Politica economica: oltre il rating, il vuoto. E Bruxelles ci incatena

Ci ricordiamo tutti i titoloni dei giornali sul “declassamento” dei BTP: hanno scandito il terribile 2011, l’anno in cui l’attacco all’euro passò per l’Italia — e per Silvio Berlusconi in particolare. Ci ricordiamo il terrore per lo spread, quel termometro che indica la febbre dell’Italia rispetto al (discutibile) benchmark dei mercati internazionali: l’economia tedesca. Ebbene, […] L'articolo Politica economica: oltre il rating, il vuoto. E Bruxelles ci incatena proviene da Economy Magazine.

Apr 12, 2025 - 20:40
 0
Politica economica: oltre il rating, il vuoto. E Bruxelles ci incatena

Ci ricordiamo tutti i titoloni dei giornali sul “declassamento” dei BTP: hanno scandito il terribile 2011, l’anno in cui l’attacco all’euro passò per l’Italia — e per Silvio Berlusconi in particolare. Ci ricordiamo il terrore per lo spread, quel termometro che indica la febbre dell’Italia rispetto al (discutibile) benchmark dei mercati internazionali: l’economia tedesca.
Ebbene, in modo insolitamente sobrio, il governo Meloni non ha enfatizzato la promozione ricevuta da parte di Standard & Poor’s, la seconda agenzia internazionale di rating per importanza, nota anche per detenere la licenza di alcuni degli indici di Borsa più seguiti al mondo. Eppure avrebbe potuto, e forse dovuto. In piena turbolenza globale, i nostri BTP hanno ottenuto un riconoscimento formale che ha un impatto concreto: i titoli classificati BBB+ sono più facilmente acquistabili da investitori istituzionali, come i fondi pensione, vincolati per legge a bilanciare il rischio. Questo si traduce in soldi veri dal mercato all’erario pubblico italiano. Poi ti volti, guardi il quadro generale, e ti accorgi che, dietro, c’è poco o nulla.

Il caso grottesco del Salva-Milano

Partiamo dal paradosso dei paradossi: il cosiddetto “Salva-Milano”. Si tratta di un disegno di legge che il governo rielabora da oltre un anno e che un tempo — con la politica che decideva — Craxi avrebbe approvato in un pomeriggio. Tre righe bastano a spiegare il dramma: la Procura di Milano ha bloccato 15 cantieri e paralizzato altri 150 per un cavillo che avrebbe fatto sorridere se non avesse avuto effetti devastanti sull’economia locale. Il tutto a causa di un’irritualità formale che riguarda una norma in vigore da vent’anni, oggi improvvisamente ritenuta incompatibile con una legge regia del 1942. Definire in qualsiasi modo la scelta della Procura sarebbe da querela, ed è antigienico farsi querelare dai giudici.
Nel frattempo, il sindaco Sala, concentrato com’è a disegnare piste ciclabili che restringono le arterie cittadine a vicoli — tanto che si registrano già ritardi pericolosi per ambulanze e veicoli di emergenza — non interviene. Il governo, dal canto suo, cincischia tra il desiderio di risolvere il problema e quello di cogliere l’occasione per colpire politicamente l’amministrazione milanese. Il risultato? Un danno stimato in almeno un miliardo annuo al PIL. Dov’è l’efficienza? Dov’è la compattezza? Perché la premier non batte un colpo?

Concordato fiscale: doppio flop

Il concordato fiscale ha già segnato due fallimenti. Un sistema tributario inefficiente, iniquo e talvolta persino criminogeno (lo stesso Scalfaro, dal Quirinale, definì “lunare” un modello 740 con 32 pagine di istruzioni — oggi sono 200), continua a pretendere fedeltà cieca da parte del contribuente. Ma come si può aderire a una proposta che, anziché premiare, penalizza?L’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini ha lasciato l’incarico senza attendere eventuali epurazioni governative, per candidarsi — ironia — a “federatore della sinistra” (a destra ancora si fregano le mani). Il governo ha pensato bene di rimpiazzarlo con un dirigente storico, suo vice da anni. Come se il problema non fossero le strutture e i metodi, ma i nomi. Invece di attuare una rivoluzione necessaria, si è scelta la via più conservativa. Serve una palingenesi, non una ratifica dell’esistente.

Transizione 5.0: incentivi fermi, soldi sprecati

Altro esempio di paralisi: la Transizione 5.0. A disposizione ci sono 6,3 miliardi di euro in incentivi. Ne sono stati richiesti meno di uno. Solo grazie all’ostinazione del sottosegretario Massimo Bitonci, è stata riscritta una norma nata male: troppo burocratica, e zavorrata da normative europee inderogabili. Ma forse ormai è tardi: e il cavallo delle imprese questi crediti d’imposta aciduli e tardivi continua a berli poco e niente.

Pensioni, sanità e il risiko bancario

Su pensioni e sanità: solo annunci. Sul risiko bancario, il governo appare distratto mentre si prepara un’OPA che potrebbe ridisegnare la finanza nazionale. Monte dei Paschi – con il permesso, anzi su incarico del governo! – punta al controllo di Mediobanca, e dunque delle Generali, ma l’operazione rischia di naufragare. Perché? Perché lo Stato ha scelto come partner un editore “amico” (solo perché amico), Caltagirone, e un colosso industriale — Luxottica — i cui interessi strategici sul dossier appaiono limitati. Ancora una volta, un’operazione sistemica rischia di trasformarsi in un’occasione persa perché assimilabile a una di quelle bravate da “furbetti del quartierino”. E lo Stato rischia una pessima figura. Come accadde per l’Ilva, con Cassa Depositi e Prestiti che finì per sostenere la perdente Jindal.

Il limite invalicabile: Bruxelles

Alla fine, la verità emerge chiara: Giorgia Meloni non si fida di nessuno, e proprio per questo non riesce a fidarsi dei “tecnici” che pure potrebbero aiutarla. E di cui sull’economia avrebbe estremo bisogno. Il risultato è l’inerzia. Ma anche ammettendo che esistesse una volontà riformatrice, quanto spazio avrebbe una politica economica nazionale in un contesto come quello dell’Unione Europea, dove ogni decisione viene “impiombata” da Bruxelles? Sull’energia, sul deficit, sul debito, sull’ecologia: l’architettura dell’Unione è quella di uno scienziato pazzo. Le regole comuni sono folli nella logica e inefficaci nei risultati. E un’eurocrazia non eletta agisce indisturbata, senza freni né contrappesi. È vero: l’Italia, se davvero vuole candidarsi a un ruolo guida in Europa — come la sua premier ambisce — non può presentarsi con questo retroterra. Non potrà mai essere credibile, né in grado di proporre (o imporre) quelle ovvietà che nessuno ha ancora avuto il coraggio di affrontare: come riscrivere — o forse meglio, buttare via — l’obsoleto e insostenibile Patto di Stabilità.

L'articolo Politica economica: oltre il rating, il vuoto. E Bruxelles ci incatena proviene da Economy Magazine.