Nuova convergenza con Berlino. La terza via per contare in Europa

Dal Green Deal alla difesa comune: all’Italia ora serve una postura sobria e strategica

Mag 18, 2025 - 10:10
 0
Nuova convergenza con Berlino. La terza via per contare in Europa

Roma, 18 maggio 2025 – Tirana. Cinque leader attorno a un telefono, Zelensky al centro, Trump dall’altra parte della linea. Manca Giorgia Meloni. E non è un’assenza logistica: è una sottrazione simbolica. Perché l’Italia è presente alla riunione della Comunità politica europea, ma è fuori dalla cornice strategica che vorrebbe ridefinire gli equilibri dell’ancora lontana trattativa di pace tra Russia e Ucraina.

La premier ha tagliato corto: "Vorrei capire da chi mi accusa se dovremmo partecipare per fare una foto o per mandare dei soldati". È una difesa netta, che trasforma una questione di merito in una di metodo. In parte ha ragione, ma è altrettanto vero che nella politica internazionale i simboli sono sostanza.

Meloni ha deciso da tempo di fare un passo indietro dalla coalizione dei Volenterosi. Una scelta meditata, condivisa con la maggioranza, motivata anche da ragioni economiche – il bilancio della Difesa non consente ulteriori impegni – e politiche interne: un contingente militare italiano in Ucraina potrebbe lacerare il centrodestra. Soprattutto, potrebbe rompere l’asse con Salvini, e mettere in discussione l’equilibrio di governo alla vigilia della lunga campagna per le elezioni del 2027.

Ma c’è anche qualcosa di più radicale e ideologico a condizionare la posizione italiana, e cioè il rapporto speciale con Donald Trump. Un rapporto che oggi mostra, però, crepe evidenti, soprattutto sul caldissimo fronte ucraino. Lo storico americano Timothy Snyder, ieri sul Corriere della Sera, non ha usato mezzi termini: "Il processo di pace è una finzione, un trucco che Trump e Putin giocano per i media". Una simulazione negoziale che distrae l’Europa da ciò che davvero serve: sostenere Kiev, adesso e concretamente. Non per idealismo, ma per interesse strategico. E l’Italia, tentando di restare in bilico tra Bruxelles e Mar-a-Lago, rischia di rimanere fuori da entrambe.

C’è una nuova carta su cui, tuttavia, il nostro Paese potrebbe puntare per uscire dalle secche sempre più pericolose dell’ambiguità. È il rapporto che si sta costruendo tra Giorgia Meloni e Friedrich Merz. Si sono visti ieri, a Roma, si rivedranno in giugno a Berlino. Dietro i colloqui riservati tra la premier italiana e il nuovo cancelliere tedesco – iniziati ben prima della vittoria della Cdu – si intravede una possibilità: riaprire per l’Italia le porte della conversazione strategica europea. Non per gentile concessione, ma per convergenza d’interessi. Merz punta a diventare il perno di una nuova architettura continentale: rilegge il Partito Popolare Europeo, rilancia la “Weimar Plus” con Francia, Polonia e Regno Unito, lavora per ricompattare l’asse euroatlantico. Ma, soprattutto, ha una genuina volontà di collaborare con Roma, come venerdì ha raccontato Lorenzo Castellani dalle pagine di Quotidiano Nazionale. Sull’immigrazione, sulla difesa, sull’industria la convergenza è concreta, e va ben oltre la retorica.

L’idea è fare dell’asse Roma-Berlino una delle chiavi per sbloccare gli stalli europei, dal Green Deal alla difesa comune. Anche la cautela di Meloni sui fondi Ue per il riarmo non è chiusura: è attesa strategica, condivisa da molti industriali italiani legati a doppio filo alla filiera tedesca.

Questo è il punto. L’Italia non può permettersi né l’isolamento, né l’ambiguità. Ma può provare a ricavarsi un terzo spazio. Non l’illusione del neutralismo, né la corsa all’ultima fotografia: una posizione costruita su una convergenza nuova e pragmatica con Berlino. Ecco perché Merz è oggi il vero snodo. Con lui, Meloni può ridefinire la postura internazionale dell’Italia: più sobria, meno mediatica, ma finalmente strategica. Non si tratta di scegliere tra una fotografia e una trincea. Ma di capire dove vogliamo stare, e con chi vogliamo decidere.