Strage di giovani a Monreale. Il killer confessa (ma solo a metà)
Il 19enne fermato dai carabinieri ha ammesso di aver sparato. Poi davanti al gip si è chiuso nel silenzio. Dopo il raid aveva chiamato un amico: "Ho fatto un macello". Caccia ad almeno quattro complici.

Otto secondi di video bastano a raccontare l’inferno. Via Benedetto D’Acquisto, Monreale, è l’una di notte di domenica: prima una rissa selvaggia a pugni e colpi di caschi, poi la svolta sanguinaria. Il crepitio di spari, venticinque colpi in totale, ad altezza d’uomo, in mezzo alla folla. Tre morti – Salvatore Turdo di 23 anni, Massimo Pirozzo e Andrea Miceli entrambi di 26 anni, tutti incensurati e di Monreale – e due feriti.
È la strage di cui la Procura di Palermo accusa Salvatore Calvaruso, 19 anni, fermato dai carabinieri e rinchiuso in carcere con l’imputazione di strage e porto abusivo d’arma. Ma il puzzle è ancora incompleto: almeno altri quattro complici sono latitanti. E lui, dopo una confessione a caldo, chiude ogni spiraglio, dando la possibilità ai sodali di prendere il largo. Un muro. Ma che Calvaruso sia uno dei killer non c’è dubbio. Testimonianze, immagini riprese dalle telecamere e addirittura un amico che "se l’è cantata", come si suol dire.
"Ho combinato un macello, devi denunciare il furto della moto", avrebbe sbottato Calvaruso a un coetaneo che gli aveva prestato la due ruote, un’ora dopo il raid di Monreale. Un’ammissione che ora pesa come un macigno nel fermo. Ma quando, davanti al pm Felice De Benedittis, arriva il momento di parlare, il diciannovenne del quartiere Zen di Palermo tira giù la saracinesca.
Un silenzio quasi rituale, il suo. "Un atteggiamento da codice mafioso", commentano a mezza bocca fonti investigative, mentre la caccia ai complici si infittisce perché a sparare non può essere stato solo Calvaruso visto che per terra sono stati repertati 25 bossoli. Un numero spropositato. Intanto, dopo aver confessato ai carabinieri – ma senza aver chiamato un avvocato, rendendo quindi quelle parole quasi inutilizzabili in tribunale – Calvaruso sceglie l’omertà. Un comportamento che sa di sfida, mentre il cellulare, potenziale chiave per risalire agli altri killer, è sparito. "Probabilmente distrutto", ipotizzano gli inquirenti.
La ricostruzione sulla notte nera è orami quasi completa. Tutto inizia per futili motivi, una lite sulla guida delle moto degenera in rissa. Il gruppo di palermitani – almeno cinque, forse più – aggredisce i giovani di Monreale.
Poi, le armi entrano in scena. Calvaruso, secondo gli investigatori, è uno dei due sparatori. I video di sorveglianza mostrano la sua figura mingherlina, giubbotto nero addosso, mentre si dimena nella mischia. Poi, l’arma in mano. Diciassette colpi attribuiti a lui, altri otto a un complice non ancora identificato. Nel corso della rissa, Calvaruso, ex pugile, perde anche gli occhiali, ritrovati sul posto, insieme al giubbotto.
I pm sono durissimi: "Sparare in una strada affollata, a un metro e mezzo d’altezza, equivale a mettere a rischio decine di vite. È solo fortuna se non ci sono più morti". Bossoli ovunque: sui marciapiedi, dentro i vasi di fiori, sul parabrezza di un’auto in sosta. E quei corpi a terra, senza vita, sotto i lampioni. Ora tocca al gip decidere se convalidare l’arresto. Intanto, le famiglie delle vittime aspettano giustizia. Giacomo Miceli, il padre di Andrea, uno dei ragazzi morti nella strage, è durissimo: "Mi hanno tolto un figlio – sibila –. O verrà fatta giustizia o me la farò da solo".