Torture nel carcere di Foggia: pm chiede rinvio a giudizio per 10 agenti

Per il presunto pestaggio di due detenuti avvenuto nell’agosto 2023 nel carcere di Foggia, la pm Laura Simeone ha chiesto il rinvio a giudizio di dieci agenti penitenziari e quattro operatori sanitari. Le accuse sono a vario titolo di tortura, danneggiamento, concussione e tentata concussione, falsità ideologica, calunnia, soppressione atti, favoreggiamento e omissione di referto […] The post Torture nel carcere di Foggia: pm chiede rinvio a giudizio per 10 agenti appeared first on L'INDIPENDENTE.

Apr 29, 2025 - 13:37
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Torture nel carcere di Foggia: pm chiede rinvio a giudizio per 10 agenti

Per il presunto pestaggio di due detenuti avvenuto nell’agosto 2023 nel carcere di Foggia, la pm Laura Simeone ha chiesto il rinvio a giudizio di dieci agenti penitenziari e quattro operatori sanitari. Le accuse sono a vario titolo di tortura, danneggiamento, concussione e tentata concussione, falsità ideologica, calunnia, soppressione atti, favoreggiamento e omissione di referto medico. La Procura ha contestato «violenze gravi e crudeltà» da parte dei poliziotti, nonché una pianificata operazione di insabbiamento dei fatti e depistaggio sulle conseguenze. Gli indagati, quasi tutti rimessi in servizio (sebbene in case circondariali diverse di Puglia e Calabria), respingono in parte o del tutto le accuse. L’udienza preliminare è fissata per il 15 settembre.

Nello specifico, la Procura di Foggia ha chiesto il rinvio a giudizio per i membri della polizia penitenziaria dopo aver appurato che l’11 agosto 2023 un detenuto originario di Bitonto, invalido al 100% e affetto da gravi disturbi psichiatrici (sfociati anche in atti autolesivi), sarebbe stato pestato con crudeltà e violenza tra le mura della sua cella poiché considerato «problematico». Due mesi prima dell’aggressione, questi aveva minacciato una ispettrice della polizia penitenziaria – anch’essa coinvolta nell’indagine – sollevando contro di lei uno sgabello e graffiandola sulla fronte con le unghie. «Hanno agito con violenze gravi e crudeltà, sottoponendo il detenuto a un trattamento inumano e degradante – ha messo nero su bianco la Procura motivando la richiesta di rinvio a giudizio –. E quando il compagno di cella provò a intervenire, ci furono botte anche per lui, con accanimento sul volto di una persona scalza e indifesa che cercava solamente di ripararsi dai colpi». Nell’ordinanza di custodia cautelare era stato scritto che gli indagati avrebbero agito «utilizzando il loro numero soverchiante per impedire qualsiasi possibile reazione difensiva», causando alla vittima lesioni in varie parti del corpo, importanti sofferenze fisiche e un trauma psichico.

Secondo i pubblici ministeri, inoltre, in seguito a tali condotte sarebbe stata azionata la macchina del depistaggio, con la predisposizione e la sottoscrizione di atti falsi con l’obiettivo di celare le violenze subite dai detenuti ed evitare che venissero emesse le diagnosi delle lesioni da loro riportate. La Procura afferma inoltre che sarebbero accertate vere e proprie minacce rivolte alle vittime mediante cui due degli indagati le avrebbero costrette a sottoscrivere farsi verbali in cui si riportava una versione diversa rispetto ai fatti realmente accaduti. Nella sua richiesta degli arresti, il pm aveva evidenziato un «diffusissimo clima di omertà, quando non di fattiva collaborazione nell’ostacolare le indagini», che avrebbe implicato la «capacità di ottenere la collaborazione di detenuti differenti dalle persone offese, al fine di depistare le indagini e di intimidire le stesse vittime delle violenze».

In Italia, da nord a sud, sono ormai numerosi i processi in cui la magistratura contesta il reato autonomo di tortura a componenti delle forze dell’ordine. Il primo, su cui recentemente ha messo il timbro la Corte d’Appello di Firenze, è sfociato dal brutale pestaggio da parte di 15 agenti penitenziari ai danni di un detenuto tunisino nel carcere di San Gimignano (Siena) nel 2018. Su tale fattispecie, però, si sono concentrate le critiche di un largo pezzo di maggioranza, che è passata presto alle vie di fatto. In particolare, FDI ha proposto l’abrogazione del reato di tortura attraverso l’eliminazione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale che lo delineano, mantenendo soltanto una nuova aggravante comune. Nel dicembre del 2023, il Consiglio d’Europa è intervenuto per bacchettare l’esecutivo italianoinvitandolo «caldamente» a «garantire che qualsiasi eventuale modifica al reato di tortura sia conforme ai requisiti della Convenzione europea dei diritti umani e alla giurisprudenza della CEDU».

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