Referendum 2025: guida al quesito abrogativo sul contratto a tutele crescenti
Refendum 8-9 giugno 2025, guida al quesito sull'abrogazione delle tutele crescenti per ripristinare l'Articolo 18, superando i limiti imposti dal Jobs Act.

L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti proposti tramite referendum abrogativo. Quattro di questi, tutti promossi dalla Cgil, riguardano il mondo del lavoro. Il pià importante è quello che propone una modifica alle regole sui licenziamenti nelle imprese di dimensioni maggiori, chiedendo l’abolizione del contratto a tutele crescenti.
Ma di cosa si tratta esattamente e quali sarebbero le conseguenze di un “Sì” al referendum? Vediamolo tutto in dettaglio.
Cos’è il contratto a tutele crescenti?
Il “contratto a tutele crescenti” è stato introdotto dal decreto legislativo n. 23 del 2015, che fa parte del Jobs Act. Questa normativa si applica ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato assunti a partire dal 7 marzo 2015. Il suo campo di applicazione riguarda le aziende con oltre 15 dipendenti.
La caratteristica principale di questo contratto è la disciplina delle sanzioni in caso di licenziamento illegittimo. A differenza del regime precedente, le tutele non dipendono principalmente dalla reintegrazione nel posto di lavoro, ma prevedono un’indennità economica.
L’obiettivo di tale normativa, come indicato dalla Corte Costituzionale, era quello di favorire l’ingresso nel mondo del lavoro di “nuovi assunti”, accentuandone la flessibilità in uscita con il riconoscimento di una tutela risarcitorio-monetaria predeterminata, e quindi alleggerendo le conseguenze di un licenziamento illegittimo. Ha introdotto una disciplina organica delle sanzioni per i licenziamenti illegittimi.
È importante notare che il decreto si applica ai lavoratori a tempo indeterminato assunti successivamente alla data del 7 marzo 2015, nonché ai lavoratori già alle dipendenze di un datore di lavoro che abbia superato dopo il 7 marzo 2015 il limite dimensionale di 15 dipendenti”. Questo ha creato un “duplice regime di tutele in virtù della data di assunzione del lavoratore.
Le regole attuali sui licenziamenti con tutele crescenti
Per i lavoratori a tempo indeterminato assunti dal 7 marzo 2015 in aziende sopra i 15 dipendenti, in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo riconosciuto come illegittimo, la norma prevede un’indennità risarcitoria il cui importo è legato all’anzianità di servizio.
Questa indennità è pari a due mensilità per ogni anno di servizio. L’importo non può essere inferiore a 6 mensilità e non può superare le 36 mensilità.
La reintegrazione nel posto di lavoro è prevista solo in casi molto limitati, come ad esempio l’insussistenza del fatto materiale contestato, accertata dal giudice, che rende il licenziamento nullo. Altre fattispecie che possono portare al reintegro sono il licenziamento discriminatorio o altri casi di nullità previsti dalla legge. In questi casi, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione e al pagamento di un’indennità risarcitoria, con un limite massimo fissato in dodici mensilità.
Per i licenziamenti illegittimi per vizi formali o procedurali, è prevista un’indennità pari a una mensilità per ogni anno di servizio, non inferiore a due e non superiore a 12 mensilità.
La disciplina del Jobs Act si differenzia da quella prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Inoltre, le nuove regole si applicano anche in caso di licenziamento collettivo, derogando in parte alle procedure previste.
Per i lavoratori che ricevono l’indennità (e non il reintegro), è previsto il diritto a un contratto di ricollocazione tramite i Centri per l’Impiego, con un voucher per l’assistenza nella ricerca di un nuovo impiego. L’agenzia di ricollocazione riceverà il pagamento solo se il lavoratore trova un nuovo impiego.
È importante anche citare, come contesto, che il Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS) ha richiamato l’Italia ritenendo che il Jobs Act (D.Lgs. 23/2015) violi l’articolo 24 della Carta Sociale Europea, che sancisce il diritto a una tutela effettiva contro il licenziamento illegittimo, in quanto esclude a priori la possibilità di reintegro e fissa tetti all’indennizzo. Tuttavia, la decisione del CEDS non è giuridicamente vincolante.
Il quesito referendario sul Jobs Act: cosa vuole abrogare?
Il quesito referendario, dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale, mira all‘abrogazione integrale del decreto legislativo n. 23/2015. Il testo del quesito, nella versione riformulata dall’Ufficio Centrale per il referendum per includere le successive modifiche legislative e le sentenze della Corte Costituzionale, chiede:
Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 […] recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?
La Corte Costituzionale ha giudicato il quesito chiaro, omogeneo e unitario. Ha rilevato che il suo obiettivo è l’abrogazione di un corpo organico di norme per arrivare a una disciplina unitaria in materia di sanzioni per licenziamenti illegittimi, eliminando la distinzione basata sulla data di assunzione (prima o dopo il 7 marzo 2015).
Cosa succede se vince il “Sì”?
Se il “Sì” dovesse vincere al referendum, il decreto legislativo n. 23/2015 verrebbe abrogato. L’effetto principale sarebbe il ritorno alla legislazione precedente per quanto riguarda la disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi. In particolare, nelle aziende con più di 15 dipendenti, si tornerebbe ad applicare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970).
Nello specifico, si tornerebbe alla versione dell’articolo 18 già modificata dalla Riforma del Lavoro Fornero (Legge n. 92/2012). In sintesi, la vittoria del “Sì” reintrodurrebbe la possibilità di reintegro nel posto di lavoro in una gamma più ampia di casi rispetto all’attuale disciplina delle tutele crescenti, oltre a un diverso calcolo dell’indennità per i licenziamenti illegittimi, basato sulle previsioni dell’articolo 18 modificato dalla legge Fornero.
Cosa prevede l’Articolo 18 Fornero
L’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970) è una normativa storica che disciplina le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori a tempo indeterminato nelle aziende sopra i 15 dipendenti. A fronte del fatto che il referendum propone di abrogare il Jobs Act con il contratto a tutele crescenti per tornare all’applicazione dell’Articolo 18, è importante notare che tale disciplina è stata profondamente modificata dalla Riforma del Lavoro Fornero (Legge n. 92/2012).
Questa ha sostituito la tutela reintegratoria “piena” (che prima era prevista in quasi tutti i casi di licenziamento illegittimo) con quattro diversi regimi di protezione:
- tutela reintegratoria piena in caso di nullità del licenziamento o se intimato in forma orale;
- tutela reintegratoria attenuata in specifici casi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo/oggettivo illegittimo, con regime di risarcimento meno favorevole;
- tutela obbligatoria (solo indennità) nelle ipotesi non coperte dalle tutele reintegratorie, qualora il giudice accerti che mancano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo;
- tutela obbligatoria ridotta (indennità parziale) in casi di licenziamento illegittimo per vizi procedurali o mancanza di motivazione scritta.
La modifica più significativa è stata l’eliminazione del reintegro per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia per motivi economici), prevedendo al suo posto una tutela meramente economica. La tutela reintegratoria è stata mantenuta solo in specifici casi, come il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (motivi disciplinari) in determinate ipotesi, nonché nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato oralmente.
Pertanto, il ritorno all’Articolo 18 in caso di vittoria referendaria comporterebbe l’applicazione di questa disciplina già modificata dalla legge Fornero, valida indistintamente per tutti i lavoratori a tempo indeterminato nelle aziende sopra soglia, superando l’attuale “doppio binario” Jobs Act/Articolo 18 basato sulla data di assunzione.
Gli altri quesiti del Referendum in tema di lavoro
I restanti tre quesiti, promossi dalla Cgil, mirano a modificare altre disposizioni introdotte sempre dal Jobs Act nel 2015.
- Indennità di licenziamento nelle piccole imprese: eliminazione del limite massimo di sei mensilità per l’indennità di licenziamento nelle aziende con meno di 15 dipendenti.
- Contratti a termine: abrogazione delle norme che regolano la durata massima e le condizioni per i rinnovi dei contratti a termine.
- Responsabilità solidale negli appalti: eliminazione della responsabilità solidale del committente per gli infortuni subiti dai lavoratori di imprese appaltatrici o subappaltatrici.
Per completezza ricordiamo che c’è anche un quesito che propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia necessario per richiedere la cittadinanza italiana per gli stranieri adulti non appartenenti all’Unione Europea.