Se rallenta l’export sono guai. Ecco cosa ci dice l’ultima nota Istat sull’economia italiana | L’analisi di Erico Verderi
Iniziamo dalle buone notizie: il mese di gennaio segna un indice di produzione industriale positivo (+3,2%) che va a compensare il dato negativo dello scorso dicembre. Prematuro considerarlo un’inversione di trend, è doveroso attendere conferme nei prossimi mesi. Non va però sottaciuto che per il ventiquattresimo mese consecutivo, su base tendenziale, i dati evidenziano una […] L'articolo Se rallenta l’export sono guai. Ecco cosa ci dice l’ultima nota Istat sull’economia italiana | L’analisi di Erico Verderi proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.

Iniziamo dalle buone notizie: il mese di gennaio segna un indice di produzione industriale positivo (+3,2%) che va a compensare il dato negativo dello scorso dicembre. Prematuro considerarlo un’inversione di trend, è doveroso attendere conferme nei prossimi mesi.
Non va però sottaciuto che per il ventiquattresimo mese consecutivo, su base tendenziale, i dati evidenziano una flessione. Rispetto a 12 mesi or sono, gennaio 2024, la produzione registra ancora un dato negativo (-0,6%).
I settori, non è certo una novità, che vanno a incidere negativamente sull’indice, sono principalmente due: industria automobilistica (-13,1%), abbigliamento/tessile (-12,3%). Al contrario continua la performance positiva della farmaceutica che sfiora un quasi +21%.
Altri elementi di positività vengono individuati in un’inflazione sotto controllo, siamo più virtuosi della media europea, così come si conferma un dato occupazionale in aumento.
Non va dimenticato che l’anno 2024 è stato caratterizzato da progressive difficoltà con un PIL a +0,7% rispetto al 2023, meglio di Francia e Germania, non della Spagna, comunque al di sotto di quelle che erano le attese.
L’ISTAT, anche a fronte di un recupero degli scambi internazionali di merci, ritiene che le prospettive restino negative e aggravate dalla possibile escalation delle tensioni commerciali e geopolitiche. Afferma che “l’applicazione dei dazi preannunciati dall’amministrazione statunitense nei confronti dell’Unione Europea potrebbe avere effetti rilevanti sul nostro paese”.
Ci porta a individuare la preoccupazione negli importanti volumi delle esportazioni, un pilastro della nostra economia. “Nel 2024 oltre il 48% del valore dell’export totale italiano si indirizza al di fuori dell’UE, con gli Stati Uniti ad assorbire oltre il 10% delle vendite totali all’estero e oltre un quinto di quelle di prodotti italiani destinati ai paesi extraeuropei”. Dopo la Germania siamo il Paese con un significativo e incrementato avanzo commerciale.
I principali prodotti che escono verso gli States sono: farmaceutici, macchinari, autoveicoli, anche se in drastico calo nell’ultimo anno (-29%), abbigliamento e agroalimentare, quest’ultimo nel 2024, secondo ISMEA, ha superato gli 8 miliardi.
Le ultime dichiarazioni degli esponenti dell’amministrazione statunitense relative ad eventuali dazi su vino e altri prodotti alimentari non consentono sonni tranquilli a produttori di prosecco, parmigiano e altre nostre eccellenze, dichiarazioni che hanno fatto scattare dall’altra parte dell’oceano una corsa all’acquisto per implementare le scorte a prezzi pre-dazio (fenomeno che ha e avrà una incidenza sull’aumento dei noli).
Le preoccupazioni dell’ISTAT sono confermate dall’OCSE nel suo ultimo report che oltre a prevedere una frenata della crescita globale dal 3,2% al 3,1% nel 2025 e al 3% nel 2026, rivede al ribasso la crescita del PIL in Italia, rispettivamente allo 0,7% nel 2025 e allo 0,9% nel 2026, tagliando le precedenti stime di dicembre scorso dello 0,2% e 0,3%.
Difficilmente potremo compensare a una diminuzione dell’export con maggiori consumi interni, che grazie a lievi aumenti salariali e inflazione contenuta, manifestano un leggero risveglio, comunque in una misura non sufficiente da colmare l’ormai probabile gap.
Ancora una volta le imprese italiane sono e saranno chiamate a definire una strategia alternativa, che per molti significherà individuare nuovi clienti in altri mercati, per alcuni aprire filiali commerciali e produttive negli Stati Uniti e rivisitare i listini a scapito del margine.
Si auspica che il tutto non costringa a posticipare o eliminare i già programmati investimenti in tecnologia, digitalizzazione e capitale umano; non ce lo possiamo permettere, anzi la competitività va sempre più perseguita oltre a essere aiutata e incentivata dallo Stato e dall’Europa.
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