Renato Brunetta, presidente CNEL: “Siamo di fronte alla terza crisi globale di questo millennio”
Si è svolta oggi l’audizione del presidente del CNEL Renato Brunetta presso le Commissioni bilancio congiunte della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, concernente l’esame del Documento di finanza pubblica 2025. SIAMO DI FRONTE ALLA TERZA CRISI GLOBALE DI QUESTO MILLENNIO La prima è stata quella dei subprime, con una risposta inadeguata dell’Europa, […] L'articolo Renato Brunetta, presidente CNEL: “Siamo di fronte alla terza crisi globale di questo millennio” proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.

Si è svolta oggi l’audizione del presidente del CNEL Renato Brunetta presso le Commissioni bilancio congiunte della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, concernente l’esame del Documento di finanza pubblica 2025.
SIAMO DI FRONTE ALLA TERZA CRISI GLOBALE DI QUESTO MILLENNIO
La prima è stata quella dei subprime, con una risposta inadeguata dell’Europa, fatta “di scelte di sangue, sudore e lacrime, volute dalla Germania di Angela Merkel”.
La seconda, la pandemia da Covid-19, ha rappresentato invece un punto di svolta positivo: un momento “Hamiltoniano”, con la scelta coraggiosa del debito comune europeo, all’altezza del “sogno europeo”.
La crisi attuale è ancora più insidiosa. Non solo si innesta sulla coda lunga della crisi pandemica, che continua a produrre effetti economici e sociali profondi, ma si intreccia con nuove fratture geopolitiche: l’aggressione russa all’Ucraina, la crisi energetica, l’impennata dell’inflazione, le grandi transizioni in atto.
Ci troviamo di fronte a una crisi i cui effetti – minacciati, sospesi, ribaditi, già in parte visibili – non sono ancora quantificabili. Una crisi che potremmo definire subdola e asimmetrica, che si somma al precedente senza soluzione di continuità. È una fase distopica, dominata da incertezza, volatilità, imprevedibilità. Un tempo che sfida le categorie tradizionali della politica e dell’economia.
Una cosa è certa: nulla sarà come prima!
RISPOSTA EUROPEA IN TERMINI DI MAGGIORE INTEGRAZIONE
La crisi in atto esige una risposta dell’Unione Europea rapida, efficace, lungimirante e in termini di maggiore integrazione.
Ricordiamo quel che disse Jean Monnet: “L’Europa si forgerà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per affrontarle”.
Un corollario a queste parole è che le risposte sono venute spesso dall’Italia. È così anche oggi, con i rapporti di Mario Draghi e di Enrico Letta e, auspicabilmente, con la missione del nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di oggi da Trump in rappresentanza dell’Unione Europea.
Sappiamo quel che c’è da fare, per sburocratizzare, semplificare, infrastrutturare. Per costruire un’Europa forte. E la difesa comune può, deve essere la pietra angolare su cui costruire l’Unione politica.
I DAZI FANNO MALE: “È COME SPUTARE IN ARIA”
La guerra dei dazi scatenata dall’Amministrazione Trump è la pagina di un capitolo più vasto e denso nella storia dei rapporti di forza tra le grandi potenze economiche, finanziarie e militari del mondo.
Con barriere doganali ai massimi dagli anni ’30.
I dazi fanno male. Mettere un dazio è come sputare in aria. I dazi e contro-dazi sono un gioco a somma negativa.
DAZI ARRIVANO DOPO MINACCIATO DISIMPEGNO USA DALLA DIFESA DELL’EUROPA E DALLA NATO
Mettere i dazi è una sorta di neomercantilismo sterile, fondato sull’illusione che un Paese diventa più ricco se esporta molto ed importa poco. Una teoria contraddetta da due o tre secoli di storia a favore del libero scambio.
Ma la guerra dei dazi viene dopo il minacciato disimpegno degli USA dalla difesa dell’Europa e dalla NATO. È solo l’ultima tappa di una storia più ampia.
Il livello delle barriere doganali USA è ora ai massimi, quando lo Smoot-Hawley Act avviò l’era del protezionismo, che aggravò la depressione.
Quando la libertà degli scambi si riduce in tale misura, in gioco non c’è solo il benessere economico e sociale, ma la stessa pace mondiale.
SGANCIAMENTO USA DA FILIERE PRODUTTIVE CINESI ORMAI DA OLTRE QUINDICI ANNI
Il nemico più temibile per gli Stati Uniti è a Oriente: la Cina è già tecnologicamente, economicamente e forse militarmente alla pari degli USA.
E affianco alla Cina c’è un’altra potenza emergente: l’India.
Gli Stati Uniti stanno perseguendo lo sganciamento dalle filiere produttive cinesi ormai da oltre quindici anni, da quando hanno compreso l’importanza del settore manifatturiero non solo per la crescita economica ma anche in chiave strategica, tecnologica e militare.
La perdita di competenze e di fabbriche ha notevolmente indebolito la struttura produttiva statunitense in campo metalmeccanico, digitale, farmaceutico.
Per riconquistare capacità produttiva hanno adottato varie strategie: barriere doganali, divieti di acquisizioni, massicce politiche industriali.
I dazi di Trump sono l’ultima misura della serie.
Le conseguenze economiche dell’innalzamento delle tariffe sono potenzialmente molto gravi. La loro entità dipende molto dalla reazione degli operatori e degli attori politici. Il rischio è la recessione.
LA CRISI HA APERTO UN QUADRO DI INCERTEZZA ALL’ENNESIMA POTENZA
La crisi ha aperto un quadro di incertezza all’ennesima potenza. I livelli d’incertezza sono il doppio di quelli toccati nel 2020, quando nessuno sapeva quanto sarebbe durata la pandemia e come sarebbe finita.
L’incertezza economica attuale è anche molto diversa da allora.
Mentre quella legata al Covid riguardava sostanzialmente la capacità di ripresa delle economie, l’incertezza attuale è il frutto di una disruption strutturale, come risultato di una combinazione di tre fattori chiave: ignoranza del futuro, volatilità e vulnerabilità.
Questi tre elementi si rafforzano a vicenda, rendendo il contesto economico attuale particolarmente instabile e complesso.
CON CADUTA FIDUCIA DI IMPRESE E FAMIGLIE RISCHIO RECESSIONE
L’incertezza non riguarda solo il lungo periodo, ma anche l’imprevedibilità delle mosse degli operatori nel periodo breve e brevissimo.
Il grado di incertezza è ampliato dai conflitti geopolitici, dai cambiamenti tecnologici e ambientali e pesa come un macigno sulle aspettative degli agenti economici, rendendo difficile per individui, imprese e governi agire e pianificare razionalmente.
Nel breve periodo dovremo quindi aspettarci una caduta della fiducia dei consumatori e dei produttori.
Più incertezza e meno fiducia delle imprese e delle famiglie determinano una riduzione della domanda di beni di investimento e di consumo. Con ricadute negative su produzione, occupazione e redditi.
In altre parole: recessione.
Il solo nominarla provoca timori giustificati per occupazione e benessere dei cittadini.
All’incertezza si aggiungono l’instabilità finanziaria, come mostrano gli andamenti delle Borse estremamente volatili. E la vulnerabilità di settori, territori e gruppi sociali.
IL MERITO DEL DFP È LA “CHIAREZZA”
La politica di bilancio, prima ancora di mobilitare risorse, dovrebbe offrire certezze: ai consumatori, alle imprese, all’intera filiera produttiva.
E naturalmente, ai mercati.
Ed è proprio questo uno dei punti di forza del DFP, che – segnando una chiara discontinuità – assume una posizione netta e non scontata in un contesto caratterizzato da forte volatilità e incertezza. Delinea una direzione da perseguire.
DFP: CRESCITA FLEBILE IN UN QUADRO DI SOLIDITÀ STRUTTURALE
I numeri del DFP vanno considerati come un utile punto di riferimento per capire lo stato di salute dell’economia italiana, fotografata un attimo prima che avvenisse il terremoto dei dazi statunitensi.
Il dato che emerge è di crescita flebile in un quadro di solidità strutturale.
La crescita flebile è nelle cifre che ormai tutti conoscono di aumento annuo del PIL da “zero virgola”.
Tre osservazioni in merito.
Correttamente il Governo ha deciso di non includere nello scenario la guerra dei dazi, per la semplice ragione che è ancora troppo avvolta dalla nebbia dell’indeterminatezza sul punto di caduta finale.
La seconda osservazione è che questa fragilità non è specifica dell’Italia. Non siamo, cioè, il fanalino di coda d’Europa. Perfino più debole è la crescita francese.
La terza considerazione è che, se fare previsioni economiche è sempre un’arte difficile e poco gratificante, oggi tale esercizio risulta ancora più complesso.
BENE OCCUPAZIONE, SALDI FINANZA PUBBLICA E POSIZIONE NEI CONTI CON L’ESTERO
Il quadro di solidità complessiva è comunque fornito da tre indicatori molto importanti: occupazione, saldi di finanza pubblica e posizione nei conti con l’estero.
Primo. Il numero di occupati continua a salire, sfidando la legge di gravità costituita dalla quasi stagnazione del PIL. A febbraio il numero di persone impiegate ha toccato un nuovo massimo storico.
Però l’aumento del tasso di disoccupazione dei giovani, in Italia come nel resto d’Europa, è un campanello d’allarme da prendere in seria considerazione, specie in presenza della rarefazione del numero di giovani per l’invecchiamento della popolazione.
Secondo. I saldi di finanza pubblica vanno meglio di quanto previsto solo cinque mesi fa. I progressi compiuti nel 2024 sono superiori a quello che si era immaginato sia per i saldi, sia per il debito, sia per la variabile introdotta nella nuova governance europea, la spesa netta. Quest’ultima nel 2024 è calata del 2,1%, anziché dell’1,9% programmato.
L’andamento dello spread e l’innalzamento del rating testimoniano questa solidità. Lo spread si sta comportando come quelli spagnolo e francese, quindi non c’è una anomalia italiana. Il miglioramento del rating era dovuto da tempo.
Terzo. I conti con l’estero continuano ad inanellare surplus e celebriamo i successi dell’export. La posizione netta sull’estero è ormai attiva per oltre il 15% del PIL; era passiva per quasi un quarto di PIL dodici anni fa.
Se essere in passivo può essere pericoloso per un Paese che non ha moneta di riserva, come l’Italia, essere in attivo crescente non può essere motivo di vanto, perché riflette la debolezza della domanda interna, oltre alla capacità delle imprese di conquistare mercati esteri.
In quest’ottica andrebbero giocati anche i rinnovi dei contratti aperti, sia nel settore privato che nel pubblico impiego. Un rinnovo cruciale per fornire quella spinta ai consumi che è diventata indispensabile ora che la forte crescita dell’export trova nei dazi un ostacolo altissimo.
Per innovare occorre anche sciogliere il groviglio normativo. Il DFP evidenzia la stagnazione della produttività totale dei fattori e la frenata del PIL potenziale.
E nelle 120 pagine destinate alle riforme e agli investimenti solo 14 righe sono dedicate alla semplificazione normativa, che è invece la chiave di volta per rivitalizzare l’iniziativa imprenditoriale e rilanciare l’innovazione.
UN NUOVO PATTO SOCIALE FINALIZZATO ALLA CRESCITA
È necessario un nuovo patto sociale finalizzato alla crescita economica, che veda coinvolto il Governo e tutte le parti sociali, in un quadro di responsabilità condivisa, come accaduto in altri momenti difficili del passato.
È necessario che tutti gli attori sociali e della rappresentanza siano partecipi della crescita e incoraggino la produttività del lavoro, individuino le strade per la ripresa industriale e dei servizi, incrementino la qualità dei rapporti di lavoro soprattutto sotto il profilo del livello retributivo, incentivino una maggiore occupazione delle donne e dei giovani, usino come volano le tecnologie più avanzate, rilancino il mercato interno e i consumi.
L'articolo Renato Brunetta, presidente CNEL: “Siamo di fronte alla terza crisi globale di questo millennio” proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.