Referendum sul lavoro: le ragioni del Sì
A dieci anni dall’introduzione del Jobs Act, è stato promosso un referendum abrogativo per ripristinare le tutele precedenti al D.lgs. 23/2015 (cosiddetto Jobs Act). Il referendum avrà come oggetto l’abrogazione […]

A dieci anni dall’introduzione del Jobs Act, è stato promosso un referendum abrogativo per ripristinare le tutele precedenti al D.lgs. 23/2015 (cosiddetto Jobs Act).
Il referendum avrà come oggetto l’abrogazione del contratto a tutele crescenti per quanto riguarda la disciplina dei licenziamenti illegittimi.
Il Jobs Act prevede la reintegrazione del lavoratore solo nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o di grave abuso da parte del datore di lavoro. In tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo, l’unico rimedio previsto è un’indennità economica, calcolata in base all’anzianità di servizio, nel contesto del contratto a tutele crescenti.
Così facendo, si restringe l’ambito di applicazione della tutela reintegratoria e si amplia quello della sanzione meramente indennitaria.
Questa disciplina è stata introdotta dal governo Renzi in attuazione di una delega complessa, con l’obiettivo dichiarato di riequilibrare le esigenze produttive delle imprese e la tutela del lavoratore. Tuttavia, nonostante l’intento, ha prodotto effetti negativi, tra cui un aumento della precarietà: per i nuovi assunti con contratto a tutele crescenti e la disapplicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il reintegro nel posto di lavoro risulta fortemente limitato.
Il D.lgs. 23/2015 si applica ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015. Per quelli assunti prima di tale data — nelle categorie di operai, impiegati, quadri e dirigenti (per i quali il Jobs Act già non trovava applicazione) — continua a valere la disciplina previgente, ovvero l’art. 18 della legge n. 300/1970.
L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori si applica alle imprese con più di quindici dipendenti nella stessa unità produttiva del lavoratore licenziato, o più generalmente a quelle con più di sessanta dipendenti complessivi. Questo articolo privilegia la tutela reintegratoria, relegando l’indennizzo a rimedio alternativo.
Con la legge Fornero (l. n. 92/2012), l’art. 18 è stato modificato, incidendo sulle tutele previste in caso di licenziamento illegittimo: l’indennità risarcitoria si applica solo nei casi ritenuti meno gravi (difetto di giusta causa o giustificato motivo, vizi formali o procedurali).
La coesistenza di due differenti regimi giuridici — Jobs Act e art. 18 (modificato dalla Fornero) — genera una disparità di trattamento tra lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015, violando il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
La Corte costituzionale si è espressa più volte in merito alla legittimità di alcune disposizioni del D.lgs. 23/2015. Con la sentenza n. 194/2018, ha dichiarato l’illegittimità di alcuni articoli (in particolare, artt. 4 e 3, primo comma), denunciando la violazione dell’art. 3 Cost., poiché la normativa quantifica il diritto al lavoro esclusivamente sulla base dell’anzianità, ignorando le specificità dei singoli casi.
Questo intervento ha evidenziato il progressivo indebolimento della tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo a partire dal 2015.
Da qui nasce l’iniziativa referendaria, che punta ad abrogare la disciplina sui licenziamenti illegittimi contenuta nel contratto a tutele crescenti.
In caso di vittoria del “sì”, si aprirebbero due possibili scenari:
- Riformare l’intera disciplina del diritto del lavoro;
- Estendere l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (modificato dalla legge Fornero) anche ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015.
Secondo Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, con la vittoria del “sì” il lavoro non sarebbe più trattato come merce, ma tornerebbe ad essere un diritto. Solo così si potrebbe superare l’incertezza giuridica e contrattuale che grava oggi sui lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti, in base al quale il diritto al lavoro viene monetizzato secondo l’anzianità: ma il lavoro può davvero essere quantificato?
Il lavoro andrebbe tutelato non solo come mezzo di sostentamento, ma come fondamento dell’identità individuale e collettiva, nonché come strumento di realizzazione personale e di contribuzione al bene comune.
La storia del lavoro è segnata da persistenti disuguaglianze: per questo, abrogare le disposizioni del D.lgs. 23/2015 rappresenterebbe un passo importante verso una maggiore tutela dei lavoratori, senza pregiudicare le esigenze organizzative delle imprese.
È una questione di equilibrio: permettere ai lavoratori di svolgere il proprio ruolo con serenità, liberi dal timore costante della precarietà.
Tuttavia, permangono alcune criticità, sollevate anche dai sostenitori del “no” al referendum:
- La precarietà non può essere risolta soltanto con un intervento normativo, poiché è influenzata da molteplici fattori economici e politici che attraversano la nostra società;
- Anche in presenza di una disciplina unitaria e rispettosa del principio di uguaglianza, serve una protezione concreta. Il lavoro è al centro della nostra Costituzione, ma spesso resta ai margini di una reale tutela.
L’abrogazione del contratto a tutele crescenti rappresenterebbe molto più di una semplice modifica legislativa: segnerebbe un ritorno a una concezione del lavoro coerente con i principi costituzionali di uguaglianza, dignità, partecipazione e tutela del lavoro come fondamento della personalità individuale e collettiva.
Restituire certezza ai lavoratori significa rafforzare il patto sociale su cui si fonda la Repubblica, ponendo il lavoro non come merce flessibile e sacrificabile, ma come elemento centrale della persona e della democrazia.
In un tempo segnato da precarietà e instabilità, riaffermare il diritto a una tutela più forte contro il licenziamento illegittimo è un passo essenziale per ricostruire fiducia, equità e giustizia nel mondo del lavoro.