Referendum 8-9 giugno: come cambia il contratto a tempo determinato
Una guida chiara al Referendum dell'8-9 giugno 2025, con focus sul quesito che propone di reintrodurre l'obbligo delle causali per i contratti a termine.

Il prossimo 8 e 9 giugno 2025, gli italiani sono chiamati a esprimersi sul referendum abrogativo che coinvolge importanti aspetti della legislazione del lavoro. Tra i cinque quesiti proposti, uno riguarda la modifica delle causali per l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, un tema che interessa moltissimi lavoratori e datori di lavoro.
Esaminiamo quindi in dettaglio la proposta di modifica delle regole sui contratti a termine, finalizzata a reintrodurre l’obbligo delle cosiddette “causali”, per comprendere di cosa si tratta, come si vota e cosa succederebbe con la vittoria del “Sì”.
Cos’è il contratto a tempo determinato?
Il contratti a tempo determinato prevede una durata limitata, ovvero una scadenza stabilita in anticipo. Questo tipo di contratto è utilizzato per far fronte a necessità temporanee o stagionali di un’azienda, ma anche in caso di progetti specifici con durata definita.
Con il Decreto Dignità del 2018, l’uso di questi contratti è stato vincolato alla presenza di una causale giustificativa, che deve essere documentata, se la durata supera i 12 mesi.
La normativa attuale e cosa si vuole abrogare
Il referendum proposto dalla Cgil riguarda proprio queste causali. Si tratta del terzo quesito referendario in materia di lavoro, il quale mira all’abrogazione di alcune specifiche disposizioni contenute nel decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, parte del pacchetto noto come Jobs Act. Questo decreto disciplina l’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato, la sua durata massima e le condizioni per proroghe e rinnovi. Le norme nel mirino del referendum sono gli articoli 19, commi 1, 1-bis e 4, e 21, comma 01.
Attualmente, la disciplina dei contratti a termine consente alle imprese una maggiore flessibilità. In particolare, è permessa la stipulazione di contratti a tempo determinato senza necessità di alcuna causale giustificativa, se la durata del rapporto di lavoro è inferiore o pari a 12 mesi. Si può arrivare fino a 24 mesi a condizione che ricorrano determinate circostanze, quali:
- la necessità di sostituzione di altri lavoratori;
- i casi previsti dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, territoriale o aziendale;
- esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti attraverso un accordo individuale, in assenza di previsioni nei contratti collettivi applicati in azienda. Quest’ultima possibilità è valida fino al 31 dicembre 2025.
Il quesito referendario, nella sua formulazione definitiva (modificata dall’Ufficio Centrale per il referendum per includere la proroga al 2025) propone, in sostanza, di reintrodurre l’obbligo di specificare la motivazione per ogni contratto a tempo determinato.
Cosa cambierebbe con la vittoria del “Sì”?
Un’eventuale vittoria del “Sì” determinerebbe una restrizione nell’uso dei contratti a termine, richiedendo l’uso di motivazioni più rigorose per l’apposizione del termine. Questo potrebbe limitare la flessibilità per le imprese, ma garantirebbe maggiori tutele per i lavoratori.
In pratica, se vincesse il “Sì”:
- verrebbe eliminata la possibilità di stipulare contratti a termine senza causale per durate fino a dodici mesi;
- verrebbe eliminata la possibilità, valida fino al 31 dicembre 2025, di utilizzare causali genericamente individuate dalle parti per esigenze tecniche, organizzative o produttive, in assenza di previsioni nei contratti collettivi.
Il contratto a tempo determinato sarebbe ammissibile, senza eccezioni legate alla durata del rapporto, solo nelle ipotesi previste dai contratti collettivi stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi o da specifiche norme di legge (come la sostituzione di altri lavoratori).
Rimarrebbero ferme le regole che impongono la forma scritta per l’apposizione del termine e della causale (laddove richiesta), così come le eccezioni per le attività stagionali. La normativa attuale prevede già che la mancanza della causale, laddove richiesta, comporti la trasformazione automatica del contratto in tempo indeterminato e questo principio resterebbe valido.
Se il referendum dovesse abrogare le attuali disposizioni, si verificherebbero i seguenti cambiamenti:
- maggiore rigidità per le imprese, che dovrebbero giustificare ogni contratto a termine con causali specifiche, riducendo la flessibilità nell’adattarsi a esigenze temporanee o imprevedibili;
- maggiore tutela per i lavoratori perchè l’obbligo di causale renderebbe più difficile l’abuso di contratti precari, offrendo maggiore stabilità occupazionale;
- possibile riduzione della precarietà perchè l’introduzione di causali specifiche potrebbe limitare l’uso eccessivo dei contratti a termine, favorendo contratti più stabili.
Se vince il “No”
Se il “No” dovesse vincere, la normativa attuale resterebbe in vigore, permettendo alle imprese di utilizzare i contratti a termine senza causale per periodi brevi e con una certa flessibilità nelle causali per periodi più lunghi. La Corte ha sottolineato che il quesito propone agli elettori un’alternativa netta:
- da un lato, ripristinare l’obbligo generalizzato di una causale stringente, limitando l’uso dei contratti a termine;
- dall’altro, mantenere la normativa attuale che, al contrario, ne facilita l’impiego.