira e i finanziamenti statali svaniscono, “non so chi costruirà questi grandi progetti sul clima nei prossimi anni. Ci sarà un vuoto piuttosto consistente” che il solo finanziamento azionario non potrà colmare, nota Sophie Bakalar, partner di Collaborative Fund.

Insomma, la politica energetica e commerciale di Donald Trump rappresenta una sfida sistemica agli obiettivi della transizione energetica e climatica.

Le sue azioni mirano a rafforzare la produzione fossile Usa, a usare i dazi come strumento di pressione geopolitica e a frenare le tecnologie verdi, e non solo in America.

Quella di Trump è una scommessa a tutto campo per riscrivere le regole del commercio, della finanza pubblica e della sicurezza energetica.

“Se saranno in grado di mantenere i loro impegni su tutti questi fronti, senza scatenare rinculi economici e contraccolpi politici, resta da vedere”, conclude Claudio Galimberti, capo economista di Rystad.The post Tsunami Trump: energia tra dazi, carbone e caos globale first appeared on QualEnergia.it.