Parità di genere, 7mila aziende al traguardo della certificazione

Il bilancio. Sono 6.846 gli attestati rilasciati nei primi tre anni di applicazione dello strumento previsto dal Pnrr per promuovere nelle organizzazioni prassi orientate all’uguaglianza fra i sessi Sono 7mila le aziende che hanno già ottenuto la certificazione della parità di genere, l’attestato previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e introdotto nel nostro […] L'articolo Parità di genere, 7mila aziende al traguardo della certificazione proviene da Iusletter.

Apr 28, 2025 - 11:28
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Parità di genere, 7mila aziende al traguardo della certificazione

Il bilancio. Sono 6.846 gli attestati rilasciati nei primi tre anni di applicazione dello strumento previsto dal Pnrr per promuovere nelle organizzazioni prassi orientate all’uguaglianza fra i sessi

Sono 7mila le aziende che hanno già ottenuto la certificazione della parità di genere, l’attestato previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 162/2021, per dare conto delle politiche e delle misure adottate dai datori di lavoro con lo scopo di ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.

Il tutto in un contesto che vede il tasso di occupazione femminile in Italia al 54,2%, in crescita negli ultimi anni, ma con un divario rispetto a quello maschile che supera ancora i 17 punti percentuali.

La certificazione della parità di genere porta in dote alle aziende che la ottengono anche uno sgravio contributivo, che ammonta all’1% dei contributi dovuti dal datore di lavoro, fino a 50mila euro annui per azienda (la domanda, per le imprese che si sono certificate entro il 2024, va presentata entro mercoledì 30 aprile). È previsto un limite di spesa complessivo di 50 milioni di euro all’anno.

L’obiettivo per l’Italia fissato in sede di Consiglio Ecofin (il consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze degli Stati Ue) nel 2021 era quello dell’ottenimento della certificazione della parità di genere da parte di 800 imprese (di cui almeno 450 Pmi e microimprese) entro il secondo trimestre del 2026.

«L’ottimo andamento della certificazione – commenta la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella – è una doppia buona notizia. Da un lato dimostra che si sta lavorando nella giusta direzione, e i dati sul lavoro femminile lo confermano. Dall’altro, testimonia che c’è una sensibilità crescente da parte del mondo del lavoro e dell’impresa nei confronti delle pari opportunità».

L’inversione di rotta annunciata dall’amministrazione Trump sulle politiche “Dei” (su diversità, equità e inclusione), che sono state definite discriminatorie, non sembra poter influenzare il cammino intrapreso dall’Europa su questo fronte.

«L’uguaglianza di genere è uno degli obiettivi dell’agenda Onu 2030», ricorda Claudia Baroncini, coordinatrice del gruppo di lavoro accreditamento di Conforma, associazione fra gli organismi di certificazione, ispezione, prova e taratura in Italia. «Le imprese con le quali abbiamo a che fare per la certificazione della parità di genere ritengono che migliorare la propria organizzazione sotto il profilo della parità sia un plus per l’azienda, e che aiuti a ridurre il turn over e a fidelizzare il personale. Ormai, c’è un cambiamento culturale che ha i suoi tempi ma che si sta consolidando».

Sulla lettera inviata dall’amministrazione Trump tramite le ambasciate Usa di Parigi e Madrid per chiedere alle società titolari di contratti con il Governo statunitense di produrre «la certificazione per la conformità alla legge federale antidiscriminazione», ovvero di documentare la non applicazione dei programmi “Dei”, Francesco Perrini, Associate Dean for Sustainability di Sda Bocconi School of Management, con responsabilità anche su diversità, equità e inclusione, spiega: «Questo è un altro dazio. A Trump – aggiunge – non importa della diversità, dell’inclusione, del climate change. Lui ha un unico obiettivo, vendere i prodotti americani, produrre prodotti americani e venderli agli americani negli Stati Uniti. E questo è un altro modo secondo lui per farlo, così pensa infatti di tenere le imprese europee fuori dai bandi americani».

Il corpus normativo sulla tutela dell’uguaglianza di genere e sull’inclusione di cui l’Europa si è dotata in questi anni è strutturato (si veda anche l’articolo a fianco). Secondo Perrini, dunque, l’orientamento dell’amministrazione Usa non avrà un impatto negativo sulle policy delle grandi aziende, «sia perché – continua – la direzione del resto del mondo è un’altra, sia perché queste società difficilmente rinunceranno ai mercati nei quali l’adeguamento alle norme sulla diversity è premiante, come hanno deciso gli azionisti di Apple nella recente assemblea». Che le aziende europee e quelle italiane non faranno passi indietro lo crede anche Alessia Ruzzeddu, referente per l’inclusione di Aidp, Associazione italiana per la direzione del personale: «Lo dimostrano – dice – i numeri delle aziende certificate, che hanno asciugato anche il plafond messo a disposizione per gli sgravi contributivi».

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