Sfida alla malattia: "È solo un elemento della mia anima"
Il romanzo di Silvia Ferretti “L’acqua è insegnata dalla sete“

"La vita non è la sceneggiatura scritta dal nostro codice genetico". Anche se il Dna ci mette della sua e fa di tutto per tracciare la rotta. Ma la vita è altro, la vita è come l’acqua, "insegnata dalla sete". Acqua e sete, opposti che convivono. Come la casa e il mondo. Il cuore e la mente. Essere amati ed essere abbandonati. Sono i nostri opposti che ci fanno unici. Silvia Ferretti ha 54 anni, lavora come insegnante nell’Istituto comprensivo Manzoni a Reggio Emilia. Mamma di 5 figli, moglie di Gianluca, e ancora mamma di altri bimbi in affido. "A quarant’anni – scrive – mi hanno diagnosticato una malattia progressiva e inarrestabile: il Parkinson. Ho deciso di ignorarla, ma col tempo si faceva sempre più invadente. Allora ho deciso di guardarla in faccia, anzi le ho dato la parola e le ho chiesto di raccontare la mia storia".
L’avrete capito. Silvia Ferretti ha scritto un libro magnifico, L’acqua è insegnata dalla sete (Aletti), che si legge d’un fiato perché lascia senza fiato, che vorreste chiudere dopo ogni riga per non affrontare il pensiero che la malattia può essere già dentro di noi, ma che poi non potete mollare, perché l’emozione è una rete, perché siete già corsi avanti, a leggere, capire, a scoprire voi stessi in ogni pagina. Avrete capito che non si può leggere la meravigliosa storia vera raccontata da Silvia Ferretti senza evitare paura, rabbia ma anche emozioni laceranti e seducenti. È uno specchio che riflette la vita del lettore e così, al lettore, tocca riflettere sulla propria vita. L’autrice racconta la scoperta della malattia, la sfida, la famiglia, i figli, lo studio, il lavoro, l’amicizia, la convivenza con i lati opposti della vita. La sofferenza non ha pudore. "Perché cammini così? Hai male a una gamba?". La malattia trasforma i nostri corpi pubblici. "Questa domanda mi fa male", confessa Silvia Ferretti nelle pagine del suo libro. Ma poi c’è la vita a farci camminare, quella vita che non ha ragione, non ha giudizio, non ha vergogna. Nelle pagine la narrazione dell’autrice – che è coraggio puro – è interrotta dal corsivo mellifluo e corrosivo della malattia. Sino al finale, che non è la fine. "Io non sono la mia malattia. Lei è solo un elemento come tanti altri nella geografia della mia anima". A pagina 159, il male si arrende: "La volevo distruggere, l’ho fatta fiorire".
Davide Nitrosi