Torino, storie di migranti arrivati da poco tra accoglienze bloccate e buone notizie inattese
Storie parallele, storie al contrario, destino o volontà. Per le strade delle nostre città ci passano accanto i giovani, che oggi sono spesso i giovani nati in altri continenti. M. è finito male, morto accoltellato nel quartiere più multietnico della città di Torino. Irregolare, aveva scritto qualcuno. Il padre, africano in Italia da 26 anni, […] L'articolo Torino, storie di migranti arrivati da poco tra accoglienze bloccate e buone notizie inattese proviene da Il Fatto Quotidiano.

Storie parallele, storie al contrario, destino o volontà. Per le strade delle nostre città ci passano accanto i giovani, che oggi sono spesso i giovani nati in altri continenti. M. è finito male, morto accoltellato nel quartiere più multietnico della città di Torino. Irregolare, aveva scritto qualcuno. Il padre, africano in Italia da 26 anni, si è offeso per quella parola. Si è trattato di un ricongiungimento familiare regolarissimo, quindi con la dimostrazione che il padre aveva il reddito sufficiente e lo spazio per ospitare il figlio, neo-maggiorenne.
Poi il figlio è andato ad abitare dagli zii, per essere più vicino a scuola, cominciava a fare riparazioni da meccanico, era bravo. Un tipo che si presentava serio, tranquillo, non solo non beveva (ovviamente, da musulmano) ma neanche fumava sigarette. Gli amici dicono che non lo hanno mai visto litigare. Da metà aprile però aveva evitato il padre, poi non gli rispondeva neanche più al telefono. Fino a quella notte di pochi giorni fa in cui, dopo uno scontro, una specie di rissa che sembrava essersi placata, un gruppetto lo aveva aggredito e accoltellato mortalmente. Non si sa ancora bene cosa sia successo e perché, ma se M., come a questo punto sembra probabile, è finito a 19 anni in un giro di spacciatori non è perché “non aveva alternative”. Poteva avere scuola, lavoro, casa, aveva cominciato. Un qualche demonio, un qualche sogno di fare i soldi facili – è quello il punto – lo ha trascinato via.
Più o meno negli stessi giorni sono venuto a contatto con altre storie, altre possibilità. Che resistono e vivono nonostante la condizione sempre più difficile dei richiedenti asilo. Fino a poco tempo fa, chi arrivava veniva bene o male assegnato a un Centro di Accoglienza. Magari doveva passare qualche giorno in un hub, un centro di smistamento. Adesso, almeno a Torino, lo mettono in lista di attesa e al massimo gli danno l’indirizzo dei dormitori comunali. L’attesa dura parecchi mesi. N. è arrivato dal Marocco, ha chiesto asilo pur sapendo che sarà difficile (è paese sicuro) e si è buttato a capofitto nella comunità marocchina, ricavandone un lavoro con orario massacrante e malpagato come aiutante al mercato, ma anche un posto letto. Ora si concentra sulla scuola per imparare anche l’italiano (sa già inglese e francese) e su un tirocinio part time con la mia associazione (Eco dalle città, recupero eccedenze di ortofrutta ai mercati e altri progetti ecosociali).
Ancora più clamoroso è stato O., che è arrivato da un paese dell’Africa nera avendo già studiato parecchio l’italiano e con un visto per studio. Ma appena arrivato ha realizzato quanto già sospettava – e cioè di non potersi mantenere come studente – ha chiesto asilo e ha realizzato quanto non si aspettava, e cioè che non c’era posto. Dopo qualche notte passata tra addiaccio e dormitori ha conosciuto un connazionale che lo ospita di nascosto, in un appartamento condiviso. Dormono nello stesso letto, non per ragioni affettive ma perché è l’unico, e O. può stare in casa solo la notte, a dormire. Di giorno ha mangiato alle mense per poveri e per farla breve è riuscito a campare quasi quattro mesi con i 200 euro che aveva. La tentazione del denaro facile non ha fatto presa su questi due ragazzi.
Il governo che abbiamo ha fatto di tutto per ridurre la possibilità di accettare le domande di asilo, con la conseguenza paradossale di riempire (!) i centri di accoglienza, perché i bocciati (dalle Commissioni, quindi in prima istanza) hanno diritto al ricorso, i tribunali sono intasati, si aspetta anni e il governo non può togliere il diritto di aspettare nei Centri di Accoglienza. E poi cosa succede?
L’altra buona notizia è che tribunali illuminati come quello di Torino stanno decidendo di dare comunque un permesso di soggiorno a chi dimostra di essere inserito in percorsi di integrazione, facendo riferimento alla Costituzione e al diritto europeo. Quindi c’è speranza anche per chi viene dai paesi “sicuri”. Ci vuole pazienza, e ovviamente sarebbe meglio per tutti (per i migranti e per l’Italia) se ci fossero più solidarietà e innanzitutto più attenzione. Nel post che avete appena letto c’erano tre storie e due notizie – spero si sia capito – che non ho letto altrove.
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