Sicurezza nazionale o pregiudizi di Stato? Perché l'Italia sta rinnegando sé stessa?
lentepubblica.it Storia della “nota” che giustifica l’urgenza del DL 36/2025 con un presunto “rischio per la sicurezza nazionale”. In un’Italia ancora sospesa tra il lutto per la scomparsa di Papa Francesco, la commozione globale per i funerali appena celebrati e le ipotesi di successione che si fanno largo in vista del Conclave, Natitaliani torna ad affrontare […] The post Sicurezza nazionale o pregiudizi di Stato? Perché l'Italia sta rinnegando sé stessa? appeared first on lentepubblica.it.

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Storia della “nota” che giustifica l’urgenza del DL 36/2025 con un presunto “rischio per la sicurezza nazionale”.
In un’Italia ancora sospesa tra il lutto per la scomparsa di Papa Francesco, la commozione globale per i funerali appena celebrati e le ipotesi di successione che si fanno largo in vista del Conclave, Natitaliani torna ad affrontare le questioni di legittimità del DL 36/2025, cercando di capire le premesse che hanno condotto a tale provvedimento. Un elemento chiave è rappresentato dalla nota firmata dal Capo dell’Ufficio Legislativo, che solleva interrogativi e perplessità non di poco conto. Le domande aperte da questa nota superano il suo valore specifico, lasciando spazio a considerazioni decisamente poco esaltanti.
La “nota”
Chi tiene oggi in mano la penna per riscrivere la storia d’Italia? Non uno statista visionario, né legislatori ispirati o riformatori delle istituzioni, e nemmeno un premio Nobel. La penna, pare sia nelle mani di un solerte funzionario “plenipotenziario” che, con una nota del 28 marzo 2025, condensa in poche righe l’essenza del paradosso burocratico italiano: un sistema che non risolve problemi, ma li reinventa, trasformandoli in potenziali minacce alla sicurezza della Repubblica.
La nota, indirizzata al Capo del Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi, è diventata il fulcro — se così si può dire — dei motivi di urgenza del Decreto-Legge 36/2025, firmato dal ministro Tajani. Un decreto che introduce una stretta drastica sul riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, limitandola ai soli nipoti di cittadini italiani ed escludendo gli altri discendenti. Il tutto giustificato da un presunto “rischio per la sicurezza nazionale”.
Nel documento si sostiene che l’aumento delle domande di cittadinanza da parte dei discendenti di italiani nati all’estero rappresenterebbe un “fattore di rischio serio e attuale”. Non un tema amministrativo, non una questione di risorse o organizzazione, ma un vero e proprio pericolo per la Repubblica. E, poiché l’Italia fa parte dell’area Schengen, questa “minaccia” si proietterebbe addirittura su scala europea.
Una visione degna di un romanzo distopico, ma impressa nero su bianco su carta intestata della Repubblica Italiana.
Questa nota dovrebbe essere studiata ed approfondita non per il suo valore giuridico ma perché mette a nudo i pregiudizi e l’approssimazione che circolano in certi apparati statali.
Il problema non è solo l’assurdità della tesi, ma ciò che essa rivela: un modo di pensare profondamente radicato in alcune stanze del potere. L’idea che gli italo discendenti siano una massa indistinta, potenzialmente pericolosa, o comunque indesiderata da respingere più che da accogliere. Non persone con storie, legami, affetti, competenze, ma numeri, flussi, potenziali pericoli.
Questo è il vero paradosso: un’Italia che si chiude in se stessa, timorosa delle proprie radici
Il firmatario della nota non è che la punta di un iceberg chiamato establishment. È la voce di chi ha smesso di guardare la realtà per rifugiarsi nei propri pregiudizi. La sua nota è figlia di una cultura istituzionale che considera la cittadinanza non come un diritto, ma come una concessione da elargire con parsimonia, se non con sospetto. E che invece di affrontare la sfida di gestire con serietà ed efficienza un numero crescente di richieste — magari investendo in digitalizzazione, risorse umane, cooperazione consolare —preferisce agitare lo spettro del caos.
Ma il vero caos nasce proprio da qui: dalla mancanza di visione, dall’incapacità di riconoscere nel legame tra l’Italia e i suoi discendenti nel mondo una risorsa preziosa e potente. Milioni di persone che potrebbero essere incentivate a studiare la lingua, visitare il Paese d’origine, promuovere l’Italia all’estero, avviare nuove imprese, costruire ponti per rafforzare i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi della diaspora. Altro che minaccia: una delle più grandi opportunità del nostro tempo – finora colpevolmente trascurata – viene etichettata come pericolosa per l’Italia e l’Europa!
Il Decreto-Legge 36/2025, invece di valorizzare questa ricchezza, si fonda su una narrativa distorta e miope. Una narrativa che trasforma la paura in politica e il pregiudizio in norma.
Il rischio – questo sì, reale e imminente – è quello di recidere di netto il legame storico tra l’Italia e la sua diaspora. Qui non si tratta solo di difendere un diritto: si tratta di salvare l’identità stessa dell’Italia. Un Paese che storicamente è stato – e continua a essere – crocevia di migrazioni, e che proprio dalle contaminazioni culturali ha saputo generare grandi civiltà. Basti pensare a Federico II, passato alla storia come stupor mundi.
Ebbene, un Paese come l’Italia, per essere all’altezza della propria storia e guardare al futuro, non può permettersi di essere ostaggio del pregiudizio.
Ci auguriamo che il Parlamento non dia ascolto alle Cassandre chiuse nelle stanze del potere, ma apra finalmente gli occhi sulla direzione che sta prendendo questo modus operandi: un meccanismo che fabbrica spettri e minacce, senza mai affrontare davvero l’urgenza di rendere più efficiente lo Stato.
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