«Le Generali? Devono restareun gruppo italiano indipendente»
«Non è un referendum su Natixis, ma un voto per decidere se Generali resta una public company oppure passa sotto il controllo di soggetti privati senza che questi paghino un premio agli altri azionisti». Philippe Donnet arriva alla plenaria del 24 aprile — uno degli appuntamenti più rilevanti della stagione assembleare della finanza italiana — […] L'articolo «Le Generali? Devono restareun gruppo italiano indipendente» proviene da Iusletter.
«Non è un referendum su Natixis, ma un voto per decidere se Generali resta una public company oppure passa sotto il controllo di soggetti privati senza che questi paghino un premio agli altri azionisti». Philippe Donnet arriva alla plenaria del 24 aprile — uno degli appuntamenti più rilevanti della stagione assembleare della finanza italiana — «ottimista e fiducioso, come amministratore delegato non posso che esserlo per la qualità dei risultati raggiunti dal gruppo. Lo sono per i nostri 87 mila colleghi e 164 mila agenti». Da quando Donnet è arrivato, nove anni fa, al vertice del Leone la capitalizzazione in Borsa è passata da 15 a 51 miliardi di euro. «Siamo contendibili e chi vuole Generali, nella logica di mercato, deve pagare un premio significativo agli azionisti. Ciò significherebbe dover mettere sul tavolo una cifra molto importante. Questa è la migliore garanzia di indipendenza». Donnet e la sua squadra lavorano all’implementazione del piano Lifetime Partner 27: Driving Excellence. Sono obiettivi industriali e di remunerazione agli azionisti — 8,5 miliardi tra dividendi e buyback — che spiegherà all’assemblea che dovrà esprimersi sulla sua riconferma per un nuovo mandato.
I soci privati Caltagirone e Delfin si presentano con una lista di minoranza ma lunga.
«Il mio ruolo è di gestire la realtà, sono determinato a portare avanti il mio lavoro con una squadra di manager di talento e giovani. L’interesse degli azionisti è di tutelare il loro investimento e questo si può fare solo se scelgono un consiglio coeso, non frammentato, che consenta di portare a termine il piano come abbiamo fatto finora: in nove anni il ritorno complessivo per gli azionisti è stato del 320%, del 103% solo negli ultimi tre anni. È la performance migliore del settore assicurativo in Europa».
Cosa pensano gli investitori esteri di questa contesa attorno a Generali?
«Non capiscono questa fibrillazione. Apprezzano i risultati raggiunti e anche il nuovo piano, non vedono emergere alcuna strategia alternativa, che peraltro non mi risulta ci sia».
Ma peserà sul voto il «nodo» Natixis?
«L’accordo con la banca francese Bpce, proprietaria di Natixis, non ha un impatto su questo piano. Sono in corso le consultazioni con i sindacati francesi che si concluderanno a fine maggio, poi partirà il processo autorizzativo con le autorità italiane».
Ma se arrivasse la sua riconferma e fosse finalizzato l’accordo con Natixis, ci sarebbe comunque il golden power del governo che non sembra favorevole a questo accordo.
«Non ci sarà nessun muro contro muro con il governo, e questo a prescindere dall’esito dell’assemblea. Da sempre i nostri rapporti con il governo e con le autorità di controllo sono basati su dialogo e collaborazione costruttiva. Il procedimento autorizzativo ci offre l’opportunità di illustrare tutti gli aspetti di un accordo che abbiamo proposto perché riteniamo sia molto buono per Generali e per tutto il sistema-Paese. Sarà l’occasione per fare chiarezza sui dubbi e sulle perplessità. Se, diversamente, durante il processo emergessero ancora riserve reali o incomprensioni da parte dell’esecutivo, il consiglio non potrà certo ignorarle».
Il timore di alcuni soci è che il risparmio degli italiani vada all’estero…
«Il risparmio nazionale resta protetto, esattamente come oggi. La regolamentazione impone alle compagnie di decidere come e dove investire, fino all’ultimo euro. Generali manterrà sempre il pieno controllo sui soldi che i nostri clienti ci affidano. D’altronde in Italia, da sempre, diverse società danno mandati a gestori stranieri. Finora nessuno si è mai preoccupato di questo. Oltretutto, in più, noi avremmo il co-controllo».
Ma non potevate stringere un accordo nell’asset management con una realtà italiana?
«Non ci sono opportunità paragonabili in Italia. L’industria globale è sempre più concentrata attorno a pochi player, noi europei siamo molto frammentati e non abbiamo massa critica. I primi tre asset manager europei detengono masse complessive per 7 mila miliardi di euro; e se guardiamo invece al dato aggregato dei primi tre gestori statunitensi, arriviamo a quota 23 mila miliardi. All’epoca della cessione di Pioneer, abbiamo guardato il dossier ma il cda ha valutato di non andare avanti. Era il 2016, non c’erano ancora le condizioni, la strategia sull’asset management era agli esordi».
In nove anni il ritorno complessivo per gli azionisti è stato del 320%, del 103% solo negli ultimi tre anni. Nel piano ai nostri soci andranno 8,5 miliardi
D’accordo, ma se Natixis andrà in porto, dove investirete masse così grandi?
«Una piattaforma con 1.900 miliardi di asset permetterebbe agli investitori esteri di avere un accesso privilegiato all’Italia convogliando risorse nell’immobiliare, nel debito privato, nelle infrastrutture. Cosa che stiamo già facendo dopo l’acquisizione di Conning che ci ha permesso di aggiungere 164 miliardi di masse gestite da una società basata negli Stati Uniti».
Non ci sono solo Caltagirone e Delfin tra i soci di peso. L’Unicredit di Andrea Orcel ha sopra il 5% di Generali.
«Unicredit ha definito l’investimento come puramente finanziario. È una conferma che sono convinti della bontà del nostro nuovo piano e questo ci fa piacere. Le tre più grandi istituzioni finanziarie in Italia sono guidate da manager indipendenti e di grande professionalità, riconosciuti dal mercato, e che parlano la stessa lingua. Con Orcel ci siamo parlati. Esistono delle collaborazioni sul fronte assicurativo nell’Est Europa, dove siamo già partner, ma il discorso potrebbe estendersi anche su altre aree».
In questo complesso risiko finanziario anche le authority sono state chiamate in causa. Ma voi cosa vi aspettate?
«Il mercato è un terreno di gioco dove ci vuole un arbitro. Siamo fiduciosi che le Autorità faranno rispettare le regole».
I due azionisti privati hanno segnalato la distanza di Generali rispetto ai competitor e l’assenza di operazioni trasformative.
«La perdita di dimensione è precedente al mio arrivo. In nove anni, le Generali hanno fatto circa 40 acquisizioni con un impiego di 7,6 miliardi grazie alla cassa generata con il nostro business. Abbiamo più che triplicato il nostro valore di mercato che rappresenta un trend molto migliore rispetto ai nostri peer».
Vede una nuova stagione di acquisizioni?
«Continueremo a prendere in considerazione solo operazioni che garantiscono la creazione di valore per la Compagnia e gli azionisti. L’approccio sarà come sempre rigoroso e disciplinato. Tutte le acquisizioni devono essere in linea con le nostre priorità. Continueremo anche a confrontare l’m&a rispetto al piano di buyback. Ora siamo concentrati sull’integrazione di Liberty Seguros e di Conning».
State facendo fronte alla rivoluzione tecnologica?
«Investiremo fino a 1,3 miliardi in AI e in tecnologia al 2027. Siamo convinti di poter accelerare il percorso di eccellenza verso i clienti e la trasformazione del modello operativo. Al tempo stesso, il nostro lavoro resta basato sulle persone. I nostri agenti, la nostra rete sono la chiave del successo del nostro gruppo».
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