Piazzetta Cuccia muove e cambia lo scacchiere
L’offerta su Banca Generali crea effetti a cascata sul consolidamento e sul Leone. Ecco quali Il risiko bancario italiano, a nove mesi dal via, è ormai una galassia sterminata, che ha vita propria e siespande per entropia. Una Second life dove ogni banchiere nostrano deve avere il suo profilo avatar, piuttosto aggressivo, perché per molti […] L'articolo Piazzetta Cuccia muove e cambia lo scacchiere proviene da Iusletter.

L’offerta su Banca Generali crea effetti a cascata sul consolidamento e sul Leone. Ecco quali
Il risiko bancario italiano, a nove mesi dal via, è ormai una galassia sterminata, che ha vita propria e siespande per entropia.
Una Second life dove ogni banchiere nostrano deve avere il suo profilo avatar, piuttosto aggressivo, perché per molti si tratta di sopravvivenza, per altri di non subire impreparati il futuro in arrivo. Non tra anni luce però, ma dal 2026, quando le sei acquisizioni in atto saranno concluse, affinando l’oligopolio bancario in Italia. Da sette giorni si va formando una nuova stella, per l’offerta da 6,4 miliardi di Mediobanca su Banca Generali, che allarga i fronti e aggiunge complessità, ridondanze e — quindi — incertezza sugli esiti finali del consolidamento. In ballo, come prede (alcune sono al contempo predatrici: a riprova di come il conflitto sia esiziale), ci sono società che capitalizzano 95 miliardi, oltreun decimo dell’indice Ftse Mib. A 44 miliardi si arriva con il valore di chi è sotto offerta: Anima Holding, la cui Ops aprì i giochi il 6 novembre ed è già passata di mano a 1,8 miliardi; la compratrice Banco Bpm (14,8 miliardi, sotto Ops da parte di Unicredit); Mediobanca (15 miliardi, scalata da Mps); Popolare di Sondrio (5 miliardi, Ops di Bper); illimity (0,3 miliardi offerti da Banca Ifis); più l’Ops da 6,3 miliardi su Banca Generali. Alla cifra vanno aggiunti i 50 miliardi di capitalizzazione di Generali, non sotto offerta ma dal 2021 scossa dai soci privati Caltagirone e Delfin, e da oggi virtualmente contendibile, perché la mossa dell’ad Alberto Nagel priverà Mediobanca del 13% con cui, fin dal 1956, Enrico Cuccia e i suoi eredi hanno sguinzagliato il Leone di Trieste dove ritenevano.
Se questa separazione — epocale — ha chiare basi industriali e strategiche per Mediobanca, crea però unduplice, nuovo ordine di effetti sullo scacchiere. Sia per Mps, che ha ormai in Caltagirone e Delfin gli stessi azionisti di riferimento di Mediobanca (e di Generali), e da febbraio con l’Ops su Piazzetta Cuccia persegue la crescita nelle gestioni patrimoniali e di banca d’investimento. Sia per Generali, che se l’Ops di Nagel riuscisse, si troverebbe fino a un 10% di azioni proprie in mano, e la facoltà di decidere a chi darle, magari ospitando nel capitale un nuovo socio perno. Qui le voci su Unicredit sono crescenti, dopo che Orcel ha votato per la discontinuità nell’assemblea del 24 a Trieste creando un nuovo asse con Caltagirone e Delfin. Ma sarà da vedere se Intesa Sanpaolo accetterebbe uno scenario del genere.
Un incastro che si somma a quelli già formati, e rende più incerti e divisi perfino gli analisti di settore. Secondo Bank of America l’ultima mossa «aggiunge incertezza e uno strato di complessità al progetto Mps», date le partecipazioni incrociate nei vari istituti. Barclays non esclude nemmeno che l’Ops su Banca Generali «possa bloccare l’operazione di Mps, o comunque renderla più costosa », dato che Mediobanca salirà in Borsa, e il tutto «rafforza la strategia difensiva di Nagel contro l’offerta Mps», scrive Imi. Di altro parere Deutsche Bank, per cui Mps può comunque completare l’Ops su Mediobanca — che parte a fine giugno — con un «consumo di capitale in più di soli 30 punti base», tale da portare il Cet1 dei senesi «dal 14,5% al 16% a seconda di quanto salirà in Mediobanca »; e d’altro canto «triplicando l’apporto di utili da gestioni e risparmio, pari al 27% del totale» nell’eventuale polo Mps-Mediobanca-Banca Generali.
Come sia avvampato un tale falò lo si deve ad alcuni fattori congiunturali, uniti al ritardo accumulato da due banche storiche come Unicredit e Mps. L’andamento dei tassi d’interesse, alzati bruscamente a metà 2022 dalla Bce per spegnere l’inflazione, ha anche gonfiato i margini sugli impieghi bancari, rafforzando tutto il settore in Borsa (dal marzo 2020 l’indice Euro Stoxx banche è triplicato, mettendo in mano a tanti banchieri europei “carta” da scambiare nelle fusioni). E la successiva riduzione dei tassi europei, dal giugno 2024, inizia a mordere i margini d’interesse bancari (i dati del primo trimestre 2025 sanciranno la prima frenata) e spinge gli istituti a puntare sulle “fabbriche prodotto”, correlate alla gestione del risparmio: che difatti è il primo obiettivo della maggioranza delle scalate in corso.
C’è poi il fatto, collegato, che molti Stati abbiano profittato dei rialzi per mettere in vendita i pacchetti assunti in una dozzina di salvataggi tra il 2008 e il 2017, costati quasi 1.000 miliardi ai contribuenti europei. Un caso notevole è Mps, passata in un tempo fin troppo breve dai panni di zitella da maritare a reginetta del ballo.
Un altro contributo al vortice, che fa di Piazza Affari un unicum mondiale oggi, ha un ruolo pure la “rincorsa” di Unicredit, lanciata dal suo leader Andrea Orcel. La banca più attiva nelle acquisizioni fino al 2008, anche perdendo il controllo dei rischi per diventare “paneuropea”, pagò pegno il decennio successivo, traricapitalizzazioni e dismissioni dolorose per i soci. Quando nel 2021 arrivò l’ad Andrea Orcel, Unicredit faceva zero utili in Italia, dati i tassi ai minimi e l’essersi privata delle commissioni derivanti dalla gestione di risparmi o polizze. Due ambiti frattanto potenziati dalla rivale Intesa Sanpaolo, fautrice di tre acquisizioni tra 2017 e 2020. Proprio la rincorsa al rivale Carlo Messina è tra le molle delle scalate di Orcel, in Germania (Commerzbank) e più in Italia, dove il divario tra i due leader di mercato nelle ricche regioni del Nord è ancora troppo grande.
Per questo Banco Bpm, in teoria, resta una priorità strategica per Unicredit. Ma qui entra in gioco il governo, azionista di Mps e che con il dispositivo golden power ha posto vincoli per cinque anni e dai costi miliardari a Orcel sul dossier. E fonti al lavoro sulla scalata ritengono che solo mitigando in fretta quei vincoli l’Ops potrà riuscire in Borsa, dove dura fino al 23 giugno. C’è, però, un altro nodo da appianare: quello con Crédit Agricole, salito al 19% in Banco Bpm con cui mantiene due accordi commerciali. Giorni fa l’ad uscente Philippe Brassac ha dato un segnale di apertura, dicendo che «nelle prossime settimane sarà presa una decisione», e che «stiamo chiaramente lavorando all’accordo distributivo dei fondi Amundi con Unicredit, auspichiamo che sia rinnovato». L’accordo, scadenza 2027 e tra le prime fonti di ricavo del gruppo francese in Italia, sarà un viatico decisivo per decidere se l’Agricole consegnerà le sue azioni Banco Bpm all’Ops.Il recente rinvio dal 6 all’11 maggio del cda Unicredit per l’esame della prima trimestrale è un altro sintomo che il dialogo con Palazzo Chigi sui “poteri speciali” è in corso: e Orcel ambirebbe a dare indicazioni chiare ai suoi azionisti sul dossier già il 12 maggio, nel presentare i conti. Se i due negoziati riusciranno, Orcel proverà a far tornare i multipli e annettere Banco Bpm malgrado tutto. Diversamente, cambierà obiettivo: ma nessuno tra chi lo conosce pensa che abbandonerà il gioco (gioco?) del risiko.
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