Scienziati inseguono un satellite in caduta per studiare l’inquinamento spaziale

Un inseguimento aereo tra le nubi del Pacifico per analizzare i resti infuocati del satellite Salsa Cluster All’inizio di Settembre 2024, un gruppo di ricercatori europei si è imbarcato in una missione senza precedenti decollando dall’Isola di Pasqua. L’obiettivo era osservare da vicino la disintegrazione atmosferica del satellite Salsa, uno dei quattro strumenti identici della […] Scienziati inseguono un satellite in caduta per studiare l’inquinamento spaziale

Mag 7, 2025 - 05:05
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Scienziati inseguono un satellite in caduta per studiare l’inquinamento spaziale
Un inseguimento aereo tra le nubi del Pacifico per analizzare i resti infuocati del satellite Salsa Cluster All’inizio di Settembre 2024, un gruppo di ricercatori europei si è imbarcato in una missione senza precedenti decollando dall’Isola di Pasqua. L’obiettivo era osservare da vicino la disintegrazione atmosferica del satellite Salsa, uno dei quattro strumenti identici della missione Cluster dell’ESA, lanciata nel 2000 per monitorare le interazioni tra il vento solare e il campo magnetico terrestre. L’esperimento ha rappresentato un’opportunità unica per acquisire dati diretti su un fenomeno estremamente difficile da studiare: la combustione dei satelliti durante il rientro. L’aereo, un jet aziendale attrezzato con 26 telecamere multispettrali, ha inseguito il satellite mentre precipitava sopra il Pacifico a una velocità supersonica, registrando la frammentazione per circa 25 secondi. Un bagliore breve ma carico di informazioni Il satellite è apparso nel cielo come un punto biancastro a mezzogiorno dell’8 Settembre 2024, rendendo le riprese complicate a causa della forte luminosità. Tuttavia, le osservazioni hanno fornito un primo sguardo ravvicinato sui composti chimici rilasciati. Attraverso l’uso di filtri cromatici, gli scienziati hanno rilevato la presenza di litio, potassio e alluminio, elementi che si liberano durante la combustione del satellite. La disintegrazione è cominciata a circa 80 chilometri di altitudine, e la traccia dei frammenti si è dissolta attorno ai 40 chilometri. La quantità di radiazione luminosa prodotta è risultata inferiore al previsto, suggerendo che i frammenti si muovessero a velocità ridotte e con minore energia. L’inquinamento invisibile dello spazio che scende sulla Terra Uno dei punti più delicati dell’indagine riguarda l’impatto atmosferico della combustione dell’alluminio, che costituisce la struttura portante della maggior parte dei satelliti. Questo processo produce ossido di alluminio (allumina), un aerosol noto per contribuire alla distruzione dell’ozono e all’alterazione del bilancio radiativo terrestre. Il pericolo? Che queste micro-particelle si accumulino negli strati alti dell’atmosfera, modificando nel tempo l’equilibrio climatico globale. Stefan Löhle, dell’Università di Stoccarda, ha sottolineato come oggi la scienza non sappia ancora quantificare la proporzione di metallo vaporizzato in aerosol rispetto a quello che ricade sulla Terra sotto forma di frammenti solidi. Queste gocce di alluminio fuso, quando non vaporizzate, si raffreddano e precipitano in forma di nano-particelle. Un allarme crescente nell’era delle megacostellazioni satellitari L’interesse per queste ricerche è cresciuto in parallelo con l’aumento dei lanci spaziali. Ogni giorno, secondo l’ESA, cadono sulla Terra in media tre satelliti. Molti provengono dalla costellazione Starlink di SpaceX, i cui modelli più recenti superano gli 800 chilogrammi di massa, con i futuri “V2” che arriveranno fino a 1.250 chilogrammi. Nonostante SpaceX affermi che i satelliti siano progettati per bruciare completamente, esistono già riconoscimenti ufficiali circa la possibilità che frammenti residui raggiungano il suolo. I serbatoi in titanio del satellite Salsa, ad esempio, potrebbero aver resistito al calore del rientro e toccato l’oceano, sollevando interrogativi sulla sicurezza futura. L’importanza delle osservazioni in situ per migliorare i modelli predittivi Solo cinque rientri sono stati osservati in tempo reale da velivoli finora, e quello del Salsa è uno dei pochi che ha permesso l’analisi spettroscopica del materiale incenerito. Le altitudini estreme del rientro — troppo alte per i palloni aerostatici, troppo basse per i satelliti — rendono questo tipo di inseguimento aereo insostituibile ma anche economicamente oneroso. Jiří Šilha, di Astros Solutions, ha spiegato che i dati raccolti ora sono confrontati con modelli computazionali di frammentazione, per cercare di riprodurre le diverse fasi del disfacimento strutturale e quantificare la massa perduta. Una volta ottimizzati questi modelli, sarà possibile prevedere con maggiore precisione l’effetto dei metalli fusi sulla composizione atmosferica. Prossime tappe: Samba, Rumba e Tango Il progetto non finisce qui. I restanti satelliti del quartetto ClusterRumba, Tango e Samba — sono attesi al rientro rispettivamente nel 2025 e nel 2026. Anche questi rientri, purtroppo, avverranno durante il giorno, complicando le misurazioni spettroscopiche più dettagliate. Eppure, ogni osservazione è un passo fondamentale per capire l’impatto a lungo termine dell’inquinamento spaziale sull’ambiente terrestre. Fonti:
  • ESA – European Space Agency
  • DLR – German Aerospace Center
  • Nature.com – Atmospheric effects of satellite re-entry
  • scienze.com

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