Un fenomeno poco visibile ma potenzialmente dirompente Le
eruzioni vulcaniche sottomarine sono tra gli eventi geologici meno conosciuti e monitorati al mondo, nonostante avvengano con una frequenza sorprendentemente elevata. Si stima che circa il
75% dell’attività vulcanica globale si verifichi sotto il livello del mare, specialmente lungo le dorsali oceaniche, immense catene montuose sommerse che percorrono il fondo degli oceani per decine di migliaia di chilometri. Questi fenomeni rimangono in gran parte invisibili all’occhio umano. A differenza delle eruzioni terrestri, che possono essere spettacolari e immediatamente percepite attraverso ceneri, esplosioni e colate laviche, le eruzioni sottomarine avvengono spesso in silenzio, a migliaia di metri di profondità, in un ambiente difficile da osservare e studiare. Tuttavia,
l’impatto ambientale di queste eruzioni può essere tutt’altro che trascurabile.
Il vapore acqueo: una minaccia insospettata per il clima La differenza sostanziale tra un’eruzione vulcanica terrestre e una sottomarina sta nella
natura e nella quantità dei gas emessi. Mentre le eruzioni terrestri rilasciano grandi quantità di
anidride solforosa e particolato che tendono a raffreddare la troposfera riflettendo la radiazione solare (fenomeno noto come “effetto albedo”), quelle sottomarine emettono soprattutto
vapore acqueo, un
potente gas serra che può contribuire ad un
riscaldamento temporaneo dell’atmosfera. Questa caratteristica ha suscitato negli ultimi anni l’attenzione degli scienziati, specialmente dopo eventi come l’eruzione del vulcano
Hunga Tonga–Hunga Ha’apai nel Gennaio 2022, un evento eccezionale che ha proiettato nella stratosfera una quantità senza precedenti di vapore acqueo: circa
146 teragrammi (146 milioni di tonnellate) secondo la
NASA. Tale volume ha provocato un incremento dell’umidità stratosferica del
10%, con effetti osservabili anche sul bilancio radiativo terrestre.
Un contributo all’effetto serra spesso ignorato Il
vapore acqueo, pur non essendo un inquinante nel senso tradizionale del termine, agisce da
amplificatore naturale del riscaldamento globale. La sua presenza nell’atmosfera trattiene il calore irradiato dalla superficie terrestre, contribuendo al cosiddetto “
feedback positivo del vapore acqueo”: maggiore è il riscaldamento, più acqua evapora, intensificando ulteriormente l’effetto serra. Nel caso delle eruzioni sottomarine, l’iniezione diretta di
vapore nella stratosfera rappresenta una modalità rara ma potentemente incisiva. A differenza del vapore prodotto naturalmente per evaporazione, quello emesso da un vulcano ha origine diretta dal mantello terrestre, e può
rimanere intrappolato nella stratosfera per anni, influenzando i modelli climatici globali.
Clima e vulcani: un equilibrio in evoluzione Per decenni la vulcanologia ha sostenuto che le eruzioni abbiano prevalentemente un
effetto raffreddante sul clima globale. L’esempio classico è l’eruzione del
Monte Pinatubo nelle Filippine nel 1991, che causò un abbassamento della temperatura globale media di circa
0,5 °C nei due anni successivi. Questo effetto fu dovuto principalmente all’emissione di
anidride solforosa, che formò aerosol solfatici in grado di riflettere parte della luce solare. Le eruzioni sottomarine, invece,
interrompono questa narrativa, proponendo un caso opposto. In particolare, se l’eruzione è abbastanza potente da spingere il vapore oltre la troposfera fino alla stratosfera, la sua capacità di trattenere il calore può risultare superiore all’effetto di raffreddamento causato dagli aerosol. Secondo
uno studio pubblicato su Nature Climate Change, gli effetti di un singolo evento sottomarino eccezionale come Hunga Tonga possono durare
fino a un decennio, seppure con impatti distribuiti in modo non uniforme. Alcune aree potrebbero vivere un riscaldamento più accentuato, mentre altre potrebbero sperimentare variazioni minori. Ciò
complica ulteriormente la modellazione climatica, già di per sé una delle sfide scientifiche più complesse della nostra epoca.
L’oceano come serbatoio di energia e gas serra Un altro aspetto importante da considerare è il ruolo dell’oceano nel
trasferimento dell’energia termica prodotta dalle eruzioni vulcaniche sottomarine. Il calore generato può influenzare localmente la
circolazione delle correnti oceaniche, modificare la
temperatura delle acque superficiali e contribuire alla
degassificazione di metano e anidride carbonica intrappolati nei sedimenti marini. In aree particolarmente attive come il
Pacifico Sud-occidentale, l’eruzione di un vulcano sottomarino può rilasciare
grandi quantità di gas serra disciolti, che attraverso la risalita delle acque profonde raggiungono l’atmosfera. Questo meccanismo, ancora poco studiato, potrebbe rappresentare una
sorgente secondaria ma non trascurabile di CO₂ antropogenica non contabilizzata nei bilanci climatici ufficiali.
L’imprevedibilità degli effetti a lungo termine Una delle maggiori difficoltà nel valutare l’impatto delle eruzioni sottomarine sul clima globale è l’
imprevedibilità degli eventi. Non solo è difficile monitorare in tempo reale le esplosioni vulcaniche negli abissi oceanici, ma anche stimarne l’esatta composizione dei gas emessi e la loro distribuzione verticale nell’atmosfera richiede
strumentazioni avanzate e campagne di ricerca molto costose. L’uso combinato di
droni subacquei, satelliti ad alta risoluzione e boe oceaniche sta migliorando la capacità di rilevamento, ma siamo ancora lontani da una mappa dettagliata delle emissioni vulcaniche sottomarine a livello globale. La carenza di dati sistematici rende
difficile calibrare i modelli climatici e attribuire con precisione la quota di riscaldamento globale dovuta a questi eventi naturali.
Scenari futuri e considerazioni geopolitiche Le implicazioni geopolitiche ed economiche non sono da sottovalutare. In un contesto in cui le nazioni sono chiamate a ridurre le proprie emissioni di gas serra secondo gli obiettivi dell’
Accordo di Parigi, la presenza di
fattori naturali di riscaldamento non antropogenici solleva interrogativi complessi su responsabilità e priorità. Se un’eruzione sottomarina può aumentare le temperature globali per un decennio, quanto deve essere tenuto in conto nelle politiche climatiche? Inoltre,
molti vulcani sottomarini si trovano in prossimità di territori insulari o zone economiche esclusive. Questo potrebbe, in futuro, aprire un nuovo fronte di dibattito internazionale riguardante il monitoraggio, la prevenzione e perfino la possibilità di mitigazione artificiale di questi eventi, qualora i progressi tecnologici lo consentissero.
Le prospettive della ricerca scientifica Il crescente interesse verso le eruzioni sottomarine ha portato a una
fioritura di studi interdisciplinari che uniscono geologia, oceanografia, climatologia e chimica atmosferica. Tra gli istituti all’avanguardia figurano il
NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), la
NASA, l’
IPCC e diversi centri di ricerca europei come l’
Ifremer in Francia o l’
INGV in Italia. Le ricerche più recenti indicano che per comprendere a fondo il ruolo dei vulcani sottomarini nel sistema climatico terrestre, sarà necessario creare
reti di osservazione globale più dense, estendere le simulazioni climatiche ai
fenomeni episodici e raffinare le metodologie di rilevamento dei gas serra provenienti da fonti naturali. La
comprensione approfondita di questi eventi non è solo una questione accademica: si tratta di una
necessità urgente per poter affrontare con maggiore consapevolezza le sfide climatiche del XXI secolo, tenendo conto
di tutte le variabili in gioco, anche quelle finora rimaste sommerse, nel vero senso della parola.
La minaccia meteo dei vulcani sottomarini