“Non esiste lo scrittore che si chiude nello studio con i pugnetti sulle tempie e partorisce l’opera. Conoscete la sindrome di Conan Doyle?”: Donato Carrisi dialoga con Jean Reno

“Donatello!”. Ai francesi si perdona sempre tutto. Perché poi se la prendono e si alza la spesa per il riarmo. Forse per questo quando al Salone del Libro di Torino 2025 Jean Reno chiama Donato Carrisi, per la dodicesima volta in mezz’ora, “Donatello” nessuno lo corregge, gli tira la giacchetta di pelle di cervo che […] L'articolo “Non esiste lo scrittore che si chiude nello studio con i pugnetti sulle tempie e partorisce l’opera. Conoscete la sindrome di Conan Doyle?”: Donato Carrisi dialoga con Jean Reno proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 17, 2025 - 16:18
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“Non esiste lo scrittore che si chiude nello studio con i pugnetti sulle tempie e partorisce l’opera. Conoscete la sindrome di Conan Doyle?”: Donato Carrisi dialoga con Jean Reno

Donatello!”. Ai francesi si perdona sempre tutto. Perché poi se la prendono e si alza la spesa per il riarmo. Forse per questo quando al Salone del Libro di Torino 2025 Jean Reno chiama Donato Carrisi, per la dodicesima volta in mezz’ora, “Donatello” nessuno lo corregge, gli tira la giacchetta di pelle di cervo che indossa (pensate se chiamassero lui Jean-Luc o Jean-Pierre) facendola passare in cavalleria.

L’incontro di prima mattina è dedicato alla fratellanza poetica tra La casa dei silenzi, l’ultimo libro dell’autore pugliese e Emma, l’esordio dell’attore francese alla scrittura. Nella mezzoretta scandita dai Donatello si scoprirà che in comune c’è pochino, oltre all’interpretazione di Reno del primo film di Carrisi (La ragazza nella nebbia) e alla casa editrice (Longanesi) che porta sul palco due celebrità internazionali: un attore ai limiti produttivi del sistema solare (I visitatori, Leon, I fiumi di porpora, Il codice da Vinci, Mission Impossible); Carrisi l’autore italiano più venduto nel mondo dopo Eco e Collodi.

Peraltro il 52enne re del thriller annuncia, urbi et orbi, nel bel mezzo dell’incontro, che 48 ore fa ha consegnato l’ultimo libro all’editore. Scena di giubilo in sala. “Ora sto malissimo, ovviamente”, spiega. Ma se c’è qualcosa che Carrisi sa fare bene è proprio come ipnotizzare il pubblico, di lettori e non, con la sua franchezza. “Non esiste lo scrittore che si chiude nello studio con i pugnetti sulle tempie e partorisce l’opera non c’è. Chi dice scrivo dalle 7 alle 12 mente. Chi immagina lo scrittore seduto sulla poltrona di pelle, con la scrivania in radica, circondato da una splendida libreria, sappia che non è vero. La scrittura è sofferenza. I personaggi vanno cercati nella vita reale, c’è bisogno di uscire, sporcarsi le mani, ed è anche la parte bella. Lo scrittore è un esploratore”, sentenzia secco il nostro.

“Ora Pietro Gerber (lo psicologo che ipnotizza bambini protagonista del ciclo omonimo ndr) dove e come l’ho incontrato? Non lo so, non me lo ricordo. Non esiste la folgorazione. Il romanzo è una cosa che cresce dentro di te anche in maniera inconsapevole e te la trovi davanti. Sai già qual è il viaggio, ma non l’hai ancora fatto. Del resto volevo scrivere un libro sull’ipnosi, alla quale mi ero sottoposto per capire se fosse raccontabile, ma un ipnotista non mi interessava perché gli adulti non sono così interessanti. Quale mente mi piacerebbe esplorare? Quella di un serial killer sì, ma cos’è la cosa che più si avvicina ai serial killer? I bambini”. Più aulico Reno, che rotola candido tra Proust e Flaubert, per raccontare la sua Emma, una massaggiatrice in un centro di talassoterapia in Bretagna, provata dalla perdita della madre che viene assunta dal Sultanato dell’Oman per formare il personale di un centro benessere e lì verrà attratta dal figlio di un influente ministro omanita.

“Ho riletto Madame Bovary prima di scrivere il romanzo e attraverso la scrittura ho avuto modo di sognare assieme a Emma”, spiega Reno. “Io la vedo fisicamente sempre qui di fianco a me perché ho bisogno di un rapporto di vicinanza e incosciente tra me e lei. Con la mia protagonista ci deve essere un connubio, io non potrei mai ucciderla nella finzione”. “Io invece evito un legame forte con i miei protagonisti, altrimenti ti vieti la libertà di poterli uccidere”, rilancia Carrisi. “Esiste la sindrome di Conan Doyle. Lui scrisse il primo Sherlock Holmes e fu un grandissimo successo tanto che i fan mandavano lettere a lui per complimentarsi. Secondo romanzo, grande successo, tutti i fan cominciare a scrivere a Holmes direttamente, tanto che nel terzo romanzo lo uccise; poi fu costretto a furor di popolo di resuscitarlo per il quarto e da quel momento perse il controllo del personaggio tant’è che molti conoscono Sherlock Holmes ma molti meno il suo autore. Conan Doyle morì solo e depresso negli anni venti in Svizzera e nessuno andò al suo funerale, mentre Holmes è qui vivo e vegeto tra noi. Ecco, io a Holmes non glielo permetterei mai”.

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